Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 7559 del 01/04/2014


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Civile Sent. Sez. L Num. 7559 Anno 2014
Presidente: VIDIRI GUIDO
Relatore: BERRINO UMBERTO

SENTENZA

sul ricorso 2621-2010 proposto da:
CASSA NAZIONALE DI PREVIDENZA ED ASSISTENZA FORENSE
C.F. 80027390584, in persona del legale rappresentante
pro tempore, elettivamente domiciliata in ROMA, VIALE
DI VILLA PAMPHILI 59, presso lo studio dell’avvocato
SALAFIA ANTONIO, rappresentata e difesa dall’avvocato
2013

CARBONE LEONARDO, giusta delega in atti;
– ricorrente –

3773

contro

IAIONE ARTURO C.F. NIARTR41S03A4890, elettivamente
domiciliato in ROMA, VIALE ERITREA 91, presso lo

Data pubblicazione: 01/04/2014

studio dell’avvocato IAIONE ARTURO, che lo rappresenta
e difende, giusta delega in atti;
– controri corrente –

avverso la sentenza n. 355/2009 della CORTE D’APPELLO
di NAPOLI, depositata il 23/02/2009 R.G.N. 4336/2006;

udienza del 19/12/2013 dal Consigliere Dott. UMBERTO
BERRINO;
udito l’Avvocato CARBONELEONARDO;
udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore
Generale Dott. FRANCESCA CERONI che ha concluso per il
rigetto del ricorso.

udita la relazione della causa svolta nella pubblica

Svolgimento del processo
Con sentenza del 22/1 — 23/2/2009 la Corte d’appello di Napoli ha rigettato
l’impugnazione proposta dalla Cassa Nazionale di Previdenza e Assistenza
Forense avverso la sentenza del giudice del lavoro del Tribunale di Avellino aveva

recante l’intimazione di pagamento di € 4085,66 a titolo di contributo integrativo
per gli anni 1987, 1988 e 1989 in relazione a volumi d’affari mai comunicati dal
professionista.
Nel confermare l’impugnata sentenza la Corte d’appello ha spiegato che
l’avvenuta cancellazione del suddetto professionista dalla Cassa di Previdenza
non faceva venir meno l’obbligo di iscrizione all’Albo degli avvocati, ma lo esimeva
dall’obbligo di trasmettere i dati reddituali relativi agli anni 1987-88-89. Inoltre, era
inammissibile, in quanto nuova, la deduzione, formulata dalla difesa della suddetta
Cassa di Previdenza, dell’avvenuta produzione, da parte del professionista
opponente, di atti recanti il codice proprio dell’attività degli studi legali ed in ogni
caso era emerso che le somme in questione erano state ricevute da quest’ultimo
per lo svolgimento di attività diverse da quella forense.
Per la cassazione della sentenza propone ricorso la Cassa Nazionale di
Previdenza ed Assistenza Forense con due motivi.
Resiste con controricorso l’avv. Arturo laione.
Entrambe le parti depositano memoria ai sensi dell’art. 378 c.p.c.
Motivi della decisione
Preliminarmente va esaminata l’eccezione con la quale il controricorrente deduce
l’inammissibilità del ricorso per inesistenza della procura speciale conferita dalla
Cassa di previdenza ed assistenza forense al suo difensore avv. Leonardo
Carbone del Foro di Ascoli Piceno. Tale eccezione si basa sul rilievo che tale
procura risulta essere stata conferita per la riforma della sentenza della Corte
d’appello di Venezia, sezione lavoro, n. 503/2008 del 4/11/2008, laddove la

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accolto l’opposizione intentata dall’avv. laione Arturo alla cartella esattoriale

sentenza oggetto del presente giudizio è quella della Corte d’appello di Napoli
recante il n. 355/2009, per cui la suddetta indicazione contenuta nel predetto
mandato difensivo porterebbe ad escludere che il conferimento della procura sia
avvenuto per l’impugnazione della sentenza partenopea.

