Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 7563 del 01/04/2011

Cassazione civile sez. I, 01/04/2011, (ud. 17/12/2010, dep. 01/04/2011), n.7563

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE PRIMA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. CARNEVALE Corrado – Presidente –

Dott. PICCININNI Carlo – Consigliere –

Dott. BERNABAI Renato – Consigliere –

Dott. RAGONESI Vittorio – rel. Consigliere –

Dott. GIANCOLA Maria Cristina – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

sentenza

sul ricorso 15745-2005 proposto da:

CASSA DI RISPARMIO DI FERMO (C.F. (OMISSIS)), in persona del

Presidente del Consiglio di Amministrazione pro tempore,

elettivamente domiciliata in ROMA, VIA BENACO 5, presso l’avvocato

MORABITO MARIA CHIARA, rappresentata e difesa dall’avvocato CRAIA

VILLEADO, giusta procura in calce al ricorso;

– ricorrente –

contro

FALLIMENTO DEL CALZATURIFICIO GEPIN DI IACOPONI SILVIO & C.

S.N.C.

(C.F. (OMISSIS)), in persona del Curatore avv. M.

M., elettivamente domiciliato in ROMA, VIA F. DENZA 27, presso

l’avvocato PIPERNO PAOLO, rappresentato e difeso dall’avvocato

CEROLINI PAOLO, giusta procura in calce al controricorso;

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 321/2004 della CORTE D’APPELLO di ANCONA,

depositata il 11/05/2004;

udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del

17/12/2010 dal Consigliere Dott. VITTORIO RAGONESI;

udito, per la ricorrente, l’Avvocato VILLEADO CRAIA che ha chiesto

l’accoglimento del ricorso;

udito, per il controricorrente, l’Avvocato PAOLO CEROLINI che ha

chiesto il rigetto del ricorso;

udito il P.M., in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott.

RUSSO Rosario Giovanni che ha concluso per il rigetto del ricorso con

condanna alle spese.

Fatto

SVOLGIMENTO DEL PROCESSO

La Curatela del fallimento della S.n.c. Calzaturificio Gepin di Iacopini Silvio e C., con citazione notificata il 21/4/1997, conveniva in giudizio la Cassa di Risparmio di Fermo chiedendo la revoca dei versamenti delle somme di L. 18.152.000 e di L. 71.465.262 effettuati il (OMISSIS) a scopo solutorio sul conto corrente n. (OMISSIS) di essa società. La Cassa di Risparmio di Fermo deduceva che entrambe le rimesse non erano revocabili: quella di L. 18.152.000 perchè effettuata con danaro proprio dal terzo fideiussore G. G., quella di L. 71.465.262 perchè accreditata in conto corrente a seguito dell’estinzione di un libretto di deposito al portatore costituito in pegno della società fallita con scrittura (OMISSIS), scrittura che aveva prodotto un effetto traslativo immediato della somma in favore di esso istituto di credito stante la irregolarità del pegno.

Con sentenza 27-30/12/1999, il Tribunale di Fermo accoglieva la domanda di revocatoria limitatamente al solo pagamento della somma di L. 71.465.262, sulla quale riconosceva gli interessi legali dalla domanda, compensando tra le parti le spese processuali. In relazione a tale secondo pagamento riteneva il giudice di prime cure: 1) che esso era revocabile indipendentemente dalla revoca del contratto di pegno, perchè avendo acconsentito alla richiesta di estinzione del libretto ed al versamento della somma sul conto corrente la Cassa aveva tolto ogni effetto al vincolo pignoratizio, per cui la causa del pagamento della somma era costituita esclusivamente dal rapporto di conto corrente; 2) che non era operabile la compensazione invocata dalla Cassa ai sensi dell’art. 56 L. Fall., in quanto, stante l’unicità del rapporto, l’accreditamento aveva dato luogo ad una operazione meramente contabile con conseguente inapplicabilità della disciplina di cui all’art. 1853 c.c.; 3) che la conoscenza dello stato di insolvenza era dimostrata dall’avvenuta pubblicazione di numerosi protesti per mancato pagamento di titoli di credito per importi elevati,dall’esistenza di procedure esecutive mobiliari e dalla revoca degli affidamenti da parte della stessa Cassa.

La sentenza veniva appellata dalla Cassa di Risparmio di Fermo con citazione notificata il 25/7/2000. Si costituiva la Curatela fallimentare replicando e svolgendo appello incidentale con comparsa depositata il 5/12/2000.

La Corte d’appello di Ancona, con sentenza depositata FI 1.5.04, respingeva entrambi gli appelli.

Avverso detta decisione ricorre per cassazione la Cassa di risparmio di Fermo sulla base di nove motivi,illustrati con memoria, cui resiste con controricorso il fallimento Calzature GEPIN.

Diritto

MOTIVI DELLA DECISIONE

La Cassa di Risparmio di Fermo, con il primo motivo di ricorso, si duole della omessa qualificazione della natura del libretto di deposito costituito in pegno nonchè delle ritenute modalità estintive del credito di essa Cassa che hanno portato il giudice di seconde cure a ritenere che si fosse verificato un pagamento quando, invece, l’estinzione del libretto e l’accreditamento della somma dovuta sul conto corrente altro non era che una modalità di escussione del pegno costituito dal libretto.

