Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 7555 del 01/04/2014


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Civile Sent. Sez. L Num. 7555 Anno 2014
Presidente: MIANI CANEVARI FABRIZIO
Relatore: DI CERBO VINCENZO

SENTENZA

sul ricorso 6118-2013 proposto da:
POSTE ITALIANE S.P.A. C.F. 97103880585, in persona del
legale rappresentante pro tempore, elettivamente
domiciliata in ROMA, VIA PO 25-B, presso lo studio
dell’avvocato PESSI ROBERTO, che la rappresenta e
difende giusta delega in atti;
– ricorrente –

2013
3665

contro

BRUSCIANO MONICA c.f. brsmnc631691480I, elettivamente
domiciliata in ROMA, VIA VALADIER 44, presso lo studio
dell’avvocato SCHILLACI FRANCESCO, rappresentata e

Data pubblicazione: 01/04/2014

A-

difesa dall’avvocato MASSANELLI MICHELA MARIA, giusta
delega in atti;
– controricorrente –

avverso la sentenza n. 21/2012 della CORTE D’APPELLO
di ANCONA, depositata il 29/02/2012 R.G.N. r.g.n.

udita la relazione della causa svolta nella pubblica
udienza del 12/12/2013 dal Consigliere Dott. VINCENZO
DI CERBO;
udito l’Avvocato SCHILLACI , FRANCESCO per delega
MASSANELLI MICHELA MARIA;
udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore
Generale Dott. ENNIO ATTILIO SEPE, che ha concluso per
l’accoglimento del ricorso per quanto di ragione.

295/2008;

6118.13

Udienza 12 dicembre 2013

Pres. F. Miani Canevari
Est. V. Di Cerbo

Sentenza

Rilevato che
1.

Con sentenza depositata in data 29 febbraio 2012 la Corte d’appello di Ancona ha
confermato la sentenza di prime cure nella parte in cui aveva dichiarato l’illegittimità
del termine apposto al contratto di lavoro stipulato in data 29 febbraio 2000 da
Poste Italiane s.p.a. con Monica Brusciano e per l’effetto aveva dichiarato la
sussistenza, tra le parti, di un rapporto di lavoro subordinato a tempo indeterminato
a decorrere dal 1 marzo 2000 ed aveva condannato Poste Italiane s.p.a. a
riammettere la lavoratrice nel posto di lavoro. Con la stessa sentenza, la Corte
territoriale, riformando sul punto la decisione di prime cure, ha condannato Poste
Italiane s.p.a. al pagamento, a favore della lavoratrice sopra indicata, di una somma
pari a otto mensilità dell’ultima retribuzione globale di fatto, oltre rivalutazione e
interessi legali “come per legge dal contratto di lavoro al saldo”, a titolo di
risarcimento del danno ex art. 32 della legge n. 183 del 2010.

2.

Per la cassazione delle suddette sentenze Poste Italiane s.p.a. ha proposto ricorso
illustrato da memoria; la lavoratrice ha resistito con controricorso.

3.

Il Collegio ha disposto che sia adottata una motivazione semplificata.

4.

Come si evince dalla sentenza impugnata Monica Brusciano è stata assunta con
contratto a tempo determinato stipulato, in data 29 febbraio 2000, ai sensi dell’art. 8
del c.c.n.l. 26 novembre 1994, come integrato dall’accordo aziendale 25 settembre
1997, per esigenze eccezionali conseguenti alla fase di ristrutturazione …

5.

La Corte di merito ha attribuito rilievo decisivo ai fini della statuizione sull’illegittimità
del termine, alla considerazione che il contratto in esame è stato stipulato in data
successiva al 30 aprile 1998. Sotto altro profilo ha rigettato l’eccezione, formulata da
Poste Italiane s.p.a., di risoluzione del rapporto per mutuo consenso.

6.

Con il primo motivo la società ricorrente censura (denunciando violazione degli artt.
1372, primo e secondo comma, cod. civ. nonché vizio di motivazione) la statuizione
della sentenza impugnata che ha rigettato l’eccezione di risoluzione del rapporto per
mutuo consenso.

7.

La censura è infondata; secondo il costante insegnamento di questa Suprema Corte
(cfr., in particolare, Cass. 17 dicembre 2004 n. 23554), nel giudizio instaurato ai fini

3

La Corte

8.

La statuizione sulla illegittimità del termine è stata censurata con il secondo motivo,
col quale la società ricorrente ha denunciato violazione e falsa applicazione degli artt.
1362 e segg. cod. civ. nonché vizio di motivazione deducendo l’erronea
interpretazione, da parte della Corte territoriale, di norme collettive dalla stessa
richiamate nella motivazione della sentenza impugnata.

