Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 7564 del 29/03/2010

Cassazione civile sez. I, 29/03/2010, (ud. 10/12/2009, dep. 29/03/2010), n.7564

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE PRIMA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. ADAMO Mario – Presidente –

Dott. ZANICHELLI Vittorio – Consigliere –

Dott. SCHIRO’ Stefano – Consigliere –

Dott. FITTIPALDI Onofrio – Consigliere –

Dott. SALVATO Luigi – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ordinanza

sul ricorso proposto da:

C.R.B.B. – elettivamente domiciliato in ROMA,

via Po, n. 101, presso lo studio dell’avv. Mazza Leonardo, dal quale

e’ rappresentato e difeso, in virtu’ di procura in calce al ricorso;

– ricorrente –

contro

Prefetto di Grosseto;

– intimato –

avverso il decreto del Giudice di pace di Grosseto del 17.12.2007;

udita la relazione della causa svolta nella Camera di Consiglio del

10 dicembre 2009 dal Consigliere dott. SALVATO Luigi;

P.M., S.P.G. Dott. GAMBARDELLA Vincenzo.

 

Fatto

RITENUTO IN FATTO

C.R.B.B. proponeva opposizione innanzi al Giudice di pace di Grosseto avverso il decreto di espulsione adottato dal Prefetto di tale citta’, a seguito della revoca del permesso di soggiorno.

Il Giudice adito, con provvedimento del 17.12.2007, rigettava l’opposizione, osservando:

sul primo motivo, concernente la mancata traduzione del decreto in una lingua conosciuta dall’opponente, che dagli atti emergeva che l’opponente conosceva la lingua italiana, indicando gli elementi a conforto di tale conclusione;

sul secondo motivo, concernente la mancata comunicazione dell’avvio del procedimento ex lege n. 241 del 1990, che le esigenze di celerita’ del procedimento rendevano legittima detta omissione, mentre era irrilevante “l’eventuale omissione della comunicazione all’autorita’ consolare del Paese di origine”;

sul terzo motivo, che era manifestamente infondata l’eccezione di illegittimita’ costituzionale sollevata in riferimento all’art. 13 Cost.;

che erano irrilevanti le deduzioni in ordine alla sua convivenza more uxorio con una cittadina italiana.

Per la cassazione di questo provvedimento ha proposto ricorso C.R.B.B., affidato a cinque motivi; non ha svolto attivita’ difensiva l’intimato.

Ritenute sussistenti le condizioni per la decisione in Camera di consiglio e’ stata redatta relazione ai sensi dell’art. 380 bis c.p.c., comunicata al Pubblico Ministero e notificata al ricorrente.

Diritto

CONSIDERATO IN DIRITTO

1.- La relazione sopra richiamata ha il seguente tenore:

“1.- Il primo motivo denuncia violazione e falsa applicazione dell’art. 6, comma 3, lett. a) della CEDU e dell’art. 14, comma 3, lett. A del Patto internazionale relativo ai diritti civili e politici recepito con L. n. 881 del 1977 (art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3) e del D.Lgs. n. 286 del 1998, art. 13, comma 7 lamentando che il decreto di espulsione sarebbe stato tradotto in una traduzione sintetica in una delle tre lingue veicolari. Inoltre, sarebbe sorprendente la motivazione (…) in ordine alla conoscenza da parte dell’interessato della lingua italiana, desunta dalla conoscenza dei caratteri dell’alfabeto latino, dal riempimento di un modulo (effettuato da un altro soggetto) e dalla sottoscrizione del passaporto con tali caratteri (non arabi). Dunque, ad avviso del ricorrente, manca cosi’ la indicazione di qualsiasi elemento concreto da cui desumere con assoluta certezza la effettiva conoscenza della lingua italiana da parte del ricorrente.

Il motivo si conclude con quesito di diritto, volto a conoscere se la traduzione del decreto in una lingua veicolare, in mancanza di accertamento della conoscenza della lingua italiana, comporti violazione del diritto di difesa.

Il secondo motivo denuncia violazione e falsa applicazione del D.P.R. n. 394 del 1999, art. 3 della L. n. 89 del 2001 e dell’art. 6 della CEDU (art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3), in quanto il decreto di espulsione manca dell’indicazione delle modalita’ di accertamento della lingua conosciuta dall’opponente e reca soltanto la traduzione inglese.

Il mezzo si conclude con quesito di diritto avente ad oggetto la rilevanza dell’inosservanza delle modalita’ di accertamento della conoscenza della lingua.

1.1.- I due motivi, da esaminare congiuntamente, sono in parte manifestamente infondati, in parte manifestamente inammissibili.

Secondo la giurisprudenza di questa Corte, in riferimento all’obbligo di cui al D.Lgs. 25 luglio 1998, n. 286, art. 13, comma 7 T.U. sull’immigrazione, rilievo assorbente assume l’accertata conoscenza dell’italiano da parte dell’espellendo, poiche’ la ratio della norma risiede nella necessita’ che il destinatario della comunicazione abbia la possibilita’ di percepire con immediatezza e pienezza il contenuto della misura espulsiva onde apprestare controdeduzioni e difese nel breve termine concesso.

Ne consegue che ogni irregolarita’ nelle forme della comunicazione viene a essere sanata dalla piena comprensione del testo in originale accertata in fatto dal giudice del merito, anche avvalendosi di presunzioni (desumibili anche dalla lunga permanenza in Italia), con apprezzamento insindacabile in sede di legittimita’ se congruamente motivato (Cass. n. 274 del 2006).

