Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 7555 del 08/03/2022

Cassazione civile sez. VI, 08/03/2022, (ud. 28/01/2022, dep. 08/03/2022), n.7555

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SESTA CIVILE

SOTTOSEZIONE 1

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. BISOGNI Giacinto – Presidente –

Dott. PARISE Clotilde – Consigliere –

Dott. IOFRIDA Giulia – rel. Consigliere –

Dott. VELLA Paola – Consigliere –

Dott. FALABELLA Massimo – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso proposto da:

F.C., elettivamente domiciliato in Venezia, San Polo

2988, presso lo studio dell’avv. Fabrizio Ippolito D’Avino (p.e.c.

fabrizioippolito.davino.venezia.pecavvocati.it) che lo rappresenta e

difende per procura speciale in calce al ricorso per cassazione;

– ricorrente –

nei confronti di:

MINISTERO DELL’INTERNO, in persona del Ministro pro tempore,

elettivamente domiciliato in ROMA, VIA DEI PORTOGHESI 12, presso

l’AVVOCATURA GENERALE DELLO STATO, che lo rappresenta e difende ope

legis;

– resistente –

avverso il decreto n. 1622/2021 del Tribunale di Venezia, emesso in

data 11 febbraio 2021 e depositato in data 16 febbraio 2021, R.G. n.

12336/2018;

sentita la relazione in Camera di Consiglio del relatore cons.

Iofrida Giulia.

 

Fatto

FATTI DI CAUSA

1. Con ricorso D.Lgs. n. 25 del 2008 ex art. 35-bis, F.C., nato nel Delta State, in Nigeria, ha adito il Tribunale di Venezia impugnando il provvedimento con cui la competente Commissione territoriale ha respinto la sua richiesta di protezione internazionale, nelle forme dello status di rifugiato e della protezione sussidiaria, e di protezione umanitaria. Nel richiedere la protezione internazionale il ricorrente esponeva di aver lasciato la Nigeria per dei problemi ad un occhio che non poteva curare nel proprio paese.

Il Tribunale ha ritenuto insussistenti i presupposti per il riconoscimento di alcuna forma di protezione. In particolare il Tribunale, per quel che ancora rileva, ha ritenuto che le ragioni poste dal ricorrente alla base dell’espatrio non fossero tali da integrare i presupposti tanto della protezione speciale, applicabile ratione temporis, che di casi speciali di cui al D.Lgs. n. 286 del 1998, o della protezione umanitaria. In particolare, il Tribunale ha ritenuto che il ricorrente non avesse raggiunto un adeguato livello di integrazione sociale tenuto conto che, ancorché egli avesse prodotto diversi contratti di somministrazione di lavoro, questi fossero consistenti in proroghe di pochi giorni lavorativi e non consentissero di considerare raggiunta una stabilità lavorativa né retributiva. Inoltre, a parere del Tribunale, non sarebbero emersi ulteriori elementi da cui potesse desumersi un effettivo radicamento del ricorrente sotto il profilo sociale e relazionale. Con particolare riferimento alla problematica di salute, il Tribunale evidenziava che il ricorrente non aveva saputo fornire una spiegazione coerente né del perché in Nigeria non potesse procurarsi le medicine necessarie, né del perché non avesse fatto ricorso alle cure dell’ospedale. In aggiunta, il Tribunale, alla luce della documentazione medica versata in atti, ha ritenuto che non vi fosse idonea documentazione rilasciata da una struttura pubblica o da un medico privato convenzionato con il Servizio sanitario nazionale attestante la sussistenza di gravi condizioni psicofisiche o derivanti da gravi patologie, tali da determinare un rilevante pregiudizio alla salute del ricorrente in caso di rientro nel paese di origine.

Avverso il predetto decreto ha proposto ricorso per cassazione, notificato in data 5 marzo 2021, F.C., svolgendo quattro motivi. L’intimata Amministrazione ha depositato atto di costituzione al fine di poter eventualmente partecipare alla discussione orale. Il ricorrente ha depositato memoria.

Diritto

RAGIONI DELLA DECISIONE

1. Il ricorrente lamenta: “1. Violazione/falsa applicazione di legge (D.L. n. 130 del 2020, art. 15, in relazione al T.U. n. 286 del 1998, art. 5, comma 6, e del D.Lgs. n. 2 del 2008, art. 32, comma 3), in relazione all’affermata applicabilità della normativa sopravvenuta; 2. Violazione di legge (D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 3, comma 3, lett. c)); 3. Violazione di legge (D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 3, commi 1, 3a) e 3-c)); 4. Violazione di legge (D.Lgs. n. 286 del 1998, art. 5, comma 6, nel testo previgente)”.

2. Con il primo motivo si censura, anzitutto, la violazione e falsa applicazione di legge del D.L. n. 130 del 2020, art. 15, in relazione al T.U. n. 286 del 1998, art. 5, comma 6, e del D.Lgs. n. 2 del 2008, art. 32, comma 3, per avere il Tribunale ritenuto applicabile il sopravvenuto D.L. n. 130 del 2020, art. 15, anche alle domande di protezione umanitaria proposte, come quella del ricorrente, prima del 5 ottobre 2018, data di entrata in vigore del D.L. n. 133 del 2018.

La censura è infondata.

Si osserva che il D.Lgs. n. 130 del 2020, art. 15, così come convertito dalla L. n. 173 del 2020, dispone che: “1. Le disposizioni di cui all’art. 1, comma 1, lett. a), e) ed f), si applicano anche ai procedimenti pendenti alla data di entrata in vigore del presente decreto avanti alle commissioni territoriali, al questore e alle sezioni specializzate dei tribunali, con esclusione dell’ipotesi prevista dall’art. 384 c.p.c., comma 2.

