Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 7549 del 27/03/2020

Cassazione civile sez. I, 27/03/2020, (ud. 31/01/2019, dep. 27/03/2020), n.7549

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE PRIMA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. GIANCOLA Maria Cristina – Presidente –

Dott. FERRO Massimo – Consigliere –

Dott. ROSSETTI Marco – Consigliere –

Dott. FIDANZIA Andrea – Consigliere –

Dott. AMATORE Roberto – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso n. 6895/2019 r.g. proposto da:

M.A.D.M., (cod. fisc. (OMISSIS)),

rappresentato e difeso, giusta procura speciale apposta in calce al

ricorso, dall’Avvocato Giovanni Marchese, presso il cui studio è

elettivamente domiciliato in Roma, Piazzale Gregorio VII n. 16;

– ricorrente –

contro

MINISTERO DELL’INTERNO, (cod. fisc. (OMISSIS)), in persona del legale

rappresentante pro tempore il Ministro, rappresentato e difeso, ex

lege, dall’Avvocatura Generale dello Stato, presso i cui Uffici in

Roma, Via dei Portoghesi n. 12 è elettivamente domiciliato;

– controricorrente –

avverso la sentenza della Corte di appello di Milano, depositata in

data 17.12.2018;

udita la relazione della causa svolta nella Camera di consiglio del

31/1/2019 dal Consigliere Dott. Roberto Amatore.

Fatto

RILEVATO

che:

1. Con la sentenza impugnata la Corte di Appello di Milano ha rigettato l’appello proposto da M.A.D.M., cittadino (OMISSIS), avverso l’ordinanza emessa in data 6.11.2017 dal Tribunale di Milano, con la quale erano state respinte le domande volte ad ottenere il riconoscimento dello status di rifugiato e al richiesta protezione sussidiaria ed umanitaria.

La corte del merito ha, in primo luogo, ricordato la vicenda personale del richiedente, secondo il racconto svolto da quest’ultimo; il ricorrente ha infatti narrato di essere espatriato per ragioni economiche.

La corte territoriale ha dunque ritenuto che: 1) non sussistessero i presupposti per il riconoscimento dello status di rifugiato e quelli per la reclamata protezione sussidiaria D.Lgs. n. 251 del 2007, ex art. 14, lett. a e b, essendo il richiedente un migrante economico; 2) non poteva essere riconosciuta neanche la richiesta protezione sussidiaria di cui dell’art. 14, lett. c, sopra ricordato, non essendo l’Egitto interessato da conflitti armati; 3) non poteva essere accordata la richiesta protezione umanitaria, sia per la mancata dimostrazione di una serio inserimento nella realtà sociale italiana da parte del ricorrente sia per la mancanza di una situazione di vulnerabilità.

2. La sentenza, pubblicata il 17.12.2018, è stata impugnata da M.A.D.M. con ricorso per cassazione, affidato a quattro motivi, cui il Ministero dell’Interno ha resistito con controricorso.

Diritto

CONSIDERATO

che:

1. Con il primo motivo il ricorrente – lamentando, ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 4, violazione dell’art. 132 c.p.c., comma 1, n. 4 – si duole della natura meramente apparente della motivazione impugnata che avrebbe peraltro omesso di considerare lo stato patologico sofferto dal richiedente.

2. Con il secondo mezzo si denuncia, ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, omesso esame di un fatto decisivo per il giudizio, e ciò con riguardo alla malattia (epatite C) da cui sarebbe affetto il ricorrente, e che determinerebbe uno stato soggettivo di vulnerabilità non considerato dalla corte di merito.

3. Il terzo motivo censura il provvedimento impugnato per violazione e falsa applicazione del D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 2, lett. g e art. 14, in riferimento all’art. 360 c.p.c., comma 1, nn. 3 e 5. Si denuncia, cioè, la mancata valutazione da parte dei giudici del merito del grave rischio di danno grave in caso di rimpatrio del richiedente, in ragione del pericolo di atti terroristici e della situazione di pericolosità interna dell’Egitto.

4. Con il quarto mezzo il ricorrente articola, ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, nn. 3 e 5, violazione di legge in riferimento al D.Lgs. n. 286 del 1998, art. 5, comma 6 e comunque omesso esame di fatti decisivi, in relazione al diniego della richiesta protezione umanitaria.

