Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 7565 del 17/03/2021

Cassazione civile sez. VI, 17/03/2021, (ud. 15/12/2020, dep. 17/03/2021), n.7565

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SESTA CIVILE

SOTTOSEZIONE L

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. LEONE Margherita Maria – Presidente –

Dott. ESPOSITO Lucia – Consigliere –

Dott. PONTERIO Carla – Consigliere –

Dott. MARCHESE Gabriella – Consigliere –

Dott. DE FELICE Alfonsina – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 27840-2019 proposto da:

D.B.M., M.R., DA.CO.ST.,

R.G., elettivamente domiciliati in ROMA, VIA POMPEO MAGNO, 23/A,

presso lo studio dell’avvocato GUIDO ROSSI, rappresentati e difesi

dall’avvocato LEONELLO AZZARINI;

– ricorrenti –

contro

ALBANY INTERNATIONAL ITALIA SRL, in persona del legale rappresentante

pro tempore, elettivamente domiciliata in ROMA, VIA VENTI SETTEMBRE

1, presso lo studio dell’avvocato FEDERICO TORZO, che la rappresenta

e difende;

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 720/2018 della CORTE D’APPELLO di VENEZIA,

depositata il 19/03/2019;

udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio non

partecipata del 15/12/2020 dal Consigliere Relatore Dott. DE FELICE

ALFONSINA.

 

Fatto

RILEVATO

CHE:

la Corte d’appello di Venezia, a conferma della sentenza del Tribunale della stessa città, ha rigettato il ricorso proposto da Da.Co.St. ed altri contro la società Albany International Italia s.r.l., diretto ad accertare il loro diritto alla percentuale di maggiorazione dell’elemento retributivo nazionale del 14,3 per cento prevista dal CCNL per il settore tessile a titolo cottimo misto, art. 87, per essere, gli stessi, addetti alle cd. calandre, attività caratterizzata da un ritmo produttivo scandito da specifici tempi di consegna (per quantità di feltri prodotti), nella misura stabilita dall’ufficio tecnico;

la Corte d’appello di Venezia ha accertato come la lavorazione alle calandre non richiedesse un rendimento superiore tale da giustificare il diritto alle maggiorazioni retributive, nè un ritmo più sostenuto, nè imponesse determinati tempi di consegna o predeterminate quantità di feltri da realizzare;

ha inoltre affermato che, così come riferito da Confindustria nelle informazioni rese, non smentite dalla parte appellante, non risultava che i lavoratori addetti alle calandre presso le altre aziende del ramo fossero retribuiti a cottimo;

la cassazione della sentenza è domandata da Da.Co.St. e dai suoi litisconsorti sulla base di due motivi, illustrati da successiva memoria;

Albany International Italia s.r.l. ha depositato controricorso;

è stata depositata proposta ai sensi dell’art. 380-bis c.p.c., ritualmente comunicata alle parti unitamente al decreto di fissazione dell’adunanza in camera di consiglio.

Diritto

CONSIDERATO

CHE:

col primo motivo, formulato ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 4, parte ricorrente deduce “Falsa applicazione di legge – art. 115 c.p.c.”;

contesta alla Corte territoriale di aver posto a fondamento della propria decisione una circostanza (quella secondo cui non risultavano casi di aziende in cui i lavoratori alle calandre fossero retribuiti a cottimo) non allegata da una parte processuale, in palese violazione della norma che stabilisce che i fatti non contestati devono essere allegati dalle parti costituite;

col secondo motivo, formulato ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, denuncia “Violazione del CCNL tessili- abbigliamento industria del 22 luglio 2008 a firma SMI e FEMCA – CISL, FILTEA -CGIL, UILTA – UIL e UGL Tessili), art. 87, lett. a), e violazione di legge art. 12 preleggi e art. 1367 c.c.”;

afferma che la norma contrattuale prevede alla lett. a) due fattispecie differenti a cui è collegato il diritto alla corresponsione della maggiorazione: la lavorazione a cottimo tout court (1 comma) e la lavorazione a flusso continuo o a catena, sempre che il sistema di retribuzione a cottimo sia praticabile (2 comma);

