Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 7552 del 08/03/2022

Cassazione civile sez. trib., 08/03/2022, (ud. 23/02/2022, dep. 08/03/2022), n.7552

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TRIBUTARIA

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. GIUDICEPIETRO Andreina – Presidente –

Dott. CONDELLO Pasqualina A.P. – Consigliere –

Dott. FEDERICI Francesco – Consigliere –

Dott. D’ORAZIO Luigi – rel. Consigliere –

Dott. DI MARZIO Paolo – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso iscritto al n. 16500/2015 R.G. proposto da:

FGA Investimenti s.p.a., (già ITCA s.p.a.), in persona del legale

rappresentante pro tempore, e nella qualità di incorporante di ITCA

Produzione, rappresentata e difesa dall’Avv. Corrado Magnani e

dall’Avv. Maria Antonelli, giusta procura speciale in calce al

ricorso per cassazione, elettivamente domiciliata presso lo studio

del secondo Avvocato, in Roma, Piazza Gondar, n. 22;

– ricorrente –

contro

Agenzia delle entrate, in persona del Direttore pro tempore,

rappresentata e difesa dall’Avvocatura Distrettuale dello Stato e

presso i cui uffici domicilia in Roma, alla Via dei Portoghesi n.

12.

– controricorrente –

avverso la sentenza della Commissione tributaria regionale del

Piemonte, n. 5/24/2015, depositata il 13 gennaio 2015.

Udita la relazione svolta nella Camera di consiglio del 23 febbraio

2022 dal Consigliere Luigi D’Orazio.

 

Fatto

RILEVATO

che:

1. La Commissione tributaria regionale del Piemonte rigettava l’appello principale proposto dalla ITCA Produzione s.p.a. (ora FGA Investimenti), in relazione alla domanda di deducibilità dei costi intercompany, ai fini Irap 2006, e rigettava l’appello incidentale proposto dall’Agenzia delle entrate, in relazione alla indeducibilità dei costi da “distacco” di personale da ITCA Tools s.p.a. alla contribuente, avverso la sentenza della Commissione tributaria provinciale di Torino (n. 175/8/2012) che aveva accolto parzialmente il ricorso della contribuente relativamente alla deducibilità delle spese per distacco di personale per la somma di Euro 5.076.495,00. Il giudice d’appello, dopo aver rilevato l’esistenza del “giudicato interno” in relazione alla decisione di prime cure sulla indeducibilità delle quote di ammortamento dei terreni (in assenza di specifica impugnazione in prime cure), evidenziava, quanto alla deducibilità dei costi derivanti dal contratto intercompany, che il giudice di prime cure aveva errato nell’applicare il principio della ripartizione dell’onere della prova; infatti, quanto ai costi di “regia” gravava sulla capogruppo che intendeva dedurre per intero i costi per la gestione delle attrezzature e dei locali utilizzati anche da altre società del gruppo, l’onere di provare l’esistenza e l’inerenza dei costi. Nella specie, la società si era limitata a produrre solo alcune fatture, con causale generica (“ribaltamento spese enti centrali”) oltre ad un contratto di prestazione di servizi, indeterminato, privo di data certa anteriore alla verifica tributaria, in violazione dell’art. 2704 c.c., quindi non opponibile all’Amministrazione finanziaria. Ne’ poteva accogliersi la tesi della società, in base alla quale, trattandosi di un gruppo di imprese, non era necessaria ulteriore prova documentale, anche perché la contribuente era l’unica impresa produttrice del gruppo. In realtà, il gruppo di imprese era costituito da singole società, che mantenevano la propria autonomia, anche ai fini tributari.

Il giudice d’appello accoglieva, invece, il gravame incidentale proposto dalla Agenzia delle entrate, in relazione alla indeducibilità di dei costi per distacco di personale da ITCA Tools a favore della contribuente, ai fini Irap, per l’anno 2006. La società, infatti, affermava che non vi sarebbe mai stato un effettivo distacco di personale, ma “unicamente il ribaltamento di spese per il personale utilizzato da ITCA Tools s.p.a. presso la sede della società accertata per servizi utili a quest’ultima”. In realtà, nella specie, la fattura relativa al costo del personale utilizzato presso la società accertata recava espressamente la causale: “distacco di personale”. Era, dunque, irrilevante che la società distaccante, ossia la ITCA Tools, non avesse correttamente contabilizzato il relativo corrispettivo, in quanto la società accertata, ai sensi del D.Lgs. n. 446 del 1997, art. 11, non doveva e neppure poteva portare in deduzione la relativa spesa ai fini Irap. In realtà, per il giudice d’appello doveva essere presa in esame la fattura n. 10006 emessa 21 settembre 2007. Doveva essere applicato il principio giurisprudenziale per cui il rimborso del costo del personale dipendente di una società, distaccato presso altra, era esente da Iva soltanto se la controprestazione del distaccatario consisteva nel rimborso di una somma pari alle retribuzioni ed agli altri oneri previdenziali e contrattuali gravanti sul distaccante. Tali conclusioni potevano essere estese anche all’Irap. Dalla descrizione dell’oggetto della fattura risultava chiaramente che era stata posta in essere un’operazione di “prestito di personale”. Tutte le somme riaddebitate non comprendevano alcun surplus a titolo di utile (c.d. Mark up), fatto non specificamente contestato da FGA. Pertanto, in parziale riforma della sentenza impugnata, dichiarava legittimo l’accertamento dell’Ufficio anche in ordine alla indeducibilità ai fini Irap delle spese per ribaltamento servizi.

2. Avverso tale sentenza propone ricorso per cassazione la società contribuente FGA investimenti, depositando memoria scritta.

3. Resiste con controricorso l’Agenzia delle entrate.

Diritto

CONSIDERATO

che:

1. Anzitutto, si rigetta l’eccezione preliminare di mancanza di autosufficienza del ricorso per cassazione presentato dalla contribuente. Invero, il ricorso per cassazione, pure nella sua stringatezza, quanto alla descrizione del fatto, consente comunque la piena comprensione delle doglianze sollevate dalla società contribuente.

1.1. Con il primo motivo di impugnazione la società deduce la “nullità della sentenza per omessa pronuncia in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 4”. Nel ricorso introduttivo la società ha evidenziato che era pacifico ed anche ammesso da controparte, che i costi che avevano formato oggetto di “riaddebito” erano stati effettivamente sostenuti dalla società capogruppo, evidentemente a vantaggio di I.T.C.A. Produzione, quale unico soggetto del gruppo svolgente attività industriale. Si trattava di costi attinenti all’attività di impresa e perciò oggettivamente inerente alla stessa. Il giudice d’appello non ha esaminato la questione decisiva ai fini di causa.