9.

La censura è infondata e deve essere pertanto rigettata.

10. Ed infatti, sulla scia di Cass. S.U. 2 marzo 2006 n. 4588, è stato precisato che
l’attribuzione alla contrattazione collettiva, ex art. 23 della legge n. 56 del 1987, del
potere di definire nuovi casi di assunzione a termine rispetto a quelli previsti dalla
legge n. 230 del 1962, discende dall’intento del legislatore di considerare l’esame
congiunto delle parti sociali sulle necessità del mercato del lavoro idonea garanzia
per i lavoratori ed efficace salvaguardia per i loro diritti (con l’unico limite della
predeterminazione della percentuale di lavoratori da assumere a termine rispetto a
quelli impiegati a tempo indeterminato) e prescinde, pertanto, dalla necessità di
individuare ipotesi specifiche di collegamento fra contratti ed esigenze aziendali o di
riferirsi a condizioni oggettive di lavoro o soggettive dei lavoratori ovvero di fissare
contrattualmente limiti temporali all’autorizzazione data al datore di lavoro di
procedere ad assunzioni a tempo determinato (cfr. Cass. 4 agosto 2008 n. 21063; cfr.
altresì Cass. 20 aprile 2006 n. 9245, Cass. 7 marzo 2005 n. 4862, Cass. 26 luglio 2004
n. 14011). Ne risulta, quindi, una sorta di “delega in bianco” a favore dei contratti
collettivi e dei sindacati che ne sono destinatari, non essendo questi vincolati
all’individuazione di ipotesi comunque omologhe a quelle previste dalla legge, ma
dovendo operare sul medesimo piano della disciplina generale in materia ed
inserendosi nel sistema da questa delineato (cfr., fra le altre, Cass. 4 agosto 2008 n.
21062, Cass. 23 agosto 2006 n. 18378); in tale quadro, ove però, come nel caso di
specie, un limite temporale sia stato previsto dalle parti collettive (anche con accordi
integrativi del contratto collettivo) la sua inosservanza determina la nullità della
clausola di apposizione del termine (v. fra le altre Cass. 23 agosto 2006 n. 18383,
Cass. 14 aprile 2005 n. 7745, Cass. 14 febbraio 2004 n. 2866); in particolare, quindi,

4

del riconoscimento della sussistenza di un unico rapporto di lavoro a tempo
indeterminato (sul presupposto dell’illegittima apposizione al relativo contratto di un
termine finale ormai scaduto), per la configurabilità di una risoluzione del rapporto
per mutuo consenso è necessario che sia accertata – sulla base del lasso di tempo
trascorso dopo la conclusione dell’ultimo contratto a termine, nonché alla stregua
delle modalità di tale conclusione, del comportamento tenuto dalla parti e di
eventuali circostanze significative – una chiara e certa comune volontà delle parti
medesime di porre definitivamente fine ad ogni rapporto lavorativo; la valutazione
del significato e della portata del complesso di tali elementi di fatto compete al
giudice di merito, le cui conclusioni non sono censurabili in sede di legittimità se non
sussistono vizi logici o errori di diritto; nel caso in esame la Corte di merito ha
ritenuto che la mera inerzia del lavoratore dopo la scadenza del contratto non fosse
sufficiente, in mancanza di ulteriori significativi elementi di valutazione, a far ritenere
la sussistenza dei presupposti della risoluzione del rapporto per mutuo consenso e
tale conclusione in quanto priva di vizi logici o errori di diritto resiste alle censure
mosse in ricorso.

