Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 756 del 16/01/2020

Cassazione civile sez. VI, 16/01/2020, (ud. 22/10/2019, dep. 16/01/2020), n.756

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SESTA CIVILE

SOTTOSEZIONE 1

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. SCALDAFERRI Andrea – Presidente –

Dott. MARULLI Marco – Consigliere –

Dott. IOFRIDA Giulia – Consigliere –

Dott. MERCOLINO Guido – Consigliere –

Dott. CAIAZZO Rosario – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso n. 36042-2018 proposto da:

H.S., elettivamente domiciliato in ROMA, presso lo studio

dell’avvocato LAURA BARBERIO dalla quale è rappresentato e difeso,

con procura speciale in calce al ricorso;

– ricorrente –

contro

MINISTERO DELL’INTERNO, in persona del Ministro pro tempore,

elettivamente domiciliato in ROMA, alla via dei PORTOGHESI 12,

presso l’AVVOCATURA GENERALE DELLO STATO, che lo rappresenta e

difende;

– controricorrente –

avverso il decreto del TRIBUNALE di ROM, depositato il 07/11/2018;

udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio non

partecipata del 22/10/2019 dal Consigliere relatore, Dott. ROSARIO

CAIAZZO.

Fatto

RILEVATO

CHE:

H.S., cittadino del Bangladesh, impugnò il provvedimento della Commissione territoriale di diniego della protezione internazionale ed umanitaria, innanzi al Tribunale di Roma che, con decreto emesso il 7.11.2018, lo rigettò, rilevando che: i motivi dell’espatrio descritti dall’istante, legati a vicende personali, non consentivano di riconoscere lo status di rifugiato, nè la protezione sussidiaria, anche considerando che il ricorrente non aveva sporto denuncia presso le autorità nazionali; dalle informazioni aggiornate acquisite non si desumeva la sussistenza in Pakistan di una situazione di violenza indiscriminata derivante da conflitto armato; il ricorrente non aveva allegato situazioni individuali di vulnerabilità, nè era emersa una stabile integrazione lavorativa in Italia..

Ricorre in cassazione H.S., formulando due motivi. Resiste il Ministero dell’interno con controricorso.

Diritto

RITENUTO

CHE:

Con il primo motivo il ricorrente denunzia la violazione e falsa applicazione del D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 14, lett. c), art. 3, comma 3, e art. 5, per non aver il Tribunale esaminato la domanda alla luce di informazioni precise ed aggiornate circa la situazione socio-politica del Bangladesh e la capacità della polizia bengalese di offrire adeguata protezione e tutela ai cittadini.

Con il secondo motivo si denunzia la violazione del D.Lgs. n. 25 del 2008, art. 5, comma 6 e art. 32, in quanto il Tribunale non aveva valutato correttamente la sussistenza dei seri motivi legittimanti il permesso umanitario, in considerazione della sua integrazione in Italia, della diffusa povertà esistente in Bangladesh e del suo transito in Libia.

Il primo motivo è inammissibile, in ordine al riconoscimento della protezione internazionale, poichè il ricorrente – come evidenziato nel decreto impugnato – non ha allegato, nel giudizio di merito, fatti o circostanze afferenti allo status di rifugiato, bensì vicende di natura personale. E, d’altra parte, quanto alla protezione sussidiaria, il Tribunale ha valutato del tutto generiche le allegazioni del ricorrente in ordine alle minacce che egli avrebbe ricevuto, trovando peraltro riscontro-con giudizio non sindacabile in questa sede- nell’omissione di richiesta d’intervento della pubblica sicurezza da parte del ricorrente.

Al riguardo, va richiamato il consolidato orientamento di questa Corte a tenore del quale, in materia di protezione internazionale, il richiedente è tenuto ad allegare i fatti costitutivi del diritto alla protezione richiesta, e, ove non impossibilitato, a fornirne la prova, trovando deroga il principio dispositivo, soltanto a fronte di un’esaustiva allegazione, attraverso l’esercizio del dovere di cooperazione istruttoria e di quello di tenere per veri i fatti che lo stesso richiedente non è in grado di provare, soltanto qualora egli, oltre ad essersi attivato tempestivamente alla proposizione della domanda e abbia compiuto ogni ragionevole sforzo per circostanziarla e, quindi, superi positivamente il vaglio condotto alla stregua dei criteri indicati nel D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 3, comma 5 (Cass., n. 15794/19; n. 27336/18; n. 19716/18).

Inoltre, il Tribunale ha escluso, sulla base del report di Amnesty International 2016.2017- non espressamente contestato- che in Bangladesh sussista una situazione di violenza indiscriminata o di conflitto armato.

Il secondo motivo è inammissibile, non essendo state allegate situazioni individuali di vulnerabilità o di compromissione dei diritti umani, non essendo sufficiente, ai fini del riconoscimento della protezione umanitaria, la generale situazione di povertà e degrado del Paese di provenienza (Cass., n. 3681/19).

Infine, è irrilevante la questione della Libia, quale Paese di transito. Invero, nella domanda di protezione internazionale, l’allegazione da parte del richiedente che in un Paese di transito si consumi un’ampia violazione dei diritti umani, senza evidenziare quale connessione vi sia tra il transito attraverso quel Paese ed il contenuto della domanda, costituisce circostanza irrilevante ai fini della decisione, perchè l’indagine del rischio persecutorio o del danno grave in caso di rimpatrio va effettuata con riferimento al Paese di origine o alla dimora abituale ove si tratti di un apolide (Cass., n. 31676/18). Nel caso concreto, il ricorrente non ha allegato alcun nesso concreto tra il transito in Libia e il contenuto della sua domanda di permesso umanitario.

Le spese seguono la soccombenza.

P.Q.M.

La Corte dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento, in favore del Ministero dell’Interno, delle spese del giudizio che liquida nella somma di Euro 2100,00 di cui Euro 100,00 per esborsi, oltre alla maggiorazione del 15% per rimborso forfettario delle spese generali e alle spese prenotate a debito.

Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1-quater, dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso principale, a norma dello stesso art. 13, comma 1-bis ove dovuto.

Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio, il 22 ottobre 2019.

Depositato in Cancelleria il 16 gennaio 2020

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