2. Con il secondo motivo di impugnazione la ricorrente lamenta la “violazione e falsa applicazione dell’art. 109 Tuir, e dell’art. 2697 c.c., in riferimento all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3”. Il giudice d’appello, nell’accollare alla società il mancato assolvimento dell’adempimento dell’onere della prova, avrebbe violato l’art. 2697 c.c.. A prescindere, infatti, dalla sopravvenuta disciplina del consolidato nazionale che aveva sostanzialmente superato il problema, non vi era alcuna ragione per distinguere, sul piano giuridico – tributario i rapporti infragruppo rispetto a quelli fra operatori indipendenti e, specificamente, dal punto di vista probatorio. Inoltre, la Commissione regionale si è limitata ad affermare che i costi infragruppo erano indeducibili perché, né il contenuto delle fatture, né tantomeno il contenuto del contratto intercompany del (OMISSIS), era sufficiente a tale dimostrazione. Ma il giudice d’appello non avrebbe indicato quali fatti avrebbero dovuto formare oggetto della ulteriore prova dell’inerenza. Tra l’altro nessuna documentazione era stata richiesta dalla contribuente o alcuno specifico fatto era stato contestato in ordine alla utilità effettiva o potenziale conseguita dalla società che riceve il servizio.

3. Con il terzo motivo di impugnazione la società si duole della “violazione e falsa applicazione del D.P.R. n. 917 del 1986, art. 109, e dell’art. 2697 c.c., in riferimento all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3”. Per la società costituiva circostanza pacifica quella dell’esistenza del costo di “regia” o intercompany. Con riferimento, però, all’inerenza di tali costi solo impropriamente, ed erroneamente poteva parlarsi di onere di dimostrazione a carico di una delle parti e, quindi, con riguardo ai componenti negativi di reddito del contribuente. Tra l’altro, costituivano fatti incontroversi: l’effettività dei costi addebitati alla contribuente, all’epoca ITCA Produzione s.p.a.; la loro oggettiva inerenza all’esercizio dell’impresa trattandosi di costi di natura amministrativa, “consulenziale” e gestionale; l’utilizzazione esclusiva di tali servizi da parte della contribuente.

4. Con il quarto motivo di impugnazione la ricorrente deduce la “violazione e falsa applicazione del D.P.R. n. 917 del 1986, art. 109, in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3. “Al giudice d’appello, avendo ritenuto non sufficiente la produzione del contratto intercompany, delle fatture, e delle schede contabili allegati al processo verbale di constatazione, avrebbe violato il D.P.R. n. 917 del 1986, art. 109. I costi, peraltro, erano stati utilizzati interamente ed esclusivamente dalla società contribuente quale unica produttrice di ricavi. In realtà, per la società, la scrittura privata infragruppo del (OMISSIS) era specifica, in quanto le società, in base alle proprie strutture organizzative, capacità e risorse operative, si prestavano a tempo determinato reciproca assistenza nei vari adempimenti amministrativi, contabili, civilistici e fiscali. Le fatture, poi, indicavano prestazioni ricollegabili alla scrittura del (OMISSIS). Inoltre, la prova dei fatti costitutivi degli elementi negativi del reddito non può esaurirsi in quella documentale, potendo trovare spazio anche la prova presuntiva. Non vi è alcun ostacolo, dunque, alla stipulazione di contratti verbali e, quindi, alla loro piena efficacia nei confronti dell’amministrazione finanziaria. La scrittura privata, anche se priva di data certa, è stata portata ad esecuzione.

5. Con il quinto motivo di impugnazione la ricorrente lamenta la “violazione e falsa applicazione del D.P.R. n. 917 del 1986, art. 109, e dell’art. 2704 c.c., in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3”. Per il giudice d’appello, la scrittura privata, attestante il contratto di cost sharing, non avrebbe potuto riverberare i suoi effetti anche nei confronti dell’amministrazione finanziaria, a causa della mancanza di data certa. Tale principio non è pertinente alla fattispecie e non esclude l’efficacia probatoria del contratto intercompany.

6. Con il sesto motivo di impugnazione la ricorrente si duole della “falsa applicazione dell’art. 2697 c.c., in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3”. La Commissione regionale ha affermato che taluni fatti allegati dalla società non erano idonei a dimostrare la sussistenza dei costi, in quanto la tesi sostenuta dalla ricorrente presupporrebbe “La sussistenza di una sorta di gruppo di società unitariamente inteso anche ai fini tributari”. In realtà, la sentenza impugnata, nell’imputare alla società di non avere sopportato il peso processuale consistente nella produzione di ulteriore prova documentale, avrebbe falsamente applicato la regola del riparto dell’onere probatorio.

7.1. I motivi primo, secondo, terzo, quarto, quinto e sesto, che vanno trattati congiuntamente per strette ragioni di connessione, sono infondati.

7.2. I fatti di causa possono essere sintetizzati in questo modo; in questo procedimento si tratta dell’avviso di accertamento n. (OMISSIS), per IRAP relativa all’anno 2006, emesso dalla Agenzia delle entrate, Ufficio di (OMISSIS), sulla base di un processo verbale di constatazione redatto il (OMISSIS) dalla Guardia di Finanza di (OMISSIS), nei confronti della ITCA, quale società consolidante della ITCA Produzione, ora FGA Investimenti, quindi ai sensi del D.P.R. n. 917 del 1986, art. 127, (anni 2001, 2002, 2003, 2004, 2005, 2006 e 2007); con tale avviso di accertamento si recuperavano a tassazione tre importi: ammortamenti indeducibili relativi a terreni per l’importo di Euro 109.395,00; elementi negativi di reddito non deducibili per mancanza del requisito della certezza e dell’inerenza per l’importo di Euro 1.700.694,00; illegittima detrazione delle spese relative a personale dipendente distaccato da altra società del gruppo per Euro 5.076.495,00. Pertanto, l’Agenzia aveva accertato nei confronti di I.T.C.A. Produzione s.p.a. un recupero a tassazione, ai fini Irap, di Euro 6.518.093,91, con una maggiore imposta dovuta di Euro 277.019,00; era stata anche irrogata la sanzione pecuniaria di Euro 279.083,00. La ripresa relativa all’ammortamento dei terreni per Euro 109.395,00 non è stata impugnata dalla società.

Dal controricorso emerge in modo chiaro la composizione del gruppo societario, in cui la società ITCA Produzione s.p.a., facente parte del gruppo ITCA, nell’anno 2005, era interamente partecipata dalla ITCA Tools s.p.a. ed entrambe, a loro volta, erano controllate dalla I.T.C.A. s.p.a. che, a decorrere dal 23 giugno 2010, ha assunto la denominazione FGA investimenti s.p.a. (cfr. controricorso dell’Agenzia delle entrate). Le società, a partire dal 2004, avevano aderito al consolidato nazionale di cui al D.P.R. n. 917 del 1986, art. 117, nell’ambito del quale la I.T.C.A. s.p.a. era la società consolidante.

