Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 7554 del 08/03/2022

Cassazione civile sez. VI, 08/03/2022, (ud. 27/01/2022, dep. 08/03/2022), n.7554

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SESTA CIVILE

SOTTOSEZIONE 2

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. LOMBARDO Luigi Giovanni – Presidente –

Dott. TEDESCO Giuseppe – rel. Consigliere –

Dott. SCARPA Antonio – Consigliere –

Dott. FORTUNATO Giuseppe – Consigliere –

Dott. VARRONE Luca – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 14720-2021 proposto da:

P.E., P.O., C.L.,

C.S. (gli ultimi due eredi di P.M.), elettivamente

domiciliati in ROMA, VIA CARLO GALASSI PALUZZI, 5, presso lo studio

dell’avvocato LUCIA BUCCI, rappresentati e difesi dagli avvocati

VINCENZO ALESSANDRO CIUCCI, BERARDINO CIUCCI;

– ricorrenti –

contro

PE.MA., elettivamente domiciliata in Roma al Piazzale

Enrico Dunant 15 presso lo studio legale dell’avvocato Gloria

Calenda, appresentata e difesa dall’avv. Terenzio Fulvio Ponte;

– controricorrente –

P.I.;

– intimata –

avverso la sentenza n. 383/2021 della CORTE D’APPELLO di L’AQUILA,

depositata il 12/03/2021;

udita la relazione della causa svolta nella Camera di Consiglio del

27/01/2022 dal Consigliere Dott. TEDESCO GIUSEPPE.

 

Fatto

FATTI DI CAUSA E RAGIONI DELLA DECISIONE

La Corte d’appello dell’Aquila, in riforma della sentenza di primo grado, ha dichiarato prescritto il diritto di P.O., P.E. e P.M. di accettare l’eredità di P.P., accogliendo l’eccezione di prescrizione proposta da Pe.Ma..

Per la cassazione della sentenza P.O., P.E. e gli eredi di P.M. ( C.S. e C.L.) hanno proposto ricorso sulla base di due motivi: con il primo si denuncia omesso esame di un fatto decisivo per il giudizio, che è identificato in una dichiarazione di successione presentata dalla stessa coerede che aveva poi eccepito la prescrizione. Si fa notare che in tale dichiarazione i ricorrenti erano annoverati fra gli eredi, conseguendone da ciò, atteso riconoscimento della qualità ereditaria, la preclusione della successiva eccezione. Il secondo motivo denuncia la violazione del giudicato, non essendo stata impugnata la statuizione di primo grado che aveva riconosciuto il diritto degli attuali ricorrenti di concorrere nella divisione dei beni del de cuius.

Pe.Ma. ha resistito con controricorso.

La causa è stata chiamata dinanzi alla Sesta sezione civile della Suprema corte su conforme proposta del relatore di inammissibilità del ricorso.

I ricorrenti hanno depositato memoria.

Il primo motivo è inammissibile. Le dichiarazioni di successione sono state considerate dalla Corte d’appello, che le ha ritenute insufficienti ai fini della prova dell’accettazione, nonostante gli attuali ricorrenti fossero indicati fra gli eredi. In questo senso la Corte d’appello ha fatto corretta applicazione del principio, consolidato nella giurisprudenza della Corte, secondo cui la denuncia di successione ed il pagamento della relativa imposta non importano accettazione tacita dell’eredità, trattandosi di adempimenti di contenuto prevalentemente fiscale diretti ad evitare l’applicazione di sanzioni, come tali non implicanti univocamente la volontà di accettare l’eredità (Cass. n. 4783/2019; n. 10976/2009; n. 4843/2019). Nel ricorso, in verità, la questione sembra presentata in una prospettiva diversa. La dichiarazione di successione, che annoverava i ricorrenti fra gli eredi, non è invocata quale prova dell’accettazione, ma come comportamento tale da precludere a Pe.Ma., la quale ne aveva curato la presentazione, la proponibilità dell’eccezione di prescrizione: quindi sotto il profilo di una implicita rinuncia alla prescrizione.

A tale interpretazione del motivo di ricorso, anticipato con la proposta del relatore, i ricorrenti obiettano che essi, con il primo motivo, non intendevano far valere una pretesa rinuncia alla prescrizione da parte di Pe.Ma., bensì l’intervenuto riconoscimento della qualità di erede, operato dalla medesima nella dichiarazione di successione.

La precisazione operata nella memoria è puramente terminologica e lascia invariati i termini della questione, perché rimane pur sempre vero il rilievo che la dichiarazione di successione, tenuto conto della sua finalità, come non basta a fare configurare una accettazione tacita, così non consente di attribuire al dichiarante la volontà di riconoscere la qualità di eredi dei soggetti annoverati in essa quali aventi diritto alla successione.

Sotto questo profilo la decisione della Corte d’appello continua a caratterizzarsi pur sempre quale apprezzamento di merito non sindacabile in questa sede.

E’ inammissibile anche il secondo motivo. Il diritto dei coeredi di chiedere in ogni tempo la divisione ed il connesso diritto alla collazione postulano l’assunzione della qualità di erede e pertanto che sia intervenuta l’accettazione (espressa o tacita) dell’eredità da parte del chiamato entro il termine di prescrizione di cui all’art. 480 c.c. (Cass. n. 11831/1992). Consegue che, in presenza di una eccezione di prescrizione del diritto di accettare l’eredità, rigettata in primo grado e accolta in appello, tale accoglimento determina il venir meno della statuizione del primo giudice che aveva riconosciuto il diritto di coloro ai quali l’eccezione si riferisce di concorrere nella divisione ereditaria. Tale statuizione, infatti, costituisce un capo dipendente dal positivo riconoscimento della qualità di erede, derivante dal rigetto esplicito o implicito dell’eccezione, rispetto al quale non occorre perciò specifica impugnazione, in applicazione del principio secondo cui l’effetto espansivo interno derivante dalla riforma o cassazione parziale della sentenza, previsto dall’art. 336 c.p.c., comma 1, trova applicazione rispetto ai capi della pronunzia non impugnati autonomamente, ma necessariamente dipendenti da altro capo impugnato (Cass. n. 5550/2021; n. 12785/1992).

Conclusivamente, il ricorso deve essere dichiarato inammissibile.

Ci sono le condizioni per dare atto, ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1-quater, della “sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte dei ricorrenti, di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato, pari a quello previsto per il ricorso a norma dello stesso art. 13, comma 1-bis, se dovuto”.

P.Q.M.

dichiara inammissibile il ricorso; condanna i ricorrenti al pagamento, in favore della controricorrente, delle spese del giudizio di legittimità, che liquida in Euro 4.000,00 per compensi, oltre alle spese forfettarie nella misura del 15%, agli esborsi liquidati in Euro 200,00 e agli accessori di legge; ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte dei ricorrenti, di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato, pari a quello previsto per il ricorso a norma dello stesso art. 13, comma 1-bis, se dovuto.

Così deciso in Roma, nella Camera di Consiglio della Sesta Seconda Sezione civile della Corte suprema di cassazione, il 27 gennaio 2022.

Depositato in Cancelleria il 8 marzo 2022

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