Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 7551 del 28/03/2010

Cassazione civile sez. I, 29/03/2010, (ud. 10/12/2009, dep. 29/03/2010), n.7551

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE PRIMA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. ADAMO Mario – Presidente –

Dott. ZANICHELLI Vittorio – Consigliere –

Dott. SCHIRO’ Stefano – Consigliere –

Dott. FITTIPALDI Onofrio – Consigliere –

Dott. DIDONE Antonio – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ordinanza

sul ricorso 14743/2008 proposto da:

A.B.D., elettivamente domiciliato in ROMA, PIAZZA SAN

GIOVANNI IN LATERANO 26, SCALA A, INTERNO 7, presso lo studio

dell’avvocato CUGINI LANFRANCO, rappresentato e difeso dall’avvocato

MARCELLINI Marcellino, giusta delega a margine del ricorso;

– ricorrente –

contro

PREFETTURA DI ANCONA, MINISTERO DEGLI INTERNI, QUESTURA DI ANCONA;

– intimati –

avverso il decreto-ordinanza n. 73/07 del GIUDICE DI PACE di ANCONA,

depositato il 02/05/2007;

udita la relazione della causa svolta nella Camera di consiglio del

10/12/2009 dal Consigliere Relatore Dott. ANTONIO DIDONE;

è presente il P.G. in persona del Dott. VINCENZO GAMBARDELIA.

 

Fatto

RITENUTO IN FATTO E IN DIRITTO

La relazione depositata ai sensi dell’art. 380 bis c.p.c., è del seguente tenore: ” A.B.D. chiede, per cinque motivi, la cassazione del decreto 2 maggio 2007 con cui il giudice di pace di Ancona ne ha rigettato l’opposizione contro il provvedimento di espulsione dal territorio nazionale emesso il 26 febbraio 2007 dal Prefetto di quel capoluogo marchigiano.

Non si difendono le amministrazioni intimate.

Osserva:

Con il primo motivo, denunziando varie forme di violazione di legge, il ricorrente sostiene che, successivamente al decreto impugnato, e precisamente il 25 agosto 2007, avrebbe sposato una cittadina italiana di origine etiope e iniziato a lavorare alle dipendenze di una ditta. Invoca l’applicazione del D.Lgs. n. 286 del 1998, art. 19.

Il motivo è platealmente inammissibile.

Il controllo in diritto da parte di questo giudice di legittimità è ovviamente circoscritto alla piattaforma fattuale accertata e vagliata dal giudice del merito. Il ricorrente pretende che questa Corte, trasformandosi in un terzo giudice di merito, accerti fatti addirittura non sottoposti al giudice a quo, in quanto successivi al provvedimento impugnato.

Con il seconde motivo, denunziando violazione di plurime norme di legge e vizi di motivazione, il ricorrente censura il decreto laddove non ha ritenuto nullo provvedimento in quanto non tradotto in lingua conosciuta allo straniero.

Il motivo appare inammissibile.

Con accertamento di fatto insindacabile in questa sede, e neanche specificamente contestato dal mezzo in esame, la corte ha appurato che il verbale di notifica del decreto di espulsione, come consegnato allo straniero dal Questore di Ancona, riporta tutti i dati essenziali del provvedimento prefettizio, sì che il ricorrente ne ha avuto piena cognizione, come indirettamente confermato dalla tempestività della proposta opposizione. Le norme invocate dal ricorrente non implicano certo che il provvedimento espulsivo sia integralmente redatto in lingua conosciuta allo straniero. Per vero, il D.Lgs. n. 286 del 1998, art. 13, comma 7, prevede che il provvedimento sia comunicato all’interessato “unitamente ad una traduzione in una lingua da lui conosciuta”, ovvero, ove non sia possibile, in lingua francese, inglese o spagnola. D’altra parte, il D.P.R. n. 394 del 1999, art. 3, comma 3, come modificato dal D.P.R. n. 334 del 2004, prevede che se lo straniero non comprende la lingua italiana, il provvedimento espulsivo deve essere “accompagnato” da una sintesi del suo contenuto, anche mediante appositi formulari sufficientemente dettagliati, nella lingua a lui comprensibile o, se ciò non è possibile per indisponibilità di personale idoneo alla traduzione del provvedimento in tale lingua, in una delle lingue inglese, francese o spagnola, secondo la preferenza indicata dall’interessato.

Nella specie,, la consegna documentale del testo tradotto all’espellendo ha soddisfatto l’esigenza, cui tendono i cennati precetti normativi, di assicurare allo straniero cognizione della contestazione espulsiva al fine di apprestare le sue difese tecniche.