7.3. Va premesso che il fenomeno giuridico ed economico dei gruppi aziendali, operanti in collegamento nel territorio dello Stato, ha comportato il diffondersi di operazioni aziendali di tipo difensivo che, nate per la più conveniente allocazione dell’imponibile tra le società associate, sono spesso sfociate in vere e proprie operazioni elusive (Cass., n. 17955/2013), il che comporta una particolare rigore, in linea generale, nella valutazione delle operazioni intercompany che hanno destato anche l’attenzione dell’OCSE (Cass., n. 16480/2014; Cass., sez. 5, 6 luglio 2021, n. 19166).

Costituisce, infatti, principio giurisprudenziale consolidato quello per cui, in materia di costi c.d. infragruppo, ovvero laddove la società capofila di un gruppo di imprese decida di fornire servizi o curare direttamente le attività di interesse comune alle società del gruppo, ripartendone i costi tra di esse, al fine di coordinare le scelte operative delle aziende formalmente autonome e ridurre i costi di gestione, l’onere della prova in ordine all’esistenza ed all’inerenza dei costi sopportati incombe sulla società che affermi di aver ricevuto il servizio, occorrendo, affinché il corrispettivo riconosciuto alla capogruppo sia detraibile, che la controllata tragga dal servizio remunerato un’effettiva utilità e che quest’ultima sia obiettivamente determinabile ed adeguatamente documentata (Cass., sez. 5, 6 luglio 2021, n. 19166; Cass., 14 dicembre 2018, n. 32422; Cass., 23027/2015; Cass., 8808/2012; Cass., 11949/2012).

7.4. Da ciò consegue che la deducibilità dei costi derivanti da accordi contrattuali e sui servizi prestati dalla controllante (cost sharing agreements) è subordinata all’effettività ed inerenza della spesa in ordine all’attività di impresa esercitata dalla controllata ed al reale vantaggio che ne sia derivato a quest’ultima, non ritenendosi sufficiente l’esibizione del contratto riguardante le prestazioni di servizi forniti dalla controllante alle controllate e la fatturazione dei corrispettivi (Cass., sez. 5, 22 marzo 2021, n. 8001; Cass., 18 luglio 2014, n. 16480), richiedendosi, al contrario, la specifica allegazione di quegli elementi necessari per determinare l’utilità effettiva o potenziale conseguita dalla consociata che riceve il servizio (Cass., n. 16480/2014; Cass., n. 14016/1999; in relazione ai costi di regia cfr. Cass., 4 ottobre 2017, n. 23164).

In particolare, si tratta di verificare la sostanza aziendale ed economica dell’operazione intervenuta e di metterla a confronto con analoghe operazioni realizzate, in circostanze comparabili, in condizioni di libero mercato tra soggetti indipendenti e di valutarne la conformità a queste e l’utilità obiettiva.

Rileva, dunque, il principio dell’arms lenght, ossia quello di garantire che il prezzo praticato e le condizioni stabilite in transazioni tra soggetti collegati siano i medesimi previsti nei rapporti tra soggetti terzi indipendenti (cfr. OECD, Transfer Pricing Guidelines, 2017). L’Amministrazione finanziaria è tenuta a contestare non il concreto vantaggio fiscale conseguito dal contribuente, ma solo l’esistenza di transazioni, tra imprese di un gruppo, ad un prezzo apparentemente inferiore a quello normale.

7.5. Spetta, dunque, alla contribuente, secondo i criteri generali, fornire tutti gli elementi atti a supportare la deducibilità dei costi sostenuti per ottenere i servizi prestati dalla controllante, tra i quali l’effettiva utilità dei costi stessi per la controllata, anche se a quei costi non corrispondono direttamente ricavi in senso stretto (Cass., 5 dicembre 2018, n. 31405)

7.6. Peraltro, è stata ritenuta legittima la prassi amministrativa (C.M. n. 32/9/2267 del 22 settembre 1980) che, al di là della forfettizzazione percentuale dei costi addebitati dalla capogruppo alle controllate, subordina la deducibilità dei costi derivanti da accordi contrattuali sui servizi prestati dalla controllante (cost sharing agreements) all’effettività e all’inerenza della spesa all’attività di impresa esercitata dalla controllata ed al reale vantaggio che deriva a quest’ultima (Cass., 11 novembre 2015, n. 23027), senza che rilevino in proposito quelle esigenze di controllo della capogruppo, peculiari della sua funzione di shareholder (Cass., 18 luglio 2014, n. 16480).

7.7. A tal fine non è sufficiente che la spesa sia stata contabilizzata dall’imprenditore, occorrendo anche che esista una documentazione di supporto da cui ricavare, oltre che l’importo, la ragione e la coerenza economica della stessa, e risultando legittima, in difetto, la negazione della deducibilità di un costo sproporzionato ai ricavi o all’oggetto dell’impresa (Cass., 8 ottobre 2014, n. 21184; Cass., 9466/2017).

7.8. Nella specie, la contribuente, società controllata, si è limitata a produrre un contratto stipulato con la società controllante (ITCA s.p.a.) e l’altra società controllata (ITCA Tools s.p.a.), in cui le prestazioni vengono descritte in modo del tutto generico e superficiale. Tale contratto, peraltro, come evidenziato dal giudice d’appello non era munito di data certa, ai sensi dell’art. 2704 c.c., sicché era inopponibile all’Amministrazione finanziaria. La Commissione regionale ha anche sottolineato l’assoluta genericità delle fatture relative ai rapporti tra le varie società, neppure in regola ai sensi del D.P.R. n. 633 del 1972, art. 21.

Pertanto, non v’e’ stata alcuna violazione della regola di riparto dell’onere probatorio di cui all’art. 2697 c.c.; a fronte della contestazione specifica dell’Agenzia delle entrate, la contribuente si è limitata alla produzione di un contratto intercompany del tutto generico, che, al più, poteva rappresentare un “contratto quadro”, che necessitava di ulteriori impegni negoziali, con allegazione di fatture altrettanto imprecise. La motivazione del giudice d’appello, in piena aderenza agli elementi istruttori in atti, è del tutto congrua ed articolata, non tralasciando alcuna circostanza fattuale (” questa commissione non può che osservare che nel caso in giudizio i servizi concretamente forniti alla ricorrente non furono, da questa ultima, in alcun modo dimostrati nella loro sostanza. In altri termini non possono, seguendo il suddetto insegnamento, essere assunti né il contenuto delle fatture né tantomeno il contenuto del contratto intercompany del (OMISSIS) sopra citato. A maggior ragione per questo ultimo mezzo di prova essendo la convenzione non registrata e non avendo FGA dimostrato in altro modo la certezza della data della sua formazione”). Continua il giudice d’appello affermando che “non può essere accolta la tesi della contribuente incentrata sul fatto che l’attività di impresa fu effettivamente svolta dalle società fornitrici, che il corrispettivo pattuito era coerente coi servizi prestati e che comunque il destinatario era un’impresa produttrice. In altri termini da quanto sostenuto dalla ricorrente dovrebbe necessariamente trarsi la logica conseguenza che in effetti non fosse necessaria ulteriore prova documentale”.

