Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 7565 del 01/04/2014


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Civile Sent. Sez. L Num. 7565 Anno 2014
Presidente: STILE PAOLO
Relatore: MAROTTA CATERINA

Va, poi, osservato che, in materia di interpretazione del contratto, l’accertamento
della volontà degli stipulanti, in relazione al contenuto del negozio, si traduce in una
indagine di fatto affidata in via esclusiva al giudice di merito, onde la possibilità di
censurare tale accertamento in sede di legittimità, a parte l’ipotesi in cui la motivazione
sia così inadeguata da non consentire la ricostruzione del percorso logico seguito da
quel giudice per giungere ad attribuire all’atto negoziale un determinato contenuto, è
limitata al caso di violazione delle norme ermeneutiche, violazione da dedursi,
peraltro, con la specifica indicazione nel ricorso per cassazione del modo in cui il
ragionamento del giudice si sia da esse discostato, poiché, in caso contrario, la critica
alla ricostruzione del contenuto della comune volontà si sostanzia nella proposta di una

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Data pubblicazione: 01/04/2014

R. Gen. N. 26903/2008
Udienza 23/1/2014
Anna Maria Valoti c/ I.N.P.S.

interpretazione diversa. In altri termini, il ricorso in sede di legittimità, riconducibile, in
linea generale, al modello dell’argomentazione di carattere confutativo, laddove
censuri l’interpretazione del contratto accolta dalla sentenza impugnata, non può

evidenziare l’invalidità dell’interpretazione adottata attraverso l’allegazione (con
relativa dimostrazione) dell’inesistenza o dell’assoluta inadeguatezza dei dati tenuti
presenti dal giudice di merito o anche solo delle regole giustificative (pur implicite)
che da quei dati hanno condotto alla conclusione accolta, e non potendo, invece,
affidarsi alla mera contrapposizione di un risultato diverso sulla base di dati
asseritamente più significativi o di regole di giustificazione prospettate come più
congrue (cfr. in termini, Cass. 17 luglio 2007, n. 15890; id. n. 18 aprile 2007, n. 9245;
23 agosto 2006, n. 18375).
Orbene, la sentenza impugnata, valutata con tale criterio, sfugge alle critiche della
ricorrente che, invero, denuncia una falsa applicazione del criterio di interpretazione
letterale del quale, al contrario, la Corte ha fatto corretta applicazione laddove ha
ritenuto che proprio la testuale previsione del riassorbimento quasi integrale della
quota prima riconosciuta “rafforza la tesi sostenuta dall’Istituto ossia che le differenze
fossero proprio destinate a compensare il quid pluris richiesto dalla fase sperimentale
in attesa che all’esito …. l’accrescimento professionale comportasse il formale
riconoscimento della qualifica”. In conseguenza non può certo affermarsi che il
ragionamento della Corte territoriale sia così palesemente inadeguato da far ravvisare
nello stesso una violazione dei canoni legali di ermeneutica contrattuale.
Per il resto, la ricorrente si limita a richiamare le regole poste dagli artt. 1361 e ss.
cod. civ. solo per prospettare una diversa (e più favorevole) interpretazione rispetto a

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assumere tutti i contenuti di cui quel modello è suscettibile, dovendo limitarsi ad

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Udienza 23/1/2014
Anna Maria Volati c/ I.N.P.S.

quella adottata dal giudicante, il che non è ammissibile (cfr. anche Cass. 25 febbraio
2004 n. 3772).
Per sottrarsi al sindacato di legittimità, non è necessario che quella data dal

una clausola siano possibili due o più interpretazioni, non è consentito alla parte, che
aveva proposto l’interpretazione disattesa dal giudice, dolersi in sede di legittimità del
fatto che ne sia stata privilegiata un’altra (si veda, tra le altre, Cass. n. 4178 del 22
febbraio 2007).
5. Con il terzo motivo la ricorrente denuncia: “Violazione e falsa applicazione
dell’art. 97 della Cost., dell’art. 52 del d.lgs. n. 165/2001 (già artt. 56 e 57 del d.lgs. n.
29/1993 e successive modificazioni) nonché violazione e falsa applicazione degli artt.
1361 e ss. cod. civ. in relazione alle disposizioni di cui agli artt. 35 e ss. e 41 c.c.n.l.
Enti pubblici non economici e 19 c.c.n.l. Enti pubblici non economici 1998 previsto”.
Si duole del fatto che la Corte territoriale abbia fondato la propria decisione sulla scelta
operata dalle parti contrattuali cui però non poteva certo riconoscersi il potere
organizzativo di adibire i lavoratori all’espletamento di mansioni superiori rispetto a
quelle di formale inquadramento.
6. Con il quarto motivo la ricorrente denuncia: “Omessa (apparente), insufficiente e
contraddittoria motivazione circa un fatto decisivo per il giudizio”. Si duole della
valutazione delle risultanze istruttorie evidenziando che non era stata attribuita alcuna
rilevanza a deposizioni testimoniali quale quella del teste Carrara in ordine all’identità
delle mansioni svolte dalla Valoti dall’1/7/1998 al 31/3/2000 rispetto al periodo
successivo e circa l’espletamento di polivalenti funzioni ed attività.

