Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 7546 del 17/03/2021

Cassazione civile sez. trib., 17/03/2021, (ud. 16/12/2020, dep. 17/03/2021), n.7546

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TRIBUTARIA

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. PERRINO Angelina M. – Presidente –

Dott. TRISCARI Giancarlo – Consigliere –

Dott. SUCCIO Roberto – Consigliere –

Dott. PUTATURO DONATI VISCIDO DI NOCERA M.G. – rel. Consigliere –

Dott. GORI Pierpaolo – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

Sul ricorso iscritto al numero 24841 del ruolo generale dell’anno

2014, proposto da:

C.P., rappresentato e difeso, giusta procura speciale a

margine del ricorso, dall’Avv.to Renzo Colombaro e dall’Avv.to Mario

Contaldi, elettivamente domiciliata presso lo studio legale del

secondo difensore, in Roma, Via Pierluigi da Palestrina n. 63;

– ricorrente –

contro

Agenzia delle entrate, in persona del Direttore pro tempore,

domiciliata in Roma, Via dei Portoghesi n. 12, presso l’Avvocatura

Generale dello Stato che la rappresenta e difende;

– controricorrente –

per la cassazione della sentenza della Commissione tributaria

regionale del Piemonte, n. 444/22/2014, depositata in data 20 marzo

2014, non notificata;

Udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del

16 dicembre 2020 dal Relatore Cons. Maria Giulia Putaturo Donati

Viscido di Nocera.

 

Fatto

RILEVATO

Che:

– con sentenza n. 444/22/2014, depositata in data 20 marzo 2014, non notificata, la Commissione tributaria regionale del Piemonte, rigettava l’appello principale proposto da C.P. nei confronti dell’Agenzia delle entrate, in persona del Direttore pro tempore, e accoglieva quello incidentale proposto dall’Ufficio avverso la sentenza n. 5/01/13 della Commissione tributaria provinciale di Asti che aveva accolto parzialmente il ricorso proposto dal suddetto contribuente avverso l’avviso di accertamento n. (OMISSIS) con il quale l’Ufficio, D.P.R. n. 600 del 1973, ex art. 32, e del D.P.R. n. 633 del 1972, art. 51, aveva contestato nei confronti di quest’ultimo, esercente attività di impresa, maggiore reddito imponibile, ai fini Irpef, Irap e Iva, per l’anno 2006, in relazione, per quanto di interesse, a movimentazioni bancarie risultate, ad avviso dell’Amministrazione, ingiustificate;

– in punto di diritto, la CTR – nel riformare la sentenza di primo grado che aveva accolto parzialmente il ricorso ritenendo giustificate le movimentazioni bancarie per Euro 37.915,35 e riconoscendo Euro 18.000,00 a titolo di spese personali – ha osservato, per quanto di interesse, che: 1) il D.P.R. n. 600 del 1973, art. 32, comma 1, n. 7, non prevedeva, nemmeno implicitamente, la produzione in giudizio dell’autorizzazione alle indagini bancarie, provvedimento del quale era stato, nella specie, dato atto nell’avviso di accertamento; 2) la CTP non aveva adeguatamente chiarito la ragione per la quale i movimenti bancari (versamenti e prelevamenti nell’importo di Euro 37.915,35) dovessero ritenersi giustificati, limitandosi a ritenere soddisfatto l’onere della prova a carico del contribuente con la sola indicazione del soggetto destinatario o erogatore delle somme contestate; 3) a fronte della presunzione legale di imputazione a ricavi delle movimentazioni ritenute ingiustificate, il contribuente aveva fornito soltanto una generica prova contraria; 4) la CTP non aveva chiarito su quali elementi avesse ritenuto giustificati per esigenze di vita quotidiana i movimenti bancari nell’importo di Euro 18.000,00;

– avverso la sentenza della CTR, il contribuente ha proposto ricorso per cassazione affidato a due motivi, cui ha resistito, con controricorso, l’Agenzia;

– il ricorso è stato fissato in camera di consiglio, ai sensi dell’art. 375, comma 2, e dell’art. 380-bis.1 c.p.c., introdotti del D.L. 31 agosto 2016, n. 168, art. 1-bis, convertito, con modificazioni, dalla L. 25 ottobre 2016, n. 197.