Il contenuto del contratto è rappresentato dalla scrittura privata del (OMISSIS), con cui le società del gruppo, ossia I.T.C.A. s.p.a., quale consolidante, ITCA Tools s.p.a., consolidata, e I.T.C.A. Produzione s.p.a., società contribuente consolidata, hanno convenuto che “in base alle proprie strutture organizzative, capacità e risorse operative, di prestarsi, a tempo indeterminato, reciproca assistenza nei vari adempimenti amministrativi, contabili, civilistici e fiscali”. All’esito di tale accordo i costi della società consolidante (I.T.C.A. s.p.a.) e della controllata (ITCA Tools s.p.a.) sono stati interamente addebitati alla I.T.C.A. Produzione s.p.a., unica società produttiva del gruppo. I costi, relativi all’anno 2006, per le spese sostenute dalla società ITCA Tools e dalla I.T.C.A. erano, rispettivamente, per Euro 484.858,23 e per Euro 1.215.835,94, per un ammontare complessivo di Euro 1.700.694,00. Tali spese erano state considerate come un’unica prestazione di servizio complessa, imponibile ai fini Iva.

Le richieste di ulteriore documentazione da parte dell’Agenzia delle entrate non sono state esaudite, in quanto la contribuente, come risulta dal PVC, ha dichiarato di non aver formalizzato nulla al riguardo “poiché implicitamente rendicontate ed accettate nell’ambito degli ordinari rapporti infra gruppo” (cfr. anche pagina 3 dell’avviso di accertamento, trascritto in parte nel controricorso dell’Agenzia, a pagina 3). Pertanto, come correttamente rilevato dal giudice d’appello, nella sua completa motivazione, alla generica scrittura intercompany non è seguita la produzione di alcun contratto specifico tra le parti, attestante l’esistenza alla natura delle prestazioni effettivamente rese.

8. E’ del tutto fuori centro la doglianza della società, che ritiene l’assoluta pacificità della esistenza delle spese sostenute da essa per le prestazioni asseritamente resa in suo favore da parte della società controllante I.T.C.A. s.p.a. e della società controllata ITCA Tools (cfr. pagina 27 del ricorso per cassazione “in linea di fatto, come si è già osservato nel ricorso introduttivo, è pacifico e ammesso ex adverso che:” i costi che hanno formato oggetto di riaddebito sono stati effettivamente sostenuti dalla società capogruppo”). Inoltre, l’assenza di documentazione e, quindi di certezza, dei costi viene ribadito dall’Amministrazione nelle controdeduzioni nel giudizio di prime cure ove si evidenzia “l’assoluta genericità delle fatture, l’assenza di qualsivoglia documentazione di supporto che consentisse di stabilire l’effettività delle prestazioni, la congruità degli importi addebitati e l’utilità di tali prestazioni rispetto alla società del gruppo che le aveva contabilizzate; a tal fine non era sufficiente il contratto prodotto da controparte in quanto privo di data certa e, in ogni caso, contenente la previsione di una pluralità di prestazioni individuate in maniera generica (cfr. pagina 6 del controricorso).

E’ evidente, poi, stante il tenore estremamente generico del contratto intercompany, che le fatture e le schede contabili, essendo compilate anch’esse in modo assolutamente generico, non erano sufficienti a dare la prova della esistenza dei servizi asseritamente espletati in favore della società contribuente, sia dalla società controllante I.T.C.A. s.p.a. sia dall’altra società controllata ITCA Tools. Inoltre, il contratto sottoscritto dalle società, per essere opponibile all’amministratore fiscale, deve essere munito di data certa, ai sensi dell’art. 2704 c.c.. Si è affermato, infatti, che il legislatore ha inteso ampliare il concetto di terzo cui fa riferimento l’art. 2704 c.c., comprendendovi anche l’Amministrazione finanziaria, titolare di un diritto di imposizione collegato al negozio documentato e suscettibile di pregiudizio per effetto di esso (Cass., sez. 5, 17 dicembre 2008, n. 29451, seppure relativa ad imposta di registro; Cass., sez. 5, 5 marzo 2021, n. 6159, in tema di Ici; Cass., sez. 5, 19 febbraio 2014, n. 3937, sempre in tema di imposta di registro). La Commissione regionale ha enucleato in modo chiaro e trasparente il proprio ragionamento logico deduttivo per giungere alla conclusione che la contribuente non aveva in alcun modo dimostrato l’esistenza, oltre che l’inerenza, dei costi.

Come riportato nel controricorso, infatti, le fatture emesse dalla ITCA Tools e dalla I.T.C.A. s.p.a. contenevano quale causale quella di “prestazione di servizi” e “ribaltamento spese enti centrali” (cfr. pagina 30 del controricorso).

9. Con il settimo motivo di impugnazione la società deduce la “nullità della sentenza per violazione del D.Lgs. n. 546 del 1992, art. 36, comma 1, n. 4, in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 4”. L’eccezione sollevata dalla società, con riferimento all’esistenza del “distacco del personale” è stata accolta dal giudice di prime cure, ma è stato ingiustamente disattesa dalla sentenza d’appello. Questa, dopo aver correttamente premesso che occorre analizzare la natura dell’operazione, ovvero se la stessa sia stato o meno un prestito di personale, ha stabilito che dalla fattura emessa dalla ITCA Tools risulta chiaramente che sia stata posta in essere un’operazione di prestito di personale, anche perché tutte le somme “riaddebitate” non comprendevano alcun surplus a titolo di utili. Vi sarebbe una contraddizione nella motivazione che, da un lato, attribuisce alla fattura un valore di prova documentale del distacco di personale e, dall’altra, afferma che tale prova è una presunzione semplice. In realtà, dalle fatture emerge che la prestazione assoggettata ad Iva fa riferimento a “prestazioni di manodopera ico per Euro 2.223.614,53 e prestazioni di manodopera ico per Euro 2.852.880, senza alcun accenno alla “distacco”.

10. Con l’ottavo motivo di impugnazione la ricorrente si duole della “violazione e falsa applicazione del D.Lgs. n. 446 del 1997, art. 5, e della L. 11 marzo 1988, n. 67, art. 8, in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3”. La sentenza impugnata avrebbe violato le norme sopra indicate, in quanto ha attribuito rilevanza probatoria al fatto che “tutte le somme riaddebitate non comprendevano alcun surplus a titolo di utile (cd. mark up)”. In realtà, è vero che la controprestazione del distaccatario deve consistere nel rimborso di una somma pari alla retribuzione ed agli altri oneri previdenziali e contrattuali gravanti sul distaccante, ossia la misura del corrispettivo pari al costo del personale distaccato è condizione indispensabile per l’esistenza del distacco, ma è altrettanto vero che, anche agli effetti tributari, la configurabilità del prestito di personale abbia la stessa accezione lavoristica di tale istituto. La circostanza valorizzata dal giudice d’appello e’, dunque, irrilevante dal punto di vista probatorio.