Con il secondo, il sesto, il settimo e l’ottavo motivo si duole, sotto diversi profili, della esclusione della compensazione tra il debito della società fallita ed il credito di essa banca.

Con il terzo motivo ribadisce che, nel caso di specie, non vi era stato pagamento e che era applicabile la compensazione poichè il libretto di deposito ingenera nel depositante il diritto ad ottenere il controvalore, essendo il denaro depositato acquisito in proprietà dalla banca.

Con il quarto motivo deduce l’erronea applicazione dell’art. 1851 c.c..

Con il quinto motivo assume che, in caso dovesse ritenersi la natura regolare del pegno, la norma applicabile non poteva essere l’art. 1851 c.c. ma l’art. 2803 c.c..

Con il sesto motivo contesta la sentenza impugnata laddove ha ritenuto l’inesigibilità del controcredito.

Con il settimo motivo sostiene l’esistenza di un patto volontario di compensazione che consentiva alla banca di procedere a siffatta operazione.

Con l’ottavo motivo contesta l’applicazione nel caso di specie dell’art. 1246 c.c..

Con il nono motivo esclude che nel caso di specie vi fosse interesse a proporre l’azione revocatoria per il pegno.

E’ quest’ultimo motivo che deve essere esaminato per primo poichè, ponendo esso una questione di inammissibilità della domanda revocatoria, riveste carattere pregiudiziale rispetto agli altri.

Il motivo è infondato alla luce della giurisprudenza di questa Corte che ha definitivamente chiarito che la circostanza che il pagamento sia stato effettuato per saldare un creditore privilegiato del fallito (eventualmente anche garantito da ipoteca gravante sull’immobile compravenduto) non esclude la possibile lesione della “par condicio”, nè fa venir meno l’interesse all’azione da parte del curatore, poichè è solo in seguito alla ripartizione dell’attivo che potrà verificarsi se quel pagamento non pregiudichi le ragioni di altri creditori privilegiati, che successivamente all’esercizio dell’azione revocatoria potrebbero in tesi insinuarsi. (Cass. 7028/06 sez. un.).

Il motivo non può pertanto essere accolto.

Venendo all’esame dei restanti motivi, gli stessi possono essere esaminati congiuntamente ponendo essi, sotto diversi profili, soltanto due questioni tra loro connesse e cioè: se il pegno del libretto bancario debba ritenersi un pegno regolare oppure irregolare e se la somma portata del detto libretto poteva compensarsi con il debito dell’imprenditore poi fallito verso la banca.

Occorre prendere come punto di partenza la motivazione fornita dalla sentenza impugnata sul punto.

Questa ha dapprima affermato che “come si desume dalle disposizione degli artt. 1850 e 1851 c.c. di per sè la costituzione del pegno, anche se questo irregolare ovvero avente ad oggetto depositi di denaro, non attribuisce alla banca il potere di disporre del bene dato in garanzia in funzione della realizzazione del proprio credito:

tale potere ricorre soltanto quando i beni non siano stati individuati oppure sia stato espressamente conferito. Nella specie il potere di prelevare direttamente dal libretto la somma dovuta per il caso di inadempimento è stato attribuito dalla società fallita alla Cassa con la scrittura (OMISSIS)”.

Successivamente peraltro ha soggiunto che: “ma tanto non esclude ed anzi conferma che il denaro prelevato dal libretto di deposito apparteneva pur sempre alla società debitrice, faceva parte del suo patrimonio e non già di quello della Cassa, conclusione questa che rimane la stessa sia che si voglia configurare il diritto della società sul libretto come un diritto di credito sia che lo si voglia configurare come un diritto reale; e che quindi l’escussione del pegno ovvero l’incameramento del denaro giacente nel libretto niente altro è stato che una modalità di pagamento del debito”.

Tale motivazione appare di per sè contraddittoria e non giuridicamente corretta nelle sue conclusioni.

Invero, la prima parte della riportata argomentazione lascia intendere chiaramente che la Corte d’appello ha ritenuto che il pegno fosse irregolare perchè, dopo avere precisato quali sono le condizioni stabilite dall’art. 1851 c.c. in base alle quali un pegno può ritenersi tale, ha riscontrato che, nella specie, l’accordo tra le parti prevedeva che la banca potesse, in caso d’inadempimento del cliente, prelevare direttamente la somma dovuta dal libretto, in tal modo realizzando il pegno. Da questo accertamento la Corte d’appello avrebbe dovuto trarre la conclusione che la banca aveva acquisito le somme portate dal documento e non già che le stesse appartenevano invece ancora al cliente.

