Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 7545 del 31/03/2011

Cassazione civile sez. VI, 31/03/2011, (ud. 30/09/2010, dep. 31/03/2011), n.7545

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SESTA CIVILE

SOTTOSEZIONE 2

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. SETTIMJ Giovanni – Presidente –

Dott. MAZZIOTTI DI CELSO Lucio – Consigliere –

Dott. MAZZACANE Vincenzo – Consigliere –

Dott. PETITTI Stefano – rel. Consigliere –

Dott. SAN GIORGIO Maria Rosaria – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ordinanza

sul ricorso proposto da:

C.G., rappresentato e difeso dall’Avvocato FAA Gianni,

per procura speciale a margine del ricorso, domiciliato in Roma,

Piazza Cavour, presso la Cancelleria civile della Corte suprema di

cassazione;

– ricorrente –

contro

L.F., rappresentato e difeso dall’Avvocato BIGIO Pietro, per

procura speciale a margine del controricorso, elettivamente

domiciliato in Roma, Via Caroncini n. 27, presso lo studio

dell’Avvocato Pietro Andrea Guiso;

– controricorrente –

avverso la sentenza della Corte d’appello di Cagliari n. 250/09,

depositata in data 13 agosto 2009.

Udita la relazione della causa svolta nella Camera di consiglio del

30 settembre 2010 dal Consigliere relatore Dott. Stefano Petitti;

sentito, per il resistente, l’Avvocato Pietro Biggio;

sentito il Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore

Generale Dott. SGROI Carmelo, che ha aderito alla relazione.

Fatto

RITENUTO IN FATTO

che il relatore designato ha depositato la seguente relazione:

” L.F. ha convenuto in giudizio C.G. dinnanzi al Tribunale di Cagliari chiedendo che fosse determinato il confine tra i fondi di loro rispettiva proprietà sulla base delle risultanze catastali.

Il C. ha dedotto di aver posseduto per oltre venti anni la porzione di terreno in contestazione. In giudizio è intervenuto M.F. chiedendo che venisse costituita una servitù di passaggio sul tratto di terreno in contestazione.

Il Tribunale di Cagliari ha accolto la domanda del L., e ha dichiarato che il confine tra i due fondi era quello individuato dal C.T.U. nella planimetria allegata alla relazione. Ha altresì dichiarato inammissibile la domanda del M..

Il C. ha proposto appello che è stato respinto dalla Corte d’appello di Cagliari, sulla base del rilievo che nel caso di specie non poteva ritenersi sussistente alcuna certezza nè oggettiva nè soggettiva in ordine ai confini tra i due fondi, non essendo univoche le deposizioni testimoniali assunte nel corso del giudizio, e che quindi il confine doveva essere determinato sulla base del criterio residuale di cui all’art. 950 cod. civ., comma 3, come esattamente individuato dal C.T.U., le cui conclusioni erano adeguatamente motivate, mentre le critiche rivolte dall’appellante alla relazione tecnica erano prive di elementi di riscontro.

Per la cassazione di questa sentenza ha proposto ricorso C. G. sulla base di tre motivi; ha resistito, con controricorso, L.F..

Con il primo motivo, il ricorrente denuncia vizio di motivazione con riferimento sia alla ritenuta non univocità delle deposizioni dei vari testi assunti nel corso del giudizio, sia in particolare alla rilevanza attribuita alla deposizione del teste Mu., il quale aveva riferito che quando sul confine tra i due fondi vi era una siepe di ficodindia il passaggio era largo circa due metri, mentre successivamente, dopo la sistemazione della rete, era più largo. In proposito, il ricorrente addebita alla Corte d’appello di non avere considerato che le siepi hanno una larghezza non inferiore a 80 cm., sicchè la sostituzione della siepe con una rete metallica, posizionata al centro della precedente siepe, aveva comportato un allargamento di 40 cm. per ogni fondo.

Il motivo è inammissibile, risolvendosi esso in una censura all’apprezzamento delle prove testimoniali compiuto dal giudice del merito, il quale ha ritenuto che le complessive risultanze istruttorie, ivi compreso il riferimento alla preesistenza della siepe e alle sue dimensioni, non fossero univoche e idonee ad offrire certezze sulla esatta linea di confine, non avendo alcun teste riferito che la rete metallica è stata installata sull’esatto confine tra i due fondi.

Con il secondo motivo, il ricorrente deduce ulteriore vizio di motivazione con riferimento alla acritica adesione della Corte d’appello alle conclusioni del consulente tecnico d’ufficio, che erano state censurate con l’atto di appello.

Il motivo è inammissibile, in quanto la Corte d’appello ha ritenuto che le critiche sollevate dal ricorrente fossero prive di elementi di riscontro. Nel censurare la sentenza impugnata sul punto, il ricorrente si limita a riprodurre i rilievi critici sottoposti alla Corte d’appello e in tal modo non offre quei concreti e obiettivi elementi di riