Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 7551 del 01/04/2011

Cassazione civile sez. III, 01/04/2011, (ud. 04/02/2011, dep. 01/04/2011), n.7551

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TERZA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. TRIFONE Francesco – Presidente –

Dott. FILADORO Camillo – Consigliere –

Dott. FINOCCHIARO Mario – Consigliere –

Dott. MASSERA Maurizio – Consigliere –

Dott. VIVALDI Roberta – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

sentenza

sul ricorso 29550-2006 proposto da:

D.F.E.V. (OMISSIS), elettivamente

domiciliato in ROMA presso la CANCELLERIA DELLA CORTE DI CASSAZIONE,

rappresentato e difeso dall’avvocato DI CAMILLO CARMINE con studio in

SALERNO VICO GUAIFERIO 33 giusta delega a margine ricorso;

– ricorrente –

contro

C.A. (OMISSIS), elettivamente domiciliato in

ROMA presso la CANCELLERIA DELLA CORTE DI CASSAZIONE, rappresentato e

difeso dall’avvocato PENTANGELO RAFFAELE con studio in 80050 – CASOLA

DI NAPOLI, VIA ROMA 42 giusta delega in calce al controricorso;

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 2691/2005 del GIUDICE DI PACE di GRAGNANO,

emessa il 25/9/2005, depositata il 05/10/2005, R.G.N. 386/2005;

udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del

04/02/2011 dal Consigliere Dott. ROBERTA VIVALDI;

udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott.

GOLIA Aurelio che ha concluso per il rigetto del ricorso.

Fatto

SVOLGIMENTO DEL PROCESSO

C.A. conveniva, davanti al giudice di pace di Gragnano, D.F.E.V. chiedendone la condanna alla restituzione della somma di Euro 46,12.

Si costituiva il convenuto che contestava la domanda principale, proponendo domanda riconvenzionale ex art. 96 c.p.c..

Con sentenza del 5.10.2005 il giudice di pace accoglieva la domanda principale rigettando quella riconvenzionale.

Ha proposto ricorso per cassazione affidato a due motivi il D. F..

Resiste con controricorso il C..

Diritto

MOTIVI DELLA DECISIONE

Trattasi di ricorso per cassazione avverso sentenza del giudice di pace secondo equità, nel regime previsto dall’art. 339 c.p.c, anteriormente alla modifica di cui alla L. n. 40 del 2006.

Correttamente è stato, pertanto, proposto ricorso per cassazione.

Il ricorso è altresì ammissibile per la denuncia di norme processuali.

La sentenza del giudice di pace secondo equità, ratione temporis, è, infatti, impugnabile con il ricorso per cassazione, oltre che per violazione di norme costituzionali e di norme comunitarie, di rango superiore alla norma ordinaria, per violazione di norme processuali, nel senso esposto (art. 360 c.p.c., comma 1, nn. 1, 2 e 4) (v. anche Cass. 3.3.2009 n. 5065, soprattutto in motivazione).

Con il primo motivo il ricorrente denuncia la violazione e falsa applicazione dell’art. 96 c.p.c., ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3.

Il motivo è fondato per le ragioni che seguono.

Erroneamente – ma trattasi di puro errore materiale nell’intestazione del motivo – il ricorrente denuncia la violazione dell’art. 96 c.p.c., essendo la censura incentrata sulla violazione dell’art. 93 c.p.c., per l’erroneo riconoscimento della qualità di antistatario – e quindi della sua legittimazione passiva – da parte del giudice di pace.

Deve, a tal fine, evidenziarsi che la parte soccombente condannata al pagamento delle spese processuali è tenuta, altresì, al rimborso dell’importo dell’imposta sul valore aggiunto corrisposto dalla controparte vittoriosa al proprio difensore, trattandosi di una spesa da questa sopportata, e che non può, pertanto, essere esclusa dal novero di quelle recuperabili, in applicazione dei principii della soccombenza, nella misura del corrispettivo liquidato dal giudice (Cass. 24.3.1984 n. 1940; Cass. 29.5.1990 n. 5027; Cass. 22.5.2007 n. 11877; Cass. 31.3.2010 n. 7805).

Nella specie, il giudice di pace, sul presupposto che l’avv. D. F. si fosse dichiarato procuratore antistatario, non avendo esibito la fattura in giudizio, ha affermato che lo stesso non aveva diritto al pagamento dell’IVA da parte della sua cliente; quindi, che doveva restituire la somma versata a titolo di IVA, al soccombente ( C.), in relazione al giudizio che aveva dato luogo alla condanna di quest’ultimo al pagamento delle spese processuali, nella misutra di Euro 480,79, comprensiva di IVA pari, appunto, ad Euro 46,12.

Una tale conclusione è errata.

L’attuale ricorrente non risulta essersi mai dichiarato procuratore antistatario.