i ricorrenti rilevano che se è vero che nel caso di specie essi non lavorano nè a catena nè a flusso continuo, tuttavia un corretto accertamento dell’organizzazione del lavoro in azienda – segnatamente del vincolo dei lavoratori a rispettare un determinato ritmo produttivo e a misurazioni dei tempi di lavorazione – avrebbe dovuto indurre la Corte d’appello ad evitare conclusioni in contrasto col tenore testuale della norma contrattuale, e per lo più basate sulle errate affermazioni rese da Confindustria, per cui la maggiorazione di cottimo non sarebbe dovuta in caso di mera sussistenza di un “…vincolo ad un determinato ritmo produttivo” (vi è sempre in azienda il vincolo di rispetto di un determinato ritmo produttivo), ma sia dovuta nel caso di un ritmo produttivo legato ad una richiesta di rendimento/produzione superiore a quella del nomale lavoro in economia, quali sono i casi (specificati al secondo paragrafo dell’articolo in questione) di lavoro a catena o a flusso continuo, ovvero di lavoro basato sul cd. cronometraggio…” (p. 18 ric.);

una siffatta interpretazione priverebbe di significato, secondo i ricorrenti, il CCNL, art. 87, comma 1, lett. a), violando l’art. 1367 c.c., il quale richiede che le clausole contrattuali vanno interpretate nel senso in cui possono avere qualche effetto piuttosto che nel senso per cui non ne avrebbero alcuno;

il primo motivo è inammissibile;

nell’escludere il diritto alla corresponsione della maggiorazione contrattuale, la Corte territoriale ha accertato, sulla base dei riscontri testimoniali, come gli appellanti, lavoratori tessili addetti alle cd. calandre, svolgessero un’attività per la quale non è richiesto un rendimento superiore a quello del normale lavoro a economia, che solo, secondo la norma collettiva, giustifica l’applicazione del cottimo obbligatorio;

la stessa Corte ha, in definitiva, chiarito che la produzione alle calandre richiede unicamente l’osservanza di direttive tecniche relative al manufatto da realizzare e alla strumentazione a tal fine impiegata, fornite dall’impresa datrice;

in altri termini, l’istruttoria espletata ha escluso che gli odierni ricorrenti siano vincolati a ritmi produttivi più sostenuti rispetto agli altri lavoratori, all’osservanza di tempi di consegna predeterminati o alla realizzazione di determinate quantità di feltri prodotti;

in base alla costante giurisprudenza di questa Corte, per dedurre la violazione dell’art. 115 c.p.c. occorre contestare che il giudice, contraddicendo espressamente o implicitamente la regola da questo posta, abbia basato la decisione su prove non introdotte dalle parti, ma disposte di propria iniziativa fuori dai poteri officiosi riconosciutigli, non anche che il medesimo, nel valutare le prove proposte dalle parti, abbia attribuito maggior forza di convincimento ad alcune piuttosto che ad altre, essendo tale attività consentita dall’art. 116 c.p.c. (Cass. n. 26769 del 2018);

nel caso in esame il contenuto delle informazioni sindacali rese da Confindustria non costituisce la ratio interpretativa prevalente, se non esclusiva, della decisione gravata;

la stessa Corte territoriale, a conclusione dell’istruttoria, ne ha richiamato il contenuto nei meri termini di “…ulteriore riscontro fattuale di quanto sopra argomentato…” (p. 9 sent.);

in tema di valutazione delle prove, il principio posto a fondamento degli artt. 115 e 116 c.p.c., costituisce nel libero convincimento, il quale opera interamente sul piano dell’apprezzamento di merito, insindacabile in sede di legittimità, sicchè la denuncia della violazione delle predette regole da parte del giudice del merito non configura un vizio di violazione o falsa applicazione di norme processuali, sussumibile nella fattispecie di cui all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 4, bensì un errore di fatto, che deve essere censurato attraverso il corretto paradigma normativo del difetto di motivazione, e dunque nei limiti consentiti dall’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, come riformulato dal D.L. n. 83 de 2012, art. 54, conv. con modif. dalla L. n. 134 del 2012″ (Cass. n. 23940 del 2017);

nel caso in esame, come appare evidente dalla stessa prospettazione della censura, i ricorrenti non hanno inteso contestare una violazione di norme sostanziali o processuali, ma hanno lamentato l’erronea valutazione, da parte del provvedimento gravato, degli aspetti organizzativi aziendali dai quali avrebbe dovuto evincersi che gli addetti alle calandre sono vincolati a un ritmo produttivo più incalzante rispetto a quello imposto agli altri lavoratori, secondo la deduzione tipica del vizio di motivazione;