Nel caso in esame, il Tribunale ha ritenuto applicabile la nuova disciplina introdotta dal D.L. n. 130 del 2020 (in forza della normativa transitoria applicabile immediatamente ai procedimenti di merito ancora pendenti), che ha inserito la clausola di salvaguardia rappresentata dagli obblighi costituzionali ed internazionali, e non la protezione umanitaria secondo la previgente normativa, sulla quale svolge le proprie argomentazioni il motivo in esame (cfr. D.Lgs. n. 286 del 1998, art. 5, comma 6 e art. 19, commi 1 e 1.1.).

Questa Corte (Cass. 13248/2021) ha precisato che la nuova disciplina della protezione umanitaria, introdotta con il D.L. n. 130 del 2020, conv. con modif. dalla L. n. 173 del 2020, entrata in vigore il 22 ottobre 2020, non trova applicazione nei giudizi di cassazione pendenti alla suddetta data, “stante il tenore letterale della norma transitoria prevista dal D.L. citato, art. 15, che prevede l’immediata sua applicazione ai procedimenti pendenti avanti alle commissioni territoriali, al questore ed alle sezioni specializzate, rendendo evidente che scopo della norma è quello di prevenire “la duplicazione di procedimenti amministrativi e di eventuali contenziosi”, finalità che si attaglia ai procedimenti ed ai giudizi di merito”.

3.Nella “Sintesi dei motivi” a pag. 2, vengono anche indicati i motivi secondo, terzo, quarto, sempre attinenti al diniego di protezione umanitaria.

Con il secondo motivo di ricorso, il ricorrente censura la violazione del D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 3, comma 3, lett. c), per non aver il Tribunale tenuto conto della “situazione individuale e delle circostanze personali del richiedente”, omettendo di accertare, eventualmente a mezzo di consulenza tecnica, la sussistenza della patologia oculare denunciata e documentata dal ricorrente.

Con il terzo motivo di ricorso, il ricorrente si duole della violazione del D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 3, commi 1, 3-a) e 3-c), per non aver il Giudice cooperato in via istruttoria acquisendo le necessarie informazioni sul contesto politico e sociale di provenienza del richiedente onde accertare la sussistenza dei pericoli per la salute, come da quest’ultimo dedotti, e l’insufficiente tutela garantita nel paese ai diritti fondamentali, quali quello alla salute.

Con il quarto motivo, il ricorrente censura la violazione del D.Lgs. n. 286 del 1998, art. 5, comma 6 (nel testo previgente) per non aver il Giudice effettuato un giudizio comparativo tra il grado di integrazione sociale raggiunto dal richiedente asilo nella comunità di accoglienza con il godimento dei diritti fondamentali e la situazione che troverebbe in caso di rientro nel paese di origine.

Ora, si deve rilevare che le doglianze, al di là della sintesi esposta a pag. 2, non risultano in alcun modo sviluppate nel ricorso, con conseguente loro inammissibilità.

In memoria, il ricorrente richiama alcune argomentazioni che, presenti nel corpo dell’unico motivo indicato a pag. 4 (il primo), sarebbero in realtà da ricollegare ai motivi suddetti (secondo, terzo e quarto).

Anche nel merito del diniego di protezione umanitaria, le suddette censure sono, in ogni caso, inammissibili.

Invero, sul fronte dell’allegazione, il ricorrente contesta la valutazione del Tribunale in quanto, diversamente da quanto affermato nella decisione impugnata, la documentazione prodotta dal richiedente sarebbe riconducibile a medici/strutture accreditate dal servizio nazionale (v. pag. 9 del ricorso). Il ricorso, invece, risulta privo di censure specifiche relative alla valutazione del tribunale sulla mancanza di attualità della documentazione allegata (salvo pag. 10, in cui si conferma in realtà quanto affermato dal tribunale, e cioè che non fosse stata prodotta documentazione successiva al dicembre 2018) e della conseguente attualità delle terapie necessarie.

Ma le censure suddette sono inammissibili in quanto non colgono la ratio decidendi: a) con riferimento alla patologia oculare (diagnosi di cecità all’occhio destro), non risultava, ad avviso del Tribunale, documentata “l’attuale necessità di cure” specifiche (risultando solo la prescrizione di un collirio in caso di sintomatologia) e non era stato neppure spiegato perché in Nigeria non vi fosse possibilità di procurarsi le medicine necessarie, cosicché non vi è stata necessità di compiere istruttoria officiosa; b) il giudizio di comparazione è stato condotto ma si è rilevato che, in difetto di situazioni personali di vulnerabilità, anche l’aspetto dell’integrazione sociale fosse non sufficiente a dimostrare un radicamento effettivo in Italia, emergendo dalla documentazione una “forte precarietà lavorativa e retributiva” in difetto di altri indici significativi di legami sociali e relazionali nel Paese (il ricorrente si trovava ospitato ancora in un centro di accoglienza e non conosceva la lingua italiana). E ciò anche alla luce di quanto da ultimo chiarito dalle Sezioni Unite (Cass. SU 24413/2021).

4. Per tutto quanto sopra esposto, il ricorso va respinto. Non v’e’ luogo a provvedere sulle spese processuali non avendo l’intimato svolto attività difensiva.

P.Q.M.

La Corte respinge il ricorso.

Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, dà atto della ricorrenza dei presupposti processuali per il versamento da parte del ricorrente dell’importo a titolo di contributo unificato, pari a quello dovuto per il ricorso, ove dovuto, a norma dello stesso art. 13, comma 1 bis.

Così deciso in Roma, nella Camera di Consiglio, il 28 gennaio 2022.

Depositato in Cancelleria il 8 marzo 2022

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