come questa Corte ha univocamente affermato e come va anche qui ribadito, in

con l’ulteriore conseguenza della trasformazione degli stessi contratti in contratti a
tempo indeterminato, in forza dell’art. 1 della legge 18 aprile 1962 n. 230 (v., fra le
altre, Cass. 1 ottobre 2007 n. 20608; Cass. 28 novembre 2008 n. 28450; Cass. 4
agosto 2008 n. 21062; Cass. 27 marzo 2008 n. 7979, Cass. 18378/2006 cit.). La
sentenza impugnata ha fatto corretta applicazione dei suddetti principi.
11. Con il terzo e quarto motivo, che devono essere esaminati congiuntamente in quanto
logicamente connessi, la società ricorrente censura (denunciando violazione dell’art.
8 della legge n. 604 del 1966, dell’art. 32 della legge n. 183 del 2010 e dell’art. 429
cod. proc. civ. nonché vizio di motivazione) la statuizione concernente le
conseguenze economiche della declaratoria dell’illegittimità del termine. Deduce,
sotto un primo profilo, che, nella determinazione dell’indennità prevista dall’art. 32,
comma quinto, della legge n. 183 del 2010, la Corte non aveva tenuto conto dei
criteri indicati dal citato art. 8 e comunque non aveva motivato sul punto. Sotto altro
profilo allega che la Corte non aveva spiegato le ragioni per cui aveva escluso
l’applicabilità alla fattispecie in esame del limite massimo (sei mesi) di mensilità
previsto dall’art. 32, comma 6, della legge n. 183 del 2010. Sotto un terzo profilo
contesta la condanna al pagamento degli accessori di legge (interessi legali e
rivalutazione monetaria) maturati sull’indennità ex art. 32 cit. Deduce che gli
accessori non sarebbero dovuti atteso il carattere onnicomprensivo dell’indennità.
12. Le prime due censure sono prive di fondamento.
13. Va premesso che, come già precisato da questa Corte di legittimità (Cass. 29 febbraio
2012 n. 3056), l’indennità di cui all’art. 32 della legge n. 183 del 2010 configura, alla
luce dell’interpretazione adeguatrice offerta dalla Corte costituzionale con la
sentenza n. 303 del 2011, una sorta di penale ex lege a carico del datore di lavoro che
ha apposto il termine nullo, ed è liquidata dal giudice, nei limiti e con i criteri fissati
dal citato art. 32 (che richiama i criteri indicati nell’art. 8 della legge n. 604 del 1966),
a prescindere dall’intervenuta costituzione in mora del datore di lavoro e dalla prova
di un danno effettivamente subito dal lavoratore, trattandosi di indennità forfetizzata
e onnicomprensiva per i danni causati dalla nullità del termine nel periodo c.d.
intermedio (e cioè dalla scadenza del termine alla sentenza di conversione del
rapporto). In senso conforme a quanto già affermato dalla Corte costituzionale e da
questa Corte di legittimità è stata poi emanata la legge n. 92 del 2012 che, all’art. 1,
comma 13, con norma di interpretazione autentica ha così disposto: La disposizione
di cui al comma 5 dell’art. 32 della legge 4 novembre 2010 n. 183 si interpreta nel
senso che l’indennità ivi prevista ristora per intero il pregiudizio subito dal lavoratore,
comprese le conseguenze retributive e contributive relative al periodo compreso fra
5

materia di assunzioni a termine di dipendenti postali, con l’accordo sindacale del 25
settembre 1997, integrativo dell’art. 8 del c.c.n.l. 26 novembre 1994, e con il
successivo accordo attuativo, sottoscritto in data 16 gennaio 1998, le parti hanno
convenuto di riconoscere la sussistenza della situazione straordinaria, relativa alla
trasformazione giuridica dell’ente ed alla conseguente ristrutturazione aziendale e
rimodulazione degli assetti occupazionali in corso di attuazione, fino alla data del 30
aprile 1998; ne consegue che deve escludersi la legittimità delle assunzioni a termine
cadute dopo il 30 aprile 1998, per carenza del presupposto normativo derogatorio,