Questa Corte ha, infatti, costantemente ritenuto (ex plurimis: Cass., n. 5845/2000; Cass., n. 5592/96) in tema d’interpretazione dell’art. 1851 cod. civ. – norma che, riferita all’anticipazione bancaria, costituisce, tuttavia, la regola generale di ogni altra ipotesi di pegno irregolare – che qualora il debitore, a garanzia dell’adempimento della sua obbligazione, vincoli al suo creditore un titolo di credito o un documento di legittimazione individuati e gli conferisca anche la facoltà di disporre del relativo diritto, si esula dall’ipotesi del pegno regolare (artt. 1997 e 2784 cod. civ.) e si rientra nella disciplina, delineata dal predetto art. 1851, del pegno irregolare, in base alla quale il creditore garantito acquisisce la somma portata dal titolo o dal documento, che dovrà restituire al momento dell’adempimento o, in caso d’inadempimento, dovrà rendere per quella parte eccedente l’ammontare del credito garantito, determinata in relazione al valore delle cose al tempo della scadenza del credito garantito. In tal caso, infatti, i titoli vengono dedotti nella loro fungibile valenza economica e, perciò, sono individuati solo nella loro appartenenza ad un genus. (Cass 3794/08Cass. 6 dicembre 2006, n. 26154; Cass. 20 aprile 2006, n. 9306; Cass. 10 marzo 2006, n. 5290; Cass. 16 giugno 2005, n. 12964;

Cass. 24 maggio 2004, n. 10000; Cass. 5 marzo 2004, n. 4507; Cass. 9 maggio 2000, n. 5845; Cass. 18 giugno 1996, n. 5592).

Con particolare riferimento al libretto bancario, va osservato che il contenuto monetario di questo, in quanto suscettibile di variazione in relazione ai versamenti ed ai prelievi effettuati nel tempo, non risulta in alcun modo predefinito ed individuato nella sua esattezza e costituisce quindi un genus. A ciò deve aggiungersi che, ai sensi degli artt. 1834 e 1835 c.c., che disciplinano rispettivamente i depositi bancari di denaro ed i libretti di deposito al risparmio, le somme depositate divengono di proprietà della banca che è obbligata a restituirla nella stessa specie monetaria alla scadenza del termine convenuto. Nel caso di specie , quindi ,appare indiscutibile che la somma portata dal libretto bancario fosse di proprietà della banca e che, quindi, la costituzione del stesso in pegno abbia dato luogo ad un pegno irregolare.

Risultano dunque fondate le censure della Banca ricorrente che sostengono l’erroneità delle conclusioni cui è pervenuta la sentenza impugnata in ordine alla permanenza in proprietà delle somme portate dal libretto di deposito in capo alla società poi fallita. Accertato dunque quanto sopra, discende come conseguenza che ben a ragione la Cassa di risparmio ha effettuato la compensazione tra la somma acquisita per effetto della realizzazione del pegno e l’accreditamento sul conto corrente.

Questa Corte ha,infatti,, affermato che, nel caso di costituzione di pegno irregolare, il divieto del patto commissorio non opera, poichè, a mente proprio dell’art. 1851 cod. civ. e in coerenza con l’intento del legislatore di evitare indebite locupletazioni, è consentito al creditore, nell’ipotesi di inadempimento dell’altra parte, di fare definitivamente propria solo la somma corrispondente al credito garantito e, quindi, di compensarlo col suo debito di restituzione del tantundem (art. 1853 cod. civ.) nel legittimo esercizio del proprio diritto di prelazione, senza richiesta di assegnazione al giudice dell’esecuzione. (Cass., n. 8571/94; Cass 10000/04; Cass 12964/05; Cass 14067/08). L”inadempimento del debitore determina, infatti, la coesistenza di debiti reciproci tra il debitore stesso e il creditore garantito, che vengono ad estinguersi “per le quantità corrispondenti” (art. 1241 cod. civ.) secondo i principi, appunto, della compensazione, la cui applicazione non può trovare ostacolo nella circostanza che le due obbligazioni reciproche siano riconducibili ad un medesimo titolo o a titoli collegati, poichè esse non si pongono in una relazione di corrispettività.

(Cass. 21237/04).

I motivi in esame vanno pertanto accolti in relazione a quanto dianzi detto.

La sentenza impugnata va di conseguenza cassata e sussistendo i requisiti di cui all’art. 384 c.p.c., la causa può essere decisa nel merito,con il rigetto della domanda revocatoria del fallimento .Segue alla soccombenza la condanna del fallimento al pagamento delle spese del presente giudizio nonchè della fase di merito giudizio, che si liquidano come da dispositivo.

P.Q.M.

Accoglie il ricorso nei termini di cui in motivazione, cassa la sentenza impugnata e, decidendo nel merito, rigetta la domanda revocatoria del fallimento resistente che condanna al pagamento delle spese del presente giudizio liquidate in Euro 3200,00 per onorari oltre Euro 200.00 per esborsi nonchè al pagamento delle spese della fase di merito liquidate per il giudizio di appello in Euro 2500,00 per onorari, Euro 400,00 per diritti ed Euro 50 per spese e per giudizio di primo grado in Euro 2500,00 per onorari oltre Euro 450,00 per diritti ed Euro 50,00 per spese. Alle spese tutte vanno aggiunte le spese generali e gli accessori di legge.

Così deciso in Roma, il 17 dicembre 2010.

Depositato in Cancelleria il 1 aprile 2011

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