Nè il ricorrente ha contestato di conoscere la lingua francese, che è la seconda lingua ufficiale del (OMISSIS), suo paese di provenienza e quella da lui parlata in sede di verbale di spontanee dichiarazioni reso il 26 febbraio 2007. E tanto lo poneva in grado di apprendere la motivazione del decreto espulsivo e l’ordine questorile di lasciare entro cinque giorni il territorio nazionale.

Inoltre, il mezzo non censura l’autonoma ratio decidendi contenuta nel decreto del giudice di pace, il quale ha rilevato di non poter entrare merito delle modalità organizzative della Questura di Ancona in relazione all’impossibilità di reperire un interprete.

Il terzo motivo denunzia vizi di motivazione.

Il mezzo appare per più versi palesemente inammissibile.

A quanto è dato di capire, data la scarsa perspicuità del mezzo, si imputerebbe al prefetto di avere travisato i fatti motivando il provvedimento con la mancata presentazione dello straniero alla Guardia di Finanza di Ancona, presso la quale era stato convocato ai sensi dell’art. 650 c.p., e di avere messo in dubbio la sua provenienza dal (OMISSIS).

Anzitutto, non si comprende quale specifica censura sia stata mossa al provvedimento espulsivo e non sufficientemente presa in considerazione dal giudice di pace. Del preteso denunziato travisamento dei fatti, non v’è poi traccia nella sentenza impugnata. In tale contesto, sarebbe stato onere del ricorrente indicare in quale motivo dell’opposizione lo aveva sollevato. Ciò in ossequio al principio, ripetutamente affermato da questa Corte, secondo cui qualora una determinata questione giuridica che implichi un accertamento di fatto – non risulti trattata in alcun modo nella sentenza impugnata, il ricorrente che proponga la predetta questione in sede di legittimità, al fine di evitare una statuizione di inammissibilità per novità della censura, ha l’onere di indicare in quale specifico scritto difensivo e/o atto del giudizio precedente l’ha dedotta, onde dar modo alla Corte di Cassazione di controllare ex actis la veridicità di tale asserzione, prima di esaminare nel merito la questione stessa (cfr., e plurimis, sentt. nn. 6656/2004, 12571/2003, 2331/2003, 14905/2002, 724/2001). Nella specie, non avendo il ricorrente minimamente assolto un tale onere, deve presumersi che la questione sia stata posta per la prima volta in questa sede.

Ancora il mezzo non contesta quanto si legge nel provvedimento impugnato, vale a dire che la motivazione della espulsione (l’ingresso nel territorio dello Stato sottraendosi ai controlli di frontiera) è stata ammessa dallo stesso ricorrente.

Infine, il motivo non si chiude con un quesito di diritto, riferendosi quello articolato in chiusura di ricorso solo al primo, al quarto e al quinto motivo.

Con il quarto motivo e quinto motivo, suscettibili di congiunto esame per l’identità delle relative censure, il ricorrente, denunziando varie forme di violazione di norme interne e pattizie e vizi motivazionali, contesta l’affermazione del giudice di pace secondo cui il verbale di notifica del provvedimento espulsivo riportava tutti i dati essenziali primo fra tutti quello per cui lo straniero è entrato nel territorio dello stato sottraendosi al controllo della frontiera – e il nome dell’agente notificante.

Anche detti mezzi sono palesemente inammissibili e comunque infondati, Correttamente il giudice di pace ha rilevato, in punto di diritto, che la validità del provvedimento di espulsione non è espressamente subordinata all’identificazione dell’agente o funzionario che provveda a notificarlo all’espellendo.

In ogni caso ha accertato, insindacabilmente, che l’agente in questione era chiaramente identificabile dal verbale di spontanee dichiarazioni.

In conclusione, ove si condividano i testè formulati rilievi, il ricorso può essere trattato in Camera di consiglio, ricorrendo i requisiti di cui all’art 375 c.p.c.”.

2.- Osserva il Collegio che in sede di memoria ex art. 378 c.p.c., il ricorrente ha prodotto la copia – certificata autentica – del decreto prefettizio in data 1.7.2008 con il quale è stato revocato il decreto di espulsione.

E’ dunque venuto meno l’interesse delle parti alla decisione sul merito del ricorso.

La materia del contendere si deve ritenere che sia cessata.

Tanto può essere dichiarato.

PQM

La Corte dichiara inammissibile il ricorso per sopravvenuta cessazione della materia del contendere.

Così deciso in Roma, il 10 dicembre 2009.

Depositato in Cancelleria il 29 marzo 2010

 

 

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