11. I motivi nono e decimo, che vanno trattati congiuntamente per strette ragioni di connessione, sono infondati.

11.1. Anzitutto, si evidenzia che la motivazione della sentenza del giudice d’appello è presente, non solo graficamente, ma anche nelle sue argomentazioni logico-giuridiche essenziali per comprendere il ragionamento compiuto dalla Commissione regionale per giungere alla soluzione della controversia. Non trattasi, dunque, di motivazione meramente apparente, a prescindere dalla correttezza o meno della decisione.

11.2. Inoltre, si rileva che la ricorrente, pur censurando la sentenza d’appello per violazione di legge, in considerazione dei parametri di cui al D.Lgs. n. 446 del 1997, art. 5, della L. 11 marzo 1988, n. 67, art. 8, in realtà chiede una nuova valutazione degli elementi di fatto, già congruamente verificati dal giudice d’appello, non consentita in sede di legittimità.

11.3. Peraltro, il D.Lgs. 15 dicembre 1997, n. 446, art. 11, all’epoca vigente, prevede al comma 2, che “gli importi spettanti a titolo di recupero di oneri di personale distaccato presso terzi non concorrono alla formazione della base imponibile. Nei confronti del soggetto che impiega il personale distaccato, tali importi si considerano costi relativi a personale non ammessi in deduzione”. Pertanto, in presenza di personale distaccato presso terzi, gli importi che spettano al soggetto distaccante, nella specie la ITCA Tools, non sono soggetti a tassazione, in quanto non concorrono alla formazione della base imponibile; ma, nella specie, come si vedrà, la ITCA Tools ha conteggiato tali importi ai fini della determinazione del reddito di impresa, considerandoli, dunque, come ricavi del contratto di appalto e non come “importi spettanti a titolo di recupero di oneri di personale distaccato”. Quanto, invece, alla posizione del distaccatario, quindi della I.T.C.A. Produzione, tale norma dispone l’indeducibilità dei costi relativi al personale distaccato.

Diventa così dirimente la qualificazione del rapporto intercorso tra le due società, appartenenti al medesimo gruppo.

11.4. Deve anche essere definito il rapporto di distacco, con l’enunciazione dei requisiti indispensabili per la configurazione di tale fattispecie.

11.5. Il D.Lgs. 10 settembre 2003, n. 276, art. 30, in vigore dal 24 ottobre 2003 al 25 ottobre 2004, prevede, al comma 1, che “l’ipotesi del distacco si configura quando un datore di lavoro, per soddisfare un proprio interesse, pone temporaneamente uno o più lavoratori a disposizione di altro soggetto per l’esecuzione di una determinata attività lavorativa”. Al comma 2, si aggiunge che “in caso di distacco il datore di lavoro rimane responsabile del trattamento economico e normativo a favore del lavoratore”. Al comma 3, si dispone che “il distacco che comporti un mutamento di mansioni deve avvenire con il consenso del lavoratore interessato. Quando comporti un trasferimento a una unità produttiva sita a più di 50 km da quella in cui il lavoratore è adibito, il distacco può avvenire soltanto per comprovate ragioni tecniche, organizzative, produttive o sostitutive”.

Il D.Lgs. n. 277 del 2003, art. 30, è stato poi modificato a decorrere dal 26 ottobre 2004 e fino al 22 agosto 2013, con l’aggiunta del comma 4-bis, il quale dispone “quando il distacco avvenga in violazione di quanto disposto dal comma 1, il lavoratore interessato può chiedere, mediante ricorso giudiziale a norma dell’art. 414 c.p.c., notificato anche soltanto al soggetto che ne ha utilizzato la prestazione, la costituzione di un rapporto di lavoro alle dipendenze di quest’ultimo. In tale ipotesi si applica il disposto dell’art. 27, comma 2”.

L’art. 30, ha subito, poi, una ulteriore modifica, a decorrere dal 23 agosto 2013, con l’introduzione del comma 4-ter, in base al quale “qualora il distacco di personale avvenga tra aziende che abbiano sottoscritto un contratto di rete di impresa che abbia validità ai sensi del D.L. 10 febbraio 2009, n. 5, convertito, con modificazioni, dalla L. 9 aprile 2009, n. 33, l’interesse della parte distaccante sorge automaticamente in forza dell’operare della rete, fatte salve le norme in materia di mobilità dei lavoratori previste dall’art. 2103 c.c., …”. Tale ultima disposizione non è applicabile alla fattispecie in esame, ratione temporis, ma va esaminata con valenza interpretativa.

11.6. Per questa Corte (Cass., sez. 5, 9 giugno 2021, n. 16067), ai fini della individuazione dei perimetri della fattispecie del distacco, deve tenersi conto di tre requisiti indispensabili: l’interesse della distaccante; la temporaneità distacco; il ruolo di datore di lavoro che resta in capo al distaccante.

Invero, si è affermato che la dissociazione fra il soggetto che ha proceduto all’assunzione del lavoratore e l’effettivo beneficiario della prestazione (c.d. distacco o comando) è consentita soltanto a condizione che essa realizzi, per tutta la sua durata, uno specifico interesse imprenditoriale tale da consentirne la qualificazione come atto organizzativo dell’impresa che la dispone, così determinando una mera modifica delle modalità di esecuzione della prestazione lavorativa e la conseguente temporaneità del distacco, coincidente con la durata dell’interesse del datore di lavoro allo svolgimento della prestazione del proprio dipendente a favore di un terzo. Il relativo accertamento è riservato al giudice del merito ed è incensurabile in sede di legittimità, se sorretto da motivazione adeguata e immune da vizi (Cass., sez. L, 15 maggio 2012, n. 7517).

Infatti, in caso di distacco del dipendente privato, si determina una mera modifica, con carattere non definitivo, delle modalità di esecuzione della prestazione lavorativa, che viene a svolgersi presso un terzo. L’interesse del datore di lavoro, distaccante, a che la prestazione sia resa anche a favore del terzo, costituisce l’elemento di reale qualificazione della fattispecie, oltre che il criterio distintivo dalla variegata fenomenologia dell’interposizione illecita di manodopera (Cass., sez. L, 26 aprile 2006, n. 9557). Il distacco va, dunque, considerato quale atto organizzativo dell’impresa che lo dispone, ed è giustificato, sul piano funzionale, dalla permanente connessione con la causa del contratto di lavoro in corso con il distaccante. Pertanto, la temporaneità della destinazione del lavoratore a prestare la propria opera a favore di un terzo, distaccatario, che configura, comunque, uno dei presupposti di legittimità dell’istituto, non richiede che tale destinazione abbia una durata predeterminata, né che essa sia più o meno lunga ossia contestuale all’assunzione del lavoratore, ovvero persista per tutta la durata del rapporto, richiedendosi solo che la durata del distacco coincida con quella dell’interesse del datore di lavoro alla destinazione della prestazione di lavoro a favore di altra organizzazione di impresa (Cass., sez. L, 15 maggio 2012, n. 7517; Cass., sez. L, 25 novembre 2010, n. 23933).