mandato, che è stato scritto proprio a margine del ricorso awerso la sentenza
della Corte d’appello di Napoli n. 355/09 oggetto della presente impugnazione,
ricorso che per il resto, contiene tutti gli elementi di ammissibilità prescritti dalla
leggej né, tantomenoVsulla integrità del diritto di difesa del controricorrente che
non è stato minimamente compromesso dal suddetto errore di indicazione
contenuto nel solo mandato difensivo.
E’ utile ricordare che in un caso analogo questa Corte (Cass. Sez. 2, n. 18781 del
14/9/2011) ha avuto modo di statuire che “l’erronea indicazione della decisione
impugnata, nella procura speciale rilasciata in calce o a margine del ricorso per
cassazione, non incide sull’ammissibilità, del ricorso medesimo che contenga tutti
gli elementi prescritti, perchè la stretta e materiale inerenza del mandato all’atto
d’impugnazione osta a che l’erroneità di detta indicazione, così come l’omissione
della indicazione stessa, determini alcuna incertezza sulla identificazione di quella
decisione, alla stregua del contesto del ricorso.” (in senso conf. v. anche Cass.
Sez. 1, n. 3200 del 15/5/1980)
Col primo motivo la ricorrente lamenta la violazione e falsa applicazione del
combinato disposto degli artt. 10, 11 e 12 della legge 20.9.1980, n.576,
sostenendo che è errata la decisione dei giudici d’appello di ritenere il
professionista non tenuto all’adempimento dell’invio alla Cassa previdenziale delle
dichiarazioni reddituali obbligatorie per il solo fatto della sua iscrizione all’Albo
professionale e non alla Cassa Forense, in quanto una tale affermazione sarebbe
in contrasto con la formulazione letterale dell’art. 17, comma 1, della legge n.

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L’eccezione è infondata, atteso che non appaiono esservi dubbi sulla portata del

576/80 e con la “ratio” della istituzione dell’adempimento della comunicazione
reddituale di cui al cosiddetto “Mod. 5”.
Ritiene, invero, la ricorrente che dalla lettura della suddetta norma si ricava che, a
differenza dei praticanti con patrocinio, non soggetti all’obbligo contributivo qualora

professionale l’obbligo di invio della dichiarazione reddituale (c.d. Mod. 5) alla
cassa forense è conseguente alla semplice iscrizione al predetto albo, in quanto
nel caso di superamento del livello reddituale fissato dalla Cassa di previdenza
sorge l’obbligo di iscrizione alla stessa e quello del relativo versamento
contributivo. Ciò in quanto l’avvocato, a differenza del praticante con patrocinio, è
soggetto destinatario delle prestazioni previdenziali erogate dalla cassa e, quindi,
soggetto all’obbligazione contributiva.
Col secondo motivo la ricorrente si duole dell’omessa, insufficiente e
contraddittoria motivazione in ordine al fatto controverso e decisivo rappresentato
dalla documentazione prodotta in primo grado dall’avv. laione concernente diverse
certificazioni relative ad emolumenti da questi percepiti per attività professionali di
vario genere riconducibili, in base ad una più attenta analisi non eseguita dalla
Corte di merito, a quella di legale esercitata dalla controparte. Altro documento
ignorato dalla Corte territoriale sarebbe, secondo l’odierna ricorrente, quello della
nota difensiva autorizzata del 13.2.2006 con la quale erano stati, a suo dire, forniti
elementi utili per la riconducibilità dei compensi percepiti dall’avv. laione alla sua
tipica attività professionale. Tale omessa disamina renderebbe palese, a giudizio
della ricorrente, l’errore in cui sarebbe incorsa la Corte d’appello nel ritenere
inammissibile, in quanto considerata nuova, la deduzione attraverso la quale si era
segnalato che nella documentazione prodotta dall’avv. laione erano stati indicati i
compensi percepiti col codice proprio dell’attività degli studi legali.
Il ricorso è infondato.

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i medesimi non siano iscritti alla cassa forense, per gli avvocati iscritti all’albo

Quanto al primo motivo, incentrato sulla ritenuta sussistenza dell’obbligo di
comunicazione dei dati reddituali in base alla sola iscrizione del professionista
nell’albo degli avvocati, si osserva che, pur trovando un tale rilievo appiglio nelle
norme citate e nella giurisprudenza di questa Corte, lo stesso non è risolutivo nella

attraverso la quale è stata rilevata l’infondatezza della pretesa contributiva della
Cassa di previdenza per la mancanza di prova della natura prettamente forense
dell’attività professionale produttiva dei compensi accertati in favore
dell’opponente avv. laione.
Di certo, come le sezioni unite di questa Corte hanno statuito (Sez. U, n. 20219
del 19/11/2012), “costituisce illecito disciplinare, a norma dell’art. 17 della legge 20
settembre 1980, n. 576, la condotta dell’avvocato iscritto all’albo che ometta di
inviare alla Cassa nazionale forense le comunicazioni relative all’ammontare dei
redditi professionali dichiarati ai fini IRPEF e dei volumi di affari dichiarati ai fini
IVA, anche se il professionista non sia iscritto alla Cassa, né abbia l’obbligo di
domandare l’iscrizione ad essa a fini previdenziali – avvenendo d’ufficio l’iscrizione
a fini assistenziali per tutti gli iscritti agli albi – e di versare conseguentemente il
contributo soggettivo, poiché il sistema normativo riferisce il dovere di
comunicazione del reddito e del volume di affari indistintamente a tutti gli avvocati,
a differenza dei praticanti, per i quali l’obbligo è espressamente previsto solo se gli
stessi siano iscritti alla Cassa.”
Tuttavia, in caso analogo al presente, si è osservato (Cass. Sez. lav. n. 5975
dell’i 1/3/2013) che “l’obbligo per gli iscritti alla Cassa nazionale di previdenza ed
assistenza per avvocati e procuratori di versare una maggiorazione percentuale su
tutti i corrispettivi rientranti nel volume d’affari ai fini dell’I.V.A. si riferisce soltanto
ai redditi derivanti dallo svolgimento dell’attività professionale. Pertanto, restano
esclusi i redditi percepiti da un avvocato in conseguenza dell’attività svolta quale
consigliere di amministrazione di una società di capitali, in difetto di prova circa il