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giudice sia l’unica interpretazione possibile, o la migliore in astratto, sicché, quando di

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Anna Maria Valoti c/ I.N.P.S.

7. I suddetti terzo e quarto motivo di ricorso, da trattarsi congiuntamente in ragione
della intrinseca connessione, sono infondati.
Occorre innanzitutto rilevare un profilo di ammissibilità laddove, pur a fronte di

una erronea valutazione delle circostanze fattuali che, se rettamente apprezzate,
avrebbero dovuto condurre a ritenere provata l’adibizione alle superiori mansioni e,
dunque, un vizio motivazionale.
Va, al riguardo, ricordato che la deduzione con il ricorso per cassazione di un vizio
di motivazione della sentenza impugnata non conferisce al Giudice di legittimità il
potere di riesaminare il merito della vicenda processuale, bensì la sola facoltà di
controllo della correttezza giuridica e della coerenza logica delle argomentazioni svolte
dal Giudice del merito, non essendo consentito alla Corte di cassazione di procedere ad
una autonoma valutazione delle risultanze probatorie, sicché le censure concernenti il
vizio di motivazione non possono risolversi nel sollecitare una lettura delle emergenze
processuali diversa da quella accolta dal Giudice del merito (vedi, tra le tante: Cass. 20
aprile 2011, n. 9043; id. 13 gennaio 2011, n. 313; 3 gennaio 2011, n. 37; 3 ottobre
2007, n. 20731; 21 agosto 2006, n. 18214; 16 febbraio 2006, n. 3436; 27 aprile 2005,
n. 8718).
Il vizio di motivazione, sotto il profilo della omissione, insufficienza e
contraddittorietà della medesima, può, dunque, dirsi sussistente solo qualora, nel
ragionamento del giudice di merito, siano rinvenibile tracce evidenti del mancato o
insufficiente esame di punti decisivi della controversia, prospettati dalle parti o
rilevabili d’ufficio, ovvero qualora esista un insanabile contrasto tra le argomentazioni
complessivamente adottate, tale da non consentire l’identificazione del procedimento

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denunciati vizi di violazione di legge, in realtà la ricorrente lamenta principalmente

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logico giuridico posto a base della decisione; per conseguenza le censure concernenti i
vizi di motivazione devono indicare quali siano gli elementi di contraddittorietà o
illogicità che rendano dei tutto irrazionali le argomentazioni del giudice del merito e

da quella operata nella sentenza impugnata (cfr., ex multis, Cass. 14 gennaio 2011, n.
8; id. 22 dicembre 2006, n. 27464; 7 marzo 2006, n. 4842; 27 aprile 2005, n. 8718).
Al contempo va considerato che, affinché la motivazione adottata dal giudice di
merito possa essere considerata adeguata e sufficiente, non è necessario che essa
prenda in esame, al fine di confutarle o condividerle, tutte le argomentazioni svolte
dalle parti, ma è sufficiente che il giudice indichi le ragioni del proprio convincimento,
dovendosi in questo caso ritenere implicitamente rigettate tutte le argomentazioni
logicamente incompatibili con esse (cfr., ex plurimis, Cass. 2 luglio 2004, n. 12121).
Né è possibile far valere con il vizio di motivazione la rispondenza della
ricostruzione dei fatti operata dal giudice al diverso convincimento soggettivo della
parte e, in particolare, prospettare un preteso migliore e più appagante coordinamento
dei dati acquisiti, atteso che tali aspetti del giudizio, interni all’ambito di discrezionalità
di valutazione degli elementi di prova e dell’apprezzamento dei fatti, attengono al
libero convincimento del giudice e non ai possibili vizi del percorso formativo di tale
convincimento (così Cass. 26 marzo 2010, n. 7394).
In buona sostanza, il controllo di logicità del giudizio di fatto, consentito dall’art.
360, comma 1 n. 5, cod. proc. civ., non equivale alla revisione del “ragionamento
decisorio”, ossia dell’opzione che ha condotto il giudice del merito ad una determinata
soluzione della questione esaminata, posto che una simile revisione, in realtà, non
sarebbe altro che un giudizio di fatto e si risolverebbe sostanzialmente in una sua

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non possono risolversi nella richiesta di una lettura dette risultanze processuali diversa