Tali caratteristiche della fattispecie, frutto di elaborazione giurisprudenziale, hanno poi trovato conferma nella successiva evoluzione normativa, di cui appunto al D.Lgs. n. 276 del 2003, art. 30, ottenendo l’espressa conferma, non solo che il distacco deve soddisfare un interesse proprio del datore di lavoro, ma anche che il lavoratore possa essere messo a disposizione presso altro soggetto solo temporaneamente e per l’esecuzione di una determinata attività lavorativa.

L’interesse per la società distaccante è stato individuato (Cass., sez. 5, 9 giugno 2021, n. 16067), per esempio, nell’esigenza di qualificare il personale in relazione alla realtà produttiva dell’azienda distaccataria ed in vista della creazione di un polo unitario. Deve trattarsi, insomma, di uno specifico interesse imprenditoriale, anche non economico, che consenta però di qualificare il distacco quale atto organizzativo dell’impresa che lo dispone, determinandosi una mera modifica delle modalità di esecuzione della prestazione lavorativa ed il conseguente carattere non definitivo del distacco stesso. Può essere, dunque, valorizzata l’acquisizione di particolari professionalità dei dipendenti, determinata dal distacco dei lavoratori.

L’interesse del distaccante è stato anche individuato nell’incremento della polivalenza professionale del lavoratore distaccato, anche in ipotesi di crisi aziendale temporanea, in attesa della ripresa produttiva (Cass., sez. L, 11 settembre 2020, n. 18959). Proprio le mansioni assegnate, diverse da quelle espletate presso il distaccante, possono costituire un indice sintomatico del perseguito incremento della polivalenza professionale. L’interesse al distacco può essere anche di natura non economica o patrimoniale in senso stretto, e pure di tipo solidaristico; l’importante è che non si risolva in una mera somministrazione di lavoro altrui.

11.7. Per questa Corte, invece, l’interesse del distaccante può essere diversamente configurato nell’ipotesi di gruppo societario. Si è affermato, dunque, che, in caso di distacco di un lavoratore presso una società inserita nel medesimo gruppo di imprese, sussiste uno specifico interesse del datore di lavoro distaccante a contribuire alla realizzazione di una struttura organizzativa comune, in coerenza con gli obbiettivi di maggiore funzionalità del raggruppamento, sicché, pur in un contesto di diversa soggettività giuridica, va esclusa la violazione del divieto di interposizione di manodopera di cui alla L. n. 1369 del 1960, art. 1, “ratione temporis” applicabile, in linea con l’evoluzione normativa dell’istituto di cui al D.Lgs. n. 276 del 2003, art. 30, comma 4-ter, introdotto dal D.L. n. 76 del 2013, conv. con modif. dalla L. n. 99 del 2013, – nella specie, la S.C. ha confermato la sentenza di merito che aveva ritenuto legittimo il distacco di una lavoratrice presso un ufficio di altra società del gruppo che si occupava della gestione amministrativa di tutte le società del raggruppamento – (Cass., sez. L, 21 aprile 2016, n. 8068).

Nel caso di cui sopra, scrutinato da questa Corte, si è affermato che, pur nel contesto di una distinta soggettività giuridica, ciascuna componente del gruppo di imprese sia titolare dell’interesse a concorrere, anche mediante il distacco di propri dipendenti, alla realizzazione di comuni strutture produttive e organizzative, che si pongano in un rapporto di coerenza con gli obiettivi di efficienza e di funzionalità del gruppo stesso, oltre che con il dato unificante di una convergenza di interessi economici, anche intesa come progetto di riduzione attuale o potenziale dei costi di gestione. In tali casi, l’interesse del soggetto distaccante non può essere separato da quello del raggruppamento di cui il soggetto stesso è parte economicamente integrata e risulta anzi direttamente connesso e funzionale all’attuazione di quest’ultimo. Ciò trova conferma, proprio nell’introduzione, ad opera del D.L. 28 giugno 2013, n. 76, convertito con modificazioni dalla L. 9 agosto 2013, n. 99, del D.Lgs. n. 276 del 2003, art. 30, comma 4-ter. Si è precisato, peraltro che il riferimento atecnico alla “automaticità” del sorgere dell’interesse del distaccante, deve essere più esattamente ricondotto entro lo schema della presunzione assoluta; è significativo, infatti, che la disposizione in esame connetta il venire ad esistenza dell’interesse al fatto di base, costituito dall’operare della rete, e cioè ad un fatto, che è ad un tempo giuridico ed economico, della funzionalità del contratto di rete di impresa, con il quale più imprenditori perseguendo scopi comuni in termini di innovazione e di competitività, stabilendo rapporti di collaborazione nell’esercizio delle loro imprese. Pertanto, in presenza dell’inserimento del soggetto distaccante e di quello distaccatario in un medesimo gruppo, si pone in evidenza il carattere sinergico dell’intervento organizzativo volto a costituire un “unico polo” per l’amministrazione del personale dipendente delle società facenti capo ad esso, con la corrispondenza del distacco del lavoratore ad una comune esigenza di razionalità ed economicità del servizio.

In questo caso, comunque, ove si è ritenuto esistente l’istituto del distacco, la lavoratrice era stata distaccata presso l’ufficio di altra società del gruppo, che però si occupava della gestione amministrativa di tutte le società del raggruppamento.

12.Tuttavia, il giudice d’appello ha evidenziato l’errore di fatto in cui era incorso il collegio di prime cure, che ha ritenuto la fattura emessa il (OMISSIS), n. (OMISSIS) (relativa al periodo di imposta accertato per l’annualità in esame), in contrasto con il contenuto della fattura n. (OMISSIS) del (OMISSIS), non considerata nell’avviso di accertamento oggetto della presente controversia. In tal modo, la Commissione provinciale “sulla scorta di tale fraintendimento”, ha rilevato una presunta discrasia tra le descrizioni dei due documenti, aderendo alla tesi della società, ossia quella della mancanza della dimostrazione dell’effettuazione dell’operazione di prestito di personale.

E’ la stessa società ad ammettere, nella redazione della fattura relativa alle spese (n. (OMISSIS) del (OMISSIS), oggetto di altra annualità), per l’importo di Euro 4.146.000,00, che i costi dei lavoratori della ITCA Tools, che si trovano ad operare presso la I.T.C.A. Produzione, sono relativi al “distacco di personale”.

Invece, nella fattura n. (OMISSIS) del (OMISSIS), oggetto del presente giudizio, si riporta la seguente descrizione: “prestazioni servizio per Euro 484.858,23; ribaltamento oneri finanziari per Euro 655.543,37, prestazione di manodopera ico per Euro 2.223.614,53 e prestazioni di manodopera ico per Euro 2.852.880”; sicché le spese afferenti al personale erano pari ad Euro 5.076.494,53.