il secondo motivo è parimenti inammissibile;

il CCNL tessili, art. 87, lett. a), rubricato “Lavoro a cottimo” prevede due distinte ipotesi: al comma 1 sancisce che “Tutti gli operai dovranno essere retribuiti ad economia oppure a cottimo in relazione alle possibilità tecniche delle varie lavorazioni ed ai sistemi in uso nei vari settori. Ogni qualvolta, in conseguenza dell’organizzazione del lavoro nell’azienda un operaio sia vincolato a un determinato ritmo produttivo o quando la valutazione del lavoro a lui affidato sia il risultato delle misurazioni dei tempi di lavorazione l’operaio stesso deve essere retribuito a cottimo”;

al comma 2 stabilisce che” Nel caso che le lavorazioni siano organizzate in linee a catena o a flusso continuo, con prestazioni vincolate all’osservanza di un ritmo predeterminato che richieda un rendimento superiore a quello richiesto dal lavoro ad economia, l’operaio dovrà essere retribuito a cottimo, semprechè questo sistema sia praticabile. Qualora non sia possibile praticare tariffe di cottimo, l’azienda dovrà corrispondere agli operai, le cui prestazioni sono vincolate come sopra detto, una percentuale di maggiorazione del loro elemento retributivo nazionale del 4,13%”;

il comma 3 dispone, infine, che “Nulla è dovuto nel caso che la linea assolva un servizio ausiliario automatizzato o comunque non si verifichino le condizioni di cui al comma precedente”;

questo essendo il tenore letterale della disposizione, si osserva che la Corte d’appello ha esaminato compiutamente la ricorrenza delle condizioni contemplate dal CCNL per il settore tessile, art. 87, comma 2, lett. a), la cui ratio è di incrementare la retribuzione di quei lavoratori per i quali si richiede un rendimento superiore a quello del normale lavoro in economia, escludendo che nelle modalità di organizzazione della prestazione sia insita la soggezione dei lavoratori addetti alle calandre a un vincolo connesso ad un maggiore rendimento, quanto a tempi massimi predefiniti di consegna e/o alla produzione di un numero determinato di feltri;

le prospettazioni dei ricorrenti deducono, pertanto, solo apparentemente una violazione di legge, là dove mirano, in realtà, ad una nuova valutazione dei fatti, diversa da quella operata dal giudice di merito la quale, in base alle risultanze testimoniali acquisite al giudizio, ha portato ad escludere il riconoscimento del diritto alla maggiorazione per cottimo, ai lavoratori addetti alle calandre, in applicazione del CCNL per il settore tessile, art. 87, comma 3, lett. a), che esclude l’applicazione di tale modalità retributiva nel caso in cui non sussistano le condizioni di cui al comma precedente;

va data, pertanto, attuazione al costante orientamento di questa Corte, che reputa “…inammissibile il ricorso per cassazione con cui si deduca, apparentemente, una violazione di norme di legge mirando, in realtà, alla rivalutazione dei fatti operata dal giudice di merito, così da realizzare una surrettizia trasformazione del giudizio di legittimità in un nuovo, non consentito, terzo grado di merito” (Cass. n. 18721 del 2018; Cass. n. 8758 del 2017);

in definitiva, il ricorso va dichiarato inammissibile; le spese, come liquidate in dispositivo, seguono la soccombenza;

in considerazione dell’inammissibilità del ricorso, sussistono i presupposti processuali per il versamento, da parte dei ricorrenti, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello, ove dovuto, per il ricorso.

PQM

La Corte dichiara inammissibile il ricorso. Condanna i ricorrenti al rimborso delle spese del giudizio di legittimità nei confronti della controricorrente, che liquida in Euro 200 per esborsi, Euro 2.500,00 a titolo di compensi professionali, oltre spese generali nella misura forfetaria del 15 per cento ed accessori di legge.

Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, nel testo introdotto dalla L. n. 228 del 2012, art. 1, comma 17, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento da parte dei ricorrenti, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello, ove dovuto, per il ricorso, a norma dello stesso art. 13, comma 1-bis.

Così deciso in Roma, all’Adunanza camerale, il 15 dicembre 2020.

Depositato in Cancelleria il 17 marzo 2021

 

 

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