Ai sensi del D.P.R. n. 633 del 1972, art. 18 il difensore deve addebitare l’IVA al proprio cliente, al quale deve fornire il documento contabile emesso per il pagamento del suo compenso.

Il difensore ha, poi, sempre diritto al pagamento dell’IVA, o dal proprio cliente vittorioso (quando questi sia soggetto passivo d’imposta), o dalla controparte soccombente (quando il proprio cliente non è soggetto passivo d’imposta).

Questi è il destinatario finale del pagamento dell’IVA, e non è tenuto, quindi, ad alcuna restituzione.

Nella specie, il difensore ha ricevuto il pagamento dell’IVA dalla propria cliente Dimegas srl, risultata vittoriosa nel giudizio che ha dato luogo alla condanna, quale soccombente, del C. al pagamento delle spese processuali come liquidate, di cui Euro 46,12 per IVA. La Dimegas srl è l’unica legittimata passiva del giudizio di restituzione dell’IVA intentato dal C. per l’eventuale restituzione dell’IVA. La condanna al pagamento delle spese legali comporta, automaticamente e necessariamente, la condanna al pagamento di tutti gli oneri accessori.

La sentenza che contenga condanna della parte soccombente al pagamento delle spese processuali in favore della parte vittoriosa, liquidandone l’ammontare, costituisce, inoltre, titolo esecutivo, pur in difetto di una espressa domanda e di una specifica pronuncia, anche per conseguire il rimborso dell’IVA che la medesima parte vittoriosa assuma di avere versato al proprio difensore, in sede di rivalsa e secondo le prescrizioni del D.P.R. 26 ottobre 1972, n. 633, art. 18, trattandosi di un onere accessorio che in via generale, ai sensi dell’art. 91 c.p.c., comma 1, consegue al pagamento degli onorari al difensore (Cass. 24.3. 2000 n. 3536; Cass. 4.3.1998 n. 2387; Cass. 9.8.1991 n. 8686; Cass. 20.12.1990 n. 12089).

Inoltre, la deducibilità di tale imposta, eventualmente, potrebbe rilevare solo in ambito esecutivo (Cass. 21 luglio 1988 n. 4720, v.

Cass. 29 maggio 1990 n. 5027); rimanendo salva, comunque, per la , parte soccombente, la facoltà di contestare, sul punto, il titolo esecutivo con opposizione al precetto od alla esecuzione, per far valere eventuali circostanze che, secondo le previsioni del D.P.R. n. 633 del 1972, possono escludere, nel caso di specie, la concreta rivalsa o, comunque, l’esigibilità dell’IVA (Cass. 31.3.2010 n. 7805; cass. 22.5.2007 n. 11877; cass. 4 marzo 1998 n. 2387; cass. 9.8.1991 n. 8686; cass. 20.12.1990 n. 12089).

L’applicazione dei principii enunciati, nella specie, comporta, a tacere della fondatezza della richiesta nel merito, che nessuna legittimazione al riguardo può essere riconosciuta all’odierno ricorrente.

Con il secondo motivo denuncia la violazione e falsa applicazione dell’art. 96 c.p.c., ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3.

Il motivo non è fondato.

Ai fini della configurabilità della responsabilità processuale aggravata, ex art. 96 c.p.c., comma 2, non è necessaria la sussistenza della mala fede o della colpa grave, ma è sufficiente l’aver agito senza la normale prudenza.

Nella specie, tale presupposto non ricorre, nè alcuna prova in tal senso è stata fornita.

Conclusivamente, è accolto il primo motivo e rigettato il secondo;

la sentenza è cassata in relazione al motivo accolto.

Non essendo necessari ulteriori accertamenti di fatto, la Corte di legittimità può decidere nel merito, ai sensi dell’art. 384 c.p.c., comma 2, e dichiarare non dovuta la restituzione della somma di Euro 46,12 a titolo di IVA. Le spese seguono la soccombenza e, liquidate come in dispositivo, sia in ordine al giudizio davanti al giudice di pace, sia per il presente giudizio, vanno poste a carico del soccombente.

P.Q.M.

La Corte accoglie il primo motivo, rigetta il secondo. Cassa in relazione e, decidendo nel merito, dichiara non dovuta la restituzione della somma di 46,12. Condanna il resistente al pagamento delle spese che liquida, per il giudizio davanti al giudice di pace, in complessivi Euro 500,00, di cui Euro 70,00 per spese, Euro 240,00 per diritti ed Euro 190,00 per onorari; e per il presente giudizio, in complessivi Euro 700,00, di cui Euro 500,00 per onorari;

il tutto oltre spese generali ed accessori di legge.

Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio della terza sezione civile della Corte di cassazione, il 4 febbraio 2011.

Depositato in Cancelleria il 1 aprile 2011

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