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fattispecie, in quanto resta insuperata la parte della decisione impugnata

fatto che gli stessi possano ricondursi in qualche modo all’esercizio di attività
professionale. (Nel caso di specie, non essendo stata fornita prova che la
partecipazione del legale all’attività del consiglio di amministrazione avesse
richiesto le stesse competenze tecniche di cui il medesimo si avvaleva

escluso che tale attività assumesse connotati tali da poter essere oggettivamente
ricondotta a quella tipica della professione; la S.C., nel confermare la decisione
impugnata, ha affermato il principio su esteso)”
Anche in passato si era avuto modo di affermare (Cass. Sez. lav. n. 629 del
19/1/1993) che “l’art. 11 della legge 20 settembre 1980 n. 576 (modificato dall’art.
2 della legge 2 maggio 1983 n. 175), il quale prevede, nel suo primo comma,
l’obbligo per gli avvocati e procuratori (nonché per i praticanti procuratori) di
versare alla Cassa nazionale di previdenza ed assistenza per avvocati e
procuratori una maggiorazione percentuale o contributo integrativo “su tutti i
corrispettivi rientranti nel volume annuale d’affari ai fini dell’I.V.A.”, va interpretato alla stregua del sistema della legge e della “ratio” della medesima – nel senso che
oggetto di tale imposizione contributiva (come del contributo soggettivo previsto
dall’art. 10 della stessa legge) sono soltanto i redditi prodotti dallo svolgimento
dell’attività professionale, con esclusione di qualsiasi altro provento di carattere
avventizio non collegabile all’esercizio della professione “stricto sensu” (come,
nella specie, il reddito derivante dall’attività di consigliere di amministrazione di
società).”
Quanto al secondo motivo, col quale si segnalano vizi della motivazione, si
osserva che il tentativo della ricorrente di richiamare l’attenzione di questa Corte
su documenti prodotti dalla controparte che la Corte di merito non avrebbe
considerato, documenti che, a suo giudizio, avrebbero dimostrato la natura
tipicamente legale dell’attività svolta dall’opponente, non supera il rilievo di novità
della deduzione contenuto nell’impugnata sentenza e finisce, nel contempo, per

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ordinariamente nell’esercizio dell’attività professionale, il giudice di merito aveva

tradursi in una inammissibile istanza di rivisitazione del merito probatorio
adeguatamente valutato dalla Corte d’appello la quale, con motivazione congrua
ed esente da vizi di tipo logico-giuridico, ha esaminato in punto di fatto il contenuto
del modello fiscale “740” versato in atti, pervenendo al convincimento che dallo

nell’allegato “E” erano stati dichiarati compensi per lavoro autonomo non
riconducibile all’esercizio dell’attività forense, ma ad attività diverse, quali quelle di
vice-presidente di società e di collaborazione coordinata e continuativa con enti
locali e società.
Quanto alla censura mossa alla rilevata novità della deduzione, con la quale nel
giudizio d’appello la difesa della Cassa forense aveva segnalato i compensi
indicati dall’opponente col relativo codice di attività degli studi legali, si osserva
che è insufficiente il richiamo operato dalla ricorrente al contenuto della propria
nota difensiva del 1372/2006, in quanto la stessa non dimostra la tempestività
delle eccezioni in essa sviluppate, per cui tutto ciò si traduce in un profilo di
inammissibilità della presente censura per mancanza di autosufficienza della
stessa.
In definitiva, il ricorso va rigettato.
Le spese del presente giudizio seguono la soccombenza della ricorrente e vanno
liquidate come da dispositivo.
P. Q. M.
La Corte rigetta il ricorso. Condanna la ricorrente alle spese del presente giudizio
nella misura di € 2500,00 per compensi professionali e di € 100,00 per esborsi,
oltre accessori di legge.
Così deciso in Roma il 19 dicembre 2013
Il Consigliere estensore

stesso non emergeva alcun codice di attività proprio degli studi legali e che

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