Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 7556 del 27/03/2020

Cassazione civile sez. I, 27/03/2020, (ud. 18/02/2020, dep. 27/03/2020), n.7556

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE PRIMA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. GIANCOLA Maria Cristina – Presidente –

Dott. IOFRIDA Giulia – rel. Consigliere –

Dott. NAZZICONE Loredana – Consigliere –

Dott. SCALIA Laura – Consigliere –

Dott. CAMPESE Eduardo – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 6454/2019 proposto da:

G.A.H., elettivamente domiciliato in Roma, presso la

CANCELLERIA CIVILE DELLA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE, rappresentato

e difeso dall’avvocato Leonardo Bardi del Foro di Milano, giusta

procura speciale in calce al ricorso;

– ricorrente –

contro

MINISTERO DELL’INTERNO, (OMISSIS), elettivamente domiciliato in Roma

Via Dei Portoghesi 12 Avvocatura Generale Dello Stato, che lo

rappresenta e difende;

– resistente –

avverso il decreto del TRIBUNALE di MILANO, depositata il 01/02/2019;

udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del

18/02/2020 da Dott. IOFRIDA GIULIA.

Fatto

FATTI DI CAUSA

Il Tribunale di Milano, con decreto n. 1132/2019, depositato in data 1/2/2019, ha respinto la richiesta di G.A.H., cittadino del (OMISSIS), a seguito di diniego da parte della competente Commissione territoriale, di riconoscimento dello status di rifugiato, nonchè della protezione sussidiaria e per ragioni umanitarie.

In particolare, i giudici del Tribunale, all’esito di udienza di comparizione delle parti nella quale era stato sentito il richiedente, hanno rilevato che: la vicenda personale narrata dal medesimo (essere stato costretto a lasciare il Paese d’origine, per motivi politici, essendo di religione mussulmana ed avendo militato nel partito di opposizione (OMISSIS) per scontri insorti con esponenti dell'(OMISSIS)) non era credibile, per genericità e diverse incongruenze, cosicchè non integrava i presupposti richiesti per il riconoscimento dello status di rifugiato, con riguardo a rischi di persecuzione o di danno grave in caso di rientro nel Paese d’origine; quanto alla richiesta di protezione sussidiaria, il Paese non risultava interessato da situazione di violenza indiscriminata o generalizzata (come risultava dai Report del Human Rights Watch e di (OMISSIS)); non ricorrevano le condizioni per la concessione del permesso per ragioni umanitarie, non emergendo ragioni di particolare vulnerabilità dello straniero o situazioni di significativo inserimento nel territorio italiano.

Avverso il suddetto decreto, G.A.H. propone ricorso per cassazione, affidato a due motivi, nei confronti del Ministero dell’Interno (che si costituisce al solo fine di partecipare all’udienza pubblica di discussione).

Diritto

RAGIONI DELLA DECISIONE

1. Il ricorrente lamenta, con il primo motivo, la violazione e falsa applicazione, ex art. 360 c.p.c., n. 3, del D.Lgs. n. 25 del 2008, art. 35 bis, comma 111, lett. a) e b) rilevando che, stante la non disponibilità della videoregistrazione dell’audizione del richiedente dinnanzi alla Commissione territoriale, l’espletamento dell’udienza di comparizione delle parti “avrebbe condotto” il Tribunale a ritenere integrati i presupposti per la chiesta protezione internazionale; con il secondo motivo, si denuncia la contraddittorietà o manifesta illogicità della motivazione, lamentandosi sempre che il Tribunale, non abbia disposto l’udienza di comparizione delle parti.

2. Le censure sono inammissibili.

Invero, il ricorrente lamenta, genericamente, il mancato espletamento dell’udienza di comparizione delle parti e la mancata sua audizione, ma dal decreto impugnato si evince che il 13/9/2018 si è tenuta l’udienza di comparizione ed è stata “sentita la parte richiedente”.

Il richiedente è stato ritenuto non credibile.

Questa Corte ha recentemente chiarito che la valutazione in ordine alla credibilità del racconto del cittadino straniero costituisce un apprezzamento di fatto rimesso al giudice del merito, il quale deve valutare se le dichiarazioni del ricorrente siano coerenti e plausibili, D.Lgs. n. 251 del 2007, ex art. 3, comma 5, lett. c). Tale apprezzamento di fatto è censurabile in cassazione solo ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5 (nella specie nemmeno prospettato) come omesso esame circa un fatto decisivo per il giudizio che è stato oggetto di discussione tra le parti, come mancanza assoluta della motivazione, come motivazione apparente, come motivazione perplessa ed obiettivamente incomprensibile, dovendosi escludere la rilevanza della mera insufficienza di motivazione e l’ammissibilità della prospettazione di una diversa lettura ed interpretazione delle dichiarazioni rilasciate dal richiedente, trattandosi di censura attinente al merito (cfr. Cass. n. 3340 del 2019).

Il Tribunale ha anche motivatamente escluso – facendo riferimento alle fonti internazionali – che la zona di provenienza del ricorrente sia caratterizzata dalla presenza di un conflitto armato generatore di una situazione di violenza tanto diffusa ed indiscriminata da interessare qualsiasi persona ivi abitualmente dimorante.

Quanto poi alla richiesta di protezione umanitaria, il Tribunale ha sostanzialmente escluso l’esistenza di qualsivoglia specifica allegazione in punto di sua vulnerabilità, senza che il ricorrente abbia efficacemente censurato tale statuizione, a tal fine dovendosi solo evidenziare, in riferimento specifico al quinto motivo, che l’omesso esame ivi denunciato, oltre a non rispettare i canoni di prospettazione di tale vizio sanciti da Cass., SU, n. 8053 del 2014, investe circostanze prospettate del tutto genericamente ed in via astratta, così da renderne impossibile la loro valutazione in termini di necessaria decisività.

Giova aggiungere che le Sezioni Unite di questa Corte, nella recente sentenza n. 29460/2019, hanno ribadito, in motivazione, l’orientamento di questo giudice di legittimità in ordine al “rilievo centrale alla valutazione comparativa tra il grado d’integrazione effettiva nel nostro paese e la situazione soggettiva e oggettiva del richiedente nel paese di origine, al fine di verificare se il rimpatrio possa determinare la privazione della titolarità dell’esercizio dei diritti umani, al di sotto del nucleo ineliminabile e costitutivo della dignità personale”, rilevando che “non può, peraltro, essere riconosciuto al cittadino straniero il diritto al permesso di soggiorno per motivi umanitari considerando, isolatamente e astrattamente, il suo livello di integrazione in Italia, nè il diritto può essere affermato in considerazione del contesto di generale e non specifica compromissione dei diritti umani accertato in relazione al paese di provenienza (Cass. 28 giugno 2018, n. 17072)”, in quanto, così facendo, “si prenderebbe altrimenti in considerazione non già la situazione particolare del singolo soggetto, ma piuttosto quella del suo paese di origine, in termini del tutto generali ed astratti, di per sè inidonea al riconoscimento della protezione umanitaria”.

3. Per quanto sopra esposto, va dichiarato inammissibile il ricorso.

Non v’è luogo a provvedere sulle spese processuali, non avendo l’intimato svolto attività difensiva.

PQM

La Corte dichiara inammissibile il ricorso.

Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato, pari a quello per il ricorso, ove dovuto, a norma dello stesso art. 13, comma 1 bis.

Così deciso in Roma, il 18 febbraio 2020.

Depositato in Cancelleria il 27 marzo 2020

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