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nuova formulazione, contrariamente alla funzione assegnata dall’ordinamento al
giudice di legittimità.
La valutazione, poi, delle risultanze della prova testimoniale, il giudizio

tra le varie risultanze probatorie, di quelle ritenute più idonee a sorreggere la
motivazione, involgono apprezzamenti di fatto riservati al giudice del merito, il quale
nel porre a fondamento della propria decisione una fonte di prova con esclusione di
altre, non incontra altro limite che quello di indicare le ragioni del proprio
convincimento, senza essere tenuto a discutere ogni singolo elemento o a confutare
tutte le deduzioni difensive, dovendo ritenersi implicitamente disattesi tutti i rilievi e
circostanze che, sebbene non menzionati specificamente, sono logicamente
incompatibili con la decisione adottata (Cass. 5 ottobre 2006, n. 21412; id. 26 febbraio
2007, n. 4391; 27 luglio 2007, n. 16346).
Tanto precisato, va osservato che, nella specie, le valutazioni delle risultanze
probatorie operate dal Giudice di appello sono congruamente motivate e 1′ iter logicoargomentativo che sorregge la decisione è chiaramente individuabile, non presentando
alcun profilo di manifesta illogicità o insanabile contraddizione.
La Corte territoriale, sulla base dell’istruttoria svolta, ha evidenziato che “non è
stata comunque fornita la prova che, per il periodo rivendicato, le mansioni svolte e le
modalità delle stesse fossero tali da integrare il profilo professionale richiesto”. A tale
conclusione è pervenuta dopo aver individuato, sulla base del raffronto tra le
declaratorie ritualmente effettuato, l’elemento discriminante fra la categoria C e quelle
inferiori nella “polivalenza delle funzioni e delle attività svolte” e dopo aver ritenuto
che la ricorrente, così come riferito dai testi Erroi e Vasini, lungi dall’essersi occupata,

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sull’attendibilità dei testi e sulla credibilità di alcuni invece che di altri, come la scelta,

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Anna Maria Vaioli t/ I.N.P.S.

nel periodo in contestazione, di più fasi nel ciclo completo del processo produttivo, era
stata addetta alla sola istruttoria delle pratiche delle pensioni la cui gestione avveniva
in modo informatizzato e nel cui ambito si inserivano le segnalazioni delle anomalie

documentazione (sempre sulla base di quanto le procedure informatiche di volta in
volta evidenziavano).
Nell’iter logico suddetto non si evidenza alcuna aporia, né incongruenza; la
sentenza, ampiamente e logicamente argomentata, risulta immune da qualsiasi vizio
motivazionale. Del resto, la ricorrente si limita a prospettare la propria lettura delle
risultanze istruttorie riportando, peraltro, neppure integralmente ma solo per stralci
alcuni passaggi delle deposizioni testimoniali su cui incentra le proprie critiche ed
invocando una inammissibile revisione del “ragionamento decisorio”, non sussumibile
nel controllo di logicità del giudizio di fatto, consentito dall’art. 360, n. 5, cod. proc.
civ..
Né vale opporre che i giudici di merito avrebbero trascurato di considerare altre
deposizioni testimoniali di segno asseritamente favorevole alla ricorrente sia per le
ragioni sopra evidenziate sia perché si tratta di deposizioni (egualmente non trascritte
nella loro interezza) che, riferite ad un arco temporale ampio e prevalentemente
corrispondente all’epoca successiva alla formale attribuzione dell’inquadramento in
Area C posizione economica C2, non offrono precisi elementi inferirne la decisività ai
fini della dimostrazione, per il circoscritto periodo dall’1/7/1998 al 31/3/2000
(pressoché coincidente, come si rileva dalla sentenza impugnata, con l’avvio del
progetto sperimentale per l’implementazione di nuovi processi avente, come metodo,
l’affiancamento nella stessa attività di persone con diversa esperienza, e, come

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(che il sistema rilevava automaticamente) e della necessità di integrare la

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risultato, la “progressiva assegnazione” di autonomia istruttoria), di quella pienezza e
totale autonomia di funzioni con riguardo a tutte le fasi del processo produttivo che,
secondo i giudici di merito, solo integra il superiore livello.

obiezioni devono considerarsi assorbite, in conclusione, il ricorso deve essere
respinto.
9. La regolamentazione delle spese, liquidate come in dispositivo, segue la
soccombenza.
P.Q.M.
La Corte rigetta il ricorso; condanna la ricorrente al pagamento, in favore
dell’I.N.P.S., delle spese del presente giudizio di legittimità che liquida in euro 100,00
per esborsi ed euro 2.000,00 per compensi professionali, oltre accessori di legge.
Così deciso in Roma,i123 gennaio 2014.

8. Sulla base delle esposte considerazioni, nelle quali tutte le altre eccezioni o

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