5. Il ricorso è inammissibile.

5.1 Il primo motivo è inammissibile, in ragione della sua evidente genericità di formulazione, posto che, da un lato, la censura non spiega come l’allegata malattia (epatite C) possa inficiare le condizioni del ricorrente al punto da farlo considerare soggetto vulnerabile e che, dall’altro, non viene neanche allegata la ragione per la quale la detta patologia non possa essere efficacemente curata nel paese di origine.

5.2 Anche il secondo motivo è inammissibile.

5.2.1 Sul punto, giova ricordare che, secondo la giurisprudenza espressa da questa Corte, l’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, riformulato dal D.L. 22 giugno 2012, n. 83, art. 54, conv. in L. 7 agosto 2012, n. 134, introduce nell’ordinamento un vizio specifico denunciabile per cassazione, relativo all’omesso esame di un fatto storico, principale o secondario, la cui esistenza risulti dal testo della sentenza o dagli atti processuali, che abbia costituito oggetto di discussione tra le parti e abbia carattere decisivo (vale a dire che, se esaminato, avrebbe determinato un esito diverso della controversia). Ne consegue che, nel rigoroso rispetto delle previsioni dell’art. 366 c.p.c., comma 1, n. 6 e art. 369 c.p.c., comma 2, n. 4, il ricorrente deve indicare il “fatto storico”, il cui esame sia stato omesso, il “dato”, testuale o extratestuale, da cui esso risulti esistente, il “come” e il “quando” tale fatto sia stato oggetto di discussione processuale tra le parti e la sua “decisività”, fermo restando che l’omesso esame di elementi istruttori non integra, di per sè, il vizio di omesso esame di un fatto decisivo qualora il fatto storico, rilevante in causa, sia stato comunque preso in considerazione dal giudice, ancorchè la sentenza non abbia dato conto di tutte le risultanze probatorie (Cass., Sez. U, Sentenza n. 8053 del 07/04/2014).

5.2.2 Ciò posto, risulta evidente, anche in questo caso, la genericità della doglianza così prospettata come vizio di cui all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, posto che il ricorrente non spiega in alcun modo la decisività del fatto del cui omesso esame si duole, non precisando, invero, come la lamentata patologia avesse determinato una sua condizione di soggettiva vulnerabilità.

5.3 Il terzo motivo è anch’esso inammissibile.

5.3.1 Il motivo – articolato in relazione al diniego della reclamata protezione sussidiaria D.Lgs. n. 251 del 2007, ex art. 14, lett. c – è inammissibile perchè volto a sollecitare questa Corte ad una rivalutazione delle fonti informative per accreditare, in questo giudizio di legittimità, un diverso apprezzamento della situazione di pericolosità interna dell’Egitto, giudizio quest’ultimo inibito alla corte di legittimità ed invece rimesso alla cognizione esclusiva dei giudici del merito, la cui motivazione è stata articolata – sul punto qui in discussione – in modo adeguato e scevro da criticità argomentative, avendo specificato che in Egitto non si assiste ad un conflitto armato generalizzato, tale da integrare il pericolo di danno protetto dalla norma sopra ricordata.

5.3 Il quarto motivo – incentrato sul diniego della richiesta protezione umanitaria – non è ammissibile, in quanto non spiega, anche in questo caso, il grado di incidenza negativa dell’indicata malattia sulle condizioni generali del richiedente e l’impossibilità di terapia della malattia in Egitto.

Le spese del giudizio di legittimità seguono la soccombenza e vengono liquidate come da separato dispositivo.

Per quanto dovuto a titolo di doppio contributo, si ritiene di aderire all’orientamento già espresso da questa Corte con la sentenza n. 9660-2019.

P.Q.M.

dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento, in favore del controricorrente, delle spese del giudizio di legittimità, che liquida in Euro 2.200 per compensi, oltre alle spese forfettarie nella misura del 15 per cento, agli esborsi liquidati in Euro 200,00 ed agli accessori di legge.

Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, inserito dalla L. n. 228 del 2012, art. 1, comma 17, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello, se dovuto, per il ricorso principale, a norma dello stesso art. 13, comma 1 bis.

Così deciso in Roma, il 31 gennaio 2020.

Depositato in Cancelleria il 27 marzo 2020

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