E’, perciò, la stessa società contribuente ad ammettere l’esistenza dell’istituto del distacco nell’ambito del rapporto contrattuale con la ITCA Tools, sebbene la descrizione del contenuto della fattura (OMISSIS), n. (OMISSIS), sia leggermente differente da quella emessa il (OMISSIS), n. (OMISSIS).

Nella sentenza di questa Corte, a sezioni unite, si è evidenziato che la differenza rilevante e quella tra prestito di “personale” o “distacco di personale”, e “prestazione di un servizio soggetto al pagamento dell’Iva” (Cass., sez.un., 7 novembre 2011, n. 23021). Le espressioni “prestito di personale” e ” distacco di personale”, come pure “prestazione di manodopera”, si equivalgono, ai fini tributari.

Trattasi, quindi, di un indizio grave e preciso in ordine al “distacco di personale” dalla ITCA Tools alla I.T.C.A. Produzione. L’art. 2709 c.c., pattuisce che “i libri e le altre scritture contabili delle imprese soggette a registrazione fanno prova contro l’imprenditore”, sicché anche le fatture, accettate dal destinatario, senza alcuna contestazione, fanno presumere l’esistenza del “distacco di personale”. Per questa Corte, infatti, la fattura commerciale ha non soltanto efficacia probatoria nei confronti dell’emittente, che vi indica la prestazione e l’importo del prezzo, ma può costituire piena prova nei confronti di entrambe le parti dell’esistenza di un corrispondente contratto allorché risulti accettata dal contraente destinatario della prestazione che ne è oggetto (Cass., sez. 2, 21 ottobre 2019, n. 26801; Cass., 13 giugno 2006, n. 13651; Cass., 3 luglio 1998, n. 6502). Pertanto, solo la fattura non accettata o contestata non costituisce di per sé fonte di prova unilaterale a favore di chi le mette, né produce un’inversione dell’onere probatorio secondo i principi ordinari. La fattura non accettata, comunque, quando il rapporto sia contestato fra le parti, ancorché annotata nei libri obbligatori, non può assurgere a prova del negozio ma costituisce al più un mero indizio (Cass., 20 maggio 2004, n. 9593).

Per questa Corte, peraltro, la fattura accettata ha piena efficacia probatoria anche nei confronti di terzi estranei al rapporto contrattuale, in ordine al preesistente contratto ed ai suoi elementi oggettivi e soggettivi quando abbia data certa ai sensi dell’art. 2704 c.c., (Cass., 26 novembre 1979, n. 6190).

Era onere, allora, della società dimostrare che, nonostante la dizione contenuta nella fattura emessa dalla ITCA Tools, in realtà non si trattava di “distacco” di personale da questa società a quella contribuente, ma di un vero e proprio espletamento di un servizio, senza che ricorressero i requisiti tipici dell’istituto del distacco. Tale dimostrazione non è stata fornita dalla società, in base al giudizio di merito svolto in modo adeguato ed analitico dal giudice d’appello, non sindacabile in sede di legittimità.

12.1. Tra l’altro, la società ha articolato il proprio motivo di ricorso per cassazione solo come violazione di legge, e non come vizio di motivazione o, più precisamente, come omesso esame di fatti decisivi, ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, come declinato a seguito del D.L. n. 83 del 2012, in vigore per le sentenze pubblicate a decorrere dall’11 settembre 2012. La società ha, infatti, dedotto esclusivamente la motivazione apparente della sentenza del giudice di appello.

12.2. Si legge nella motivazione del giudice di appello che la fattura del (OMISSIS), n. (OMISSIS), relativa al costo del personale utilizzato presso la società accertata recava espressamente la clausola: “prestazione di manodopera ico”. Ha poi aggiunto che, in linea con la giurisprudenza di legittimità, il rimborso del costo del personale dipendente di una società, distaccato presso altra, è esente da Iva soltanto se la controprestazione del distaccatario consista nel rimborso di una somma pari alle retribuzioni ed agli altri oneri previdenziali e contrattuali gravanti sul distaccante, e che tali conclusioni potevano essere estese anche ai fini Irap.

Inoltre, il giudice d’appello ha aggiunto che dall’oggetto della fattura risulta che è stata posta in essere una operazione di “prestito di personale”, risultando dal PVC dei militari verificatori che tutte le somme addebitate “non comprendevano alcun surplus a titolo di utile (cf. mark up), fatto non specificamente contestato da FGA e pertanto da assumere, ai sensi dell’art. 115 c.p.c., pacificamente come sussistente in questo giudizio”. Pertanto, per la Commissione regionale sussistevano “elementi gravi, precisi e concordanti tali da far ritenere che l’operazione oggetto di addebito era di prestito di personale e che pertanto mal giudicò il collegio di prime cure e che il capo della sentenza impugnata dall’ufficio merita riforma”.

Pertanto, la Commissione regionale ha esaminato sia la circostanza relativa alla causale indicata nella fattura emessa dalla ITCA Tools nei confronti della I.T.C.A. produzione, sia la circostanza relativa alla assenza, nelle somme riaddebitate, di alcun surplus a titolo di utile. La motivazione della sentenza di appello si regge, comunque, anche unicamente sulla presunzione grave e precisa determinata dal contenuto della fattura emessa dalla ITCA Tools nei confronti della ITCA Produzione, a prescindere dalla erronea considerazione del giudice di appello che ha, in qualche misura, sovrapposto la disciplina del distacco in sede di imposta Iva a quella relativa alla diversa imposta Irap (“conclusioni che possono essere estese a giudizio di questo collegio anche ai fini Irap”).

12.3. Invero, questa Corte, a sezioni unite, ha ritenuto che, in tema di IVA, ai sensi della L. 11 marzo 1988, n. 67, art. 8, comma 35, il rimborso del costo del personale dipendente di una società, distaccato presso altra, è esente da IVA soltanto se la controprestazione del distaccatario consista nel rimborso di una somma pari alle retribuzioni ed agli altri oneri previdenziali e contrattuali gravanti sul distaccante (Cass., sez. un., 7 novembre 2011, n. 23021; Cass., sez. 5, 27 febbraio 2015, n. 4024). In realtà, si è affermato che in astratto il “distacco” o la “messa a disposizione o “prestito” di personale (supply of staff) costituisce una prestazione di servizi destinata, come tale, ad essere assoggettata all’Iva. Ciononostante, si è sostenuto che tale regola generale non può trovare applicazione nel caso in cui il distaccatario si sia limitato a rimborsare al distaccante il solo costo dei dipendenti. Tale tesi, inizialmente condivisa del Ministero delle Finanze (risoluzioni 5 luglio 1973, n. 502712; 30 gennaio 1974, n. 500091 e successive sino al 3 dicembre 1981, n. 333652) è stata poi avversata dallo stesso ministero con la risoluzione 31 ottobre 1986, n. 363853, in base alla quale tutte le somme versate dal distaccatario al distaccante erano assoggettabili all’Iva, indipendentemente dal loro ammontare, non solo se superiori o inferiori, ma anche se corrispondenti all’ammontare complessivo del costo del personale. E’ intervenuto, dunque, il legislatore, con la L. 11 marzo 1988, n. 67, art. 8, comma 35, con cui si è stabilito che “non sono da intendere rilevanti agli effetti dell’Iva i prestiti o i distacchi di personale a fronte dei quali è versato solo il rimborso del relativo costo”. Trattasi di norma di natura eccezionale, come segnalato dalla dottrina, in quanto fa dipendere l’irrilevanza della prestazione, ai fini tributari, da una circostanza che, di regola, non ha alcuna rilevanza, cioè dall’ammontare della somma dovuta dal distaccatario che, se perfettamente uguale al costo del personale, comporta l’irrilevanza dell’operazione agli effetti dell’Iva.