14. Sulla base di tali premesse e, in applicazione dei principi generali in materia di
sindacato di legittimità, con particolare riferimento all’art. 360 cod. proc. civ., deve
affermarsi, coerentemente con quanto più volte affermato da questa Corte in tema
di indennità di cui all’art. 8 della legge n. 604 del 1966 (cfr. Cass. 5 gennaio 2001 n.
107; Cass. 15 maggio 2006 n. 11 107; Cass. 14 giugno 2006 n. 13732) che la
determinazione tra il minimo e il massimo della misura dell’indennità de qua spetta al
giudice di merito ed è censurabile in sede di legittimità solo per motivazione assente,
illogica o contraddittoria.
15. Nel caso in esame la Corte territoriale ha tenuto conto, come si evince dalla
motivazione, in relazione ai criteri stabiliti nell’art. 8 della legge n. 604 del 1966, delle
dimensioni nazionali della società datrice di lavoro e della limitata anzianità di
servizio della lavoratrice ed ha concluso nel senso che ha ritenuto congruo
determinare l’indennità onnicomprensiva “in prossimità del termine medio delle otto
mensilità, nell’assenza di deduzioni specifiche tali da giustificare una liquidazione
superiore o inferiore”. Deve pertanto escludersi che sia incorsa nella denunciata
violazione di legge ovvero nel vizio di assenza, illogicità o contraddittorietà della
motivazione.
16. Ealtresì infondata la censura riferita all’art. 32, comma 6, della legge n. 183 del 2010.
Appare infatti evidente che la presenza di contratti o accordi collettivi “che
prevedano l’assunzione anche a tempo indeterminato di lavoratori già occupati con
contratto a termine nell’ambito di specifiche graduatorie” deve essere effettiva in
relazione alla fattispecie concreta e non già ipotetica o astratta. Una diversa
interpretazione si porrebbe in contrasto con l’art. 3 Cost. in quanto attribuirebbe un
uguale trattamento a situazioni del tutto differenti, come, da un lato, quella dei
lavoratori che sono in condizione di optare per la stabilizzazione e, dall’altro, quella
dei lavoratori che non possono esercitare tale opzione. Ciò che rileva, al fine della
riduzione alla metà del limite massimo previsto dalla norma, è la possibilità di una
applicazione in concreto dei citati contratti o accordi collettivi. Orbene, la stessa
società riconosce (cfr. ricorso per cassazione) che, nel caso di specie, non era
possibile, alla data di emissione della sentenza impugnata, l’adesione della
lavoratrice agli accordi di stabilizzazione.
17. La sentenza impugnata ha fatto corretta applicazione dei suddetti principi e pertanto
anche tale censura deve essere rigettata.
18. Esinvece fondata, nei limiti di seguito indicati, la censura con il quale la società
deduce, in sostanza, che l’indennità di cui all’art. 32 cit. non sarebbe suscettibile di
alcuna maggiorazione a titolo di interessi e/o rivalutazione monetaria non essendo
applicabile alla fattispecie la disposizione di cui all’art. 429 cod. proc. civ.
19. Ed infatti l’indennità in esame deve essere annoverata fra i crediti di lavoro ex art.
429, comma 3, cod. proc. civ. giacché, come più volte affermato da questa Corte, tale
ampia accezione si riferisce a tutti i crediti connessi al rapporto di lavoro e non

6

la scadenza del termine e la pronuncia del provvedimento con il quale il giudice abbia
ordinato la ricostituzione del rapporto di lavoro.

soltanto a quelli aventi natura strettamente retributiva (cfr., ad esempio, per i crediti

rapporto. Va peraltro precisato che dalla natura di liquidazione forfettaria e
onnicomprensiva del danno relativo al detto periodo consegue che gli accessori ex
art. 429, terzo comma, cod. proc. civ. sono dovuti soltanto a decorrere dalla data
della sentenza che, appunto, delimita temporalmente la liquidazione stessa. Orbene,
l’impugnata sentenza, che ha condannato Poste Italiane s.p.a. al pagamento “della
indennità onnicomprensiva … nella misura di otto mensilità dell’ultima retribuzione
globale di fatto, oltre interessi legali e rivalutazione monetaria ISTAT accessori come
per legge dal contratto di lavoro al saldo” non ha correttamente applicato il suddetto
principio.
20. La sentenza impugnata deve essere cassata in relazione alla censura accolta. Poiché
non sono necessari ulteriori accertamenti di fatto la Corte, decidendo nel merito ai
sensi dell’art. 384 cod. proc. civ., determina la decorrenza degli interessi e della
rivalutazione monetaria sull’indennità in questione dalla data della sentenza che ha
liquidato l’indennità.
21. Tenuto conto dell’esito della controversia si ritiene conforme a diritto confermare le
statuizioni dei giudici di merito in tema di spese processuali e compensare
integralmente fra le parti le spese del giudizio di legittimità.

P.Q.M.
La Corte accoglie il quarto motivo di ricorso, rigettati gli altri; cassa in relazione al motivo
accolto e decidendo nel merito fissa nella data della sentenza che ha statuito sulla
conversione la decorrenza degli accessori concernenti l’indennità ai sensi dell’art. 32 della
legge n. 183 del 2010. Conferma le statuizioni dei giudici di merito in tema di spese
processuali e compensa le spese del giudizio di cassazione.
Così deciso in Roma, nella camera di consiglio del 12 dicembre 2013.

liquidati ex art. 18 legge n. 300 del 1970, Cass. 23 gennaio 2003 n. 1000; Cass. 6
settembre 2006 n. 19159; per l’indennità ex art. 8 della legge n. 604 del 1966, Cass.
21 febbraio 1985 n. 1579; per le somme liquidate a titolo di risarcimento del danno
ex art. 2087 cod. civ., Cass. 8 aprile 2002 n. 5024). D’altra parte l’indennità in esame
rappresenta comunque il ristoro (sia pure forfetizzato e onnicomprensivo) dei danni
conseguenti alla nullità del termine apposto al contratto di lavoro, relativamente al
periodo che va dalla scadenza del termine alla data della sentenza di conversione del

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