Diritto

CONSIDERATO

Che:

– con il primo motivo, il ricorrente denuncia, in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, la violazione del D.P.R. n. 600 del 1973, art. 32, comma 1, n. 7, per avere la CTR ritenuto legittimo l’accertamento bancario anche se l’autorizzazione del Direttore centrale e/o regionale dell’Agenzia non era stata prodotta in giudizio, dovendo l’Amministrazione provare di esserne in possesso;

– il motivo è infondato;

– In tema di accertamento dell’Iva, l’autorizzazione prescritta dal D.P.R. n. 633 del 1972, art. 51, comma 2, n. 7 (nel testo applicabile “ratione temporis”), ai fini dell’espletamento delle indagini bancarie, esplica una funzione organizzativa, incidente nei rapporti tra uffici, e non richiede alcuna motivazione, sicchè la sua mancata allegazione ed esibizione all’interessato non comporta l’illegittimità dell’avviso di accertamento fondato sulle risultanze delle movimentazioni bancarie acquisite, che può derivare solo dalla sua materiale assenza e sempre che ne sia derivato un concreto pregiudizio per il contribuente (Cass. Sez. 6 – 5, Ordinanza n. 3628 del 10/02/2017); e le medesime considerazioni valgono in relazione al D.P.R. n. 600 del 1973, art. 32, comma 1, n. 7.

– nella specie, la CTR, uniformandosi al suddetto principio di diritto, ha correttamente escluso la nullità dell’atto impositivo per mancata produzione in giudizio dell’autorizzazione alle indagini bancarie, precisando, in ogni caso, che di quest’ultima si era dato atto nell’avviso di accertamento in questione;

– con il secondo motivo, il ricorrente denuncia, in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, la violazione del D.P.R. n. 600 del 1973, art. 32, per avere la CTR erroneamente ritenuto legittimo l’avviso di accertamento ancorchè, nella specie, difettassero i presupposti per procedere alle indagini bancarie, non avendo l’Amministrazione fornito i gravi indizi delle assunte evasioni del contribuente ed essendo la contabilità dei costi e dei ricavi passata al vaglio dello studio di settore; in particolare, ad avviso del ricorrente, la CTR avrebbe respinto, con una carente motivazione, le documentate eccezioni del contribuente benchè genericamente contestate dall’Agenzia;

– il motivo – con la quale si denunciano il vizio di violazione di legge e quello di carenza di motivazione- è complessivamente inammissibile;

– quanto alla denunciata carenza motivazionale della sentenza impugnata, la censura è inammissibile, in quanto trattasi di vizio non più censurabile in virtù della nuova formulazione dell’art. 360 c.p.c., n. 5, come modificato dal D.L. 22 giugno 2012, n. 83, art. 54, conv. dalla L. 7 agosto 2012, n. 134, applicabile ratione temporis nella specie, per essere stata la sentenza di appello depositata in data 20 marzo 2014(v. nello stesso senso, Cass. n. 30948 del 2018);