Il D.Lgs. n. 276 del 2003, art. 30, ha disciplinato solo gli aspetti civilistici del distacco di personale, lasciando spazio, con riferimento agli aspetti tributari, alla L. n. 67 del 1988, art. 8, comma 35. Quando il rimborso, quindi, è esattamente uguale alle retribuzioni ed agli altri oneri, trattasi di una operazione “sostanzialmente neutra”, ossia di una vicenda che non comporta un guadagno per il distaccante, ma nemmeno un risparmio per il distaccatario. Il legislatore, allora, ha voluto incidere solo per l’ipotesi in cui i rimborsi effettuati da distaccatario siano esattamente uguali alle retribuzioni ed agli altri oneri previdenziali e contrattuali. Di qui l’affermazione per cui il distacco di personale è irrilevante ai fini dell’Iva soltanto se la controprestazione del distaccatario consista nel rimborso di una somma esattamente pari alle retribuzioni ed agli altri oneri previdenziali e contrattuali gravanti sul distaccante.

13.La questione sottoposta all’esame di questa Corte è stata affrontata dalla recente sentenza della Corte di Giustizia (Corte UE, 11 marzo 2020, nella causa C-94/19, San Domenico Vetraria) che ha fornito elementi per l’interpretazione della L. 11 marzo 1988, n. 67, art. 8, comma 35, in base al quale “non sono da intendere rilevanti ai fini dell’Iva i prestiti o i distacchi di personale a fronte dei quali è versato solo il rimborso del relativo costo”.

Infatti, in questa sede la questione dirimente è rappresentata dalla

qualificazione del rapporto intercorso tra la ITCA Tools e la controllata I.T.C.A. produzioni s.p.a. (contribuente), se contratto integrante o meno “distacco” di lavoratori, ai fini dell’applicazione del D.Lgs. n. 446 del 1997, art. 11, comma 2, (Irap), non essendo deducibili dal distaccatario i costi relativi al personale distaccato presso la propria sede. Nella fattispecie esaminata dalla Corte di giustizia si muove dal dato certo costituito dalla sussistenza dell’ipotesi normativa del “distacco”, dovendosi solo accertare se le somme versate a titolo di “rimborso spese” dal distaccatario al distaccante rappresentino o meno “corrispettivo” della prestazione e, quindi, “costo” di cui il distaccatario può avere diritto alla “detrazione Iva”. La distaccataria (in quel caso San Domenico Vetraria – controllata), infatti, a seguito della emissione della fattura da parte della distaccante (Avir-controllante) per i costi relativi al distacco, aveva applicato l’Iva ai fini del successivo esercizio del diritto di detrazione. L’Amministrazione aveva ritenuto tali “rimborsi”, poiché non riguardavano prestazioni di servizio tra controllata e controllante, estranei alla sfera di applicazione dell’Iva, recuperando l’Iva detratta a tale titolo. La Corte di giustizia ha ritenuto la sussistenza di un nesso diretto quando due prestazioni si condizionano reciprocamente (distacco del dirigente dalla controllante alla controllata e pagamento di quest’ultima alla prima secondo fattura). Il giudice di merito, quindi, deve valutare se il pagamento da parte della controllata delle fatture emesse dalla controllante costituisca una condizione per l’ottenimento del distacco del dirigente, e se tale pagamento sia stato effettuato come corrispettivo. In caso positivo si tratterebbe di operazione a titolo oneroso, con applicazione della disciplina Iva (per Cass., sez. V., 2 marzo 2021, n. 5609, la L. n. 67 del 1988, art. 8, comma 35, è recessivo rispetto alla disciplina Eurounitaria). E’ irrilevante, a tale riguardo, l’importo del corrispettivo, in particolare la circostanza che esso sia pari, superiore o inferiore ai costi che il soggetto passivo ha sostenuto a suo carico nell’ambito della fornitura della sua prestazione (paragrafo 29 della sentenza della Corte Ue 11 marzo 2020, cit.). Infatti, una simile circostanza non è tale da compromettere il nesso diretto esistente tra la prestazione di servizi effettuata e il corrispettivo ricevuto. Pertanto, la Sesta Dir., art. 2, punto 1, deve essere interpretato nel senso che esso osta a una legislazione nazionale in base alla quale non sono ritenuti rilevanti ai fini dell’Iva i prestiti o i distacchi di personale di una controllante presso la sua controllata, a fronte dei quali è versato solo il rimborso del relativo costo, a patto che gli importi versati dalla controllata a favore della società controllante, da un lato, e tali prestiti o distacchi, dall’altro, si condizionino reciprocamente.

Pertanto, questa Corte, sul punto, ha ritenuto che la L. n. 67 del 1988, art. 8, comma 35, alla luce della giurisprudenza della Corte di Giustizia, debba essere disapplicata (Cass., sez. 5, 14 gennaio 2021, n. 530).

In questo procedimento, però, la ripresa fiscale non attiene alla indebita detrazione Iva, ma esclusivamente alla indeducibilità di costi di lavoro ai fini Irap. Pertanto, la motivazione della decisione fondata sul contenuto della fattura emessa dalla ITCA Tools nei confronti della contribuente è idonea a sostenere la tesi della sussistenza del distacco di personale, con conseguente indeducibilità dei relativi costi ai fini Irap.

14. Le spese del giudizio di legittimità vanno poste, per il principio della soccombenza, a carico della società e si liquidano come da dispositivo.

P.Q.M.

rigetta il ricorso;

condanna la società ricorrente a rimborsare in favore dell’Agenzia delle entrate le spese del giudizio di legittimità, che si liquidano in complessivi Euro 7.800,00 oltre spese prenotate a debito.

Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte della ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso, a norma dello stesso art. 13, comma 1-bis, se dovuto

Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio, il 23 febbraio 2022.

Depositato in Cancelleria il 8 marzo 2022

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