Di questo principio ha fatto corretta applicazione il Giudice di pace che, con ampia motivazione (pg. 5 del provvedimento), ha indicato i molteplici elementi (tra gli altri, la lunga convivenza del ricorrente con una cittadina italiana, l’esercizio di un’attivita’ lavorativa, elementi desunti da atti processuali) che comprovavano la conoscenza della lingua italiana.

Siffatta motivazione non e’ stata affatto puntualmente censurata, essendo evidentemente insufficiente a questo fine la mera deduzione che essa sarebbe sorprendente. Palesemente inconferenti sono le ulteriori deduzioni concernenti la conoscenza dei caratteri dell’alfabeto e della sottoscrizione del passaporto, in quanto di essi non v’e’ traccia nel provvedimento di espulsione.

La incensurabilmente accertata conoscenza della lingua italiana esclude la violazione del diritto di difesa e in tali termini e’ il principio da enunciare in relazione al quesito posto con il primo motivo, con conseguente inammissibilita’ per inconferenza del secondo mezzo.

2.- Il terzo motivo denuncia violazione e falsa applicazione degli del D.Lgs. 25 luglio 1998, n. 286, art. 2, commi 3 e 4, D.P.R. n. n. 394 del 1999 (art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3), in quanto non e’ stata disposta la comunicazione del decreto di espulsione all’autorita’ consolare del Paese di origine.

2.1.- Il motivo e’ manifestamente inammissibile, in quanto consiste nella mera reiterazione del motivo proposto nella fase di merito, motivatamente rigettato dal Giudice di pace, senza che sia stata svolta alcuna argomentazione per criticare sul punto la motivazione.

In ogni caso, dando continuita’ alla giurisprudenza di questa Corte, va ribadito che l’omissione denunciata non incide sulla validita’ del provvedimento di espulsione (Cass. n. 28884 del 2005).

3.- Il quarto motivo denuncia violazione della L. n. 241 del 1990, art. 7 e del D.Lgs. 25 luglio 1998, n. 286, art. 3, comma 5, e si conclude con quesito di diritto diretto a conoscere se la prima norma sia applicabile e la sua inosservanza comporti lesione del diritto di difesa.

3.1.- Il motivo e’ manifestamente infondato, in applicazione del principio consolidato secondo il quale l’obbligo di dare comunicazione all’interessato dell’inizio del procedimento amministrativo, ai sensi della legge 7 agosto 1990, n. 241, art. 7 non si estende alla procedura di espulsione dello straniero, stante la specialita’ di quest’ultima, in relazione sia ai motivi di ordine pubblico e di sicurezza dello Stato ad essa sottesi sia ai caratteri di celerita’ e speditezza che ne connotano l’iter (Cass. n. 13364 del 2007; n. 28858 del 2005; n. 15390 del 2003).

4.- Il quinto motivo denuncia violazione dell’art. 13 Cost., in quanto il provvedimento di espulsione indica quale modalita’ di attuazione l’accompagnamento alla frontiera; quindi il Questore avrebbe dovuto chiedere il nulla – osta dell’A.G. e cio’ non sarebbe accaduto, in violazione dell’art. 13 Cost. Inoltre, il Giudice di pace non avrebbe tenuto conto delle sue difese in ordine allo svolgimento di attivita’ lavorativa ed alla convivenza more uxorio con una cittadina italiana, sicche’ l’esecuzione di provvedimento gli arrecherebbe un danno ingiusto ed irreparabile.

4.1.- Il motivo, nella parte in cui prospetta una questione di legittimita’ costituzionale, e’ manifestamente inammissibile, poiche’, come questa Corte ha gia’ affermato, la prospettazione di una questione di costituzionalita’, essendo funzionale alla cassazione della sentenza impugnata e postulando – non diversamente da quanto avveniva prima della riforma – la deduzione di un motivo che giustificherebbe la cassazione della sentenza una volta accolta la questione di costituzionalita’, suppone ora necessariamente che, a conclusione dell’esposizione del motivo cosi’ finalizzato, sia indicato il corrispondente quesito di diritto (Cass. S.U. n. 28050 del 2008; Cass. n. 4066 e n. 4072 del 2007).

La considerazione che il mezzo non si conclude con quesito di diritto lo rende, quindi, manifestamente inammissibile, a prescindere dalla sua inammissibilita’ per ulteriori profili (neppure e’ indicata la norma sospettata di illegittimita’ costituzionale).

Nella parte in cui il mezzo adombra un vizio di motivazione (nei cinque righi conclusivi) e’ manifestamente inammissibile, in quanto non denuncia vizi logici o eventuali carenze del tessuto argomentativo del provvedimento, ma si risolve in una assertiva affermazione dell’erroneita’, svolta peraltro senza tenere conto – e censurare – la motivazione che ha affermato l’irrilevanza delle deduzioni svolte dal ricorrente.

Pertanto, il ricorso puo’ essere trattato in Camera di consiglio, ricorrendone i presupposti di legge”.

2.- Il Collegio reputa di dovere fare proprie le conclusioni contenute nella relazione, in quanto danno applicazioni a principi consolidati nella giurisprudenza di questa Corte, pure indicata nella relazione, con conseguente rigetto del ricorso.

Non deve essere resa pronuncia sulle spese della presente fase, non avendo l’intimato svolto attivita’ difensiva.

P.Q.M.

LA CORTE Rigetta il ricorso.

Cosi’ deciso in Roma, il 10 dicembre 2009.

Depositato in Cancelleria il 29 marzo 2010

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