– quanto al denunciato vizio di violazione di legge, va, al riguardo, ricordato che, in tema di accertamento delle imposte sui redditi, il D.P.R. 29 settembre 1973, n. 600, art. 32, prevede una presunzione legale in base alla quale sia i prelevamenti che i versamenti operati su conti correnti bancari vanno imputati a ricavi. A fronte di detta presunzione legale il contribuente è onerato di fornire la prova contraria, anche attraverso presunzioni semplici, da sottoporre comunque ad attenta verifica da parte del giudice, il quale tenuto a individuare analiticamente i fatti noti dai quali dedurre quelli ignoti, correlando ogni indizio (purchè grave, preciso e concordante) ai movimenti bancari contestati, il cui significato deve essere apprezzato nei tempi, nell’ammontare e nel contesto complessivo (Cass. n. 19971 del 2016; Cass. n. 22502 del 2011); la presunzione di riferibilità dei movimenti bancari ad operazioni imponibili si correla, infatti, ad una valutazione del legislatore di rilevante probabilità che il contribuente si avvalga del conto corrente bancario per effettuare rimesse e prelevamenti inerenti all’esercizio dell’attività d’impresa, onde alla presunzione di legge (relativa) non può contrapporsi una mera affermazione di carattere generale, nè è possibile ricorrere all’equità (Cass. n. 13035 del 2012; Cass. n. 6869 del 2020); in tema di IVA, ed al fine di superare la presunzione posta a carico del contribuente dal D.P.R. 26 ottobre 1972, n. 633, art. 51, comma 2, n. 2 (in virtù della quale le movimentazioni di denaro, nella specie bancarie, risultanti dai dati acquisiti dall’Ufficio si presumono conseguenza di operazioni imponibili), non è sufficiente una prova generica circa ipotetiche distinte causali dell’affluire di somme sui conti correnti, ma è necessario che il contribuente fornisca la prova analitica della riferibilità di ogni singola movimentazione alle operazioni già evidenziate nelle dichiarazioni ovvero dell’estraneità delle stesse alla sua attività, con conseguente non rilevanza fiscale (Cass. n. 4829 del 2015; Cass. n. 21303 del 2013; Cass. n. 4829/2015; Cass. n. 6869 del 2020);

– nella specie, il motivo di ricorso, pur denunciando la nullità della sentenza per violazione dell’art. 32 cit., in realtà tende inammissibilmente ad una nuova interpretazione di questioni di merito, avendo la CTR, in applicazione dei suddetti principi, escluso – con un apprezzamento in fatto non sindacabile in sede di legittimità – che, a fronte della presunzione legale di imputazione a ricavi delle movimentazioni bancarie ritenute ingiustificate (versamenti e prelevamenti nell’importo di Euro 37.915,35), il contribuente avesse fornito una prova contraria precisa e circostanziata, con ciò correttamente riformando la sentenza di primo grado che aveva ritenuto soddisfatto l’onere della prova a carico della contribuente con la sola indicazione del soggetto destinatario o erogatore delle somme contestate; ugualmente, la CTR – con una insindacabile valutazione di merito- ha ritenuto non supportate da idonea giustificazione le movimentazioni bancarie per Euro 18.000,00, riconosciute immotivatamente dal giudice di primo grado per spese personali; va, al riguardo, ribadito l’orientamento di questa Corte secondo cui “E’ inammissibile il ricorso per cassazione con cui si deduca, apparentemente, una violazione di norme di legge mirando, in realtà, alla rivalutazione dei fatti operata dal giudice di merito, così da realizzare una surrettizia trasformazione del giudizio di legittimità in un nuovo, non consentito, terzo grado di merito” (Cass. Sez. 6 – 3, Ordinanza n. 8758 del 04/04/2017; Cass. Sez. 5, Ordinanza n. 18721 del 13/07/2018);

– in conclusione, il ricorso va rigettato;

– le spese del giudizio di legittimità seguono la soccombenza e vengono liquidate come in dispositivo.

PQM

la Corte:

rigetta il ricorso; condanna il ricorrente al pagamento delle spese del giudizio di legittimità, che liquida, in favore dell’Agenzia delle entrate, in Euro 5.600,00 per compensi, oltre spese prenotate a debito;

Dà inoltre atto, ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento da parte della ricorrente dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello, ove dovuto, per il ricorso a norma dello stesso art. 13, comma 1-bis.

Così deciso in Roma, il 16 dicembre 2020.

Depositato in Cancelleria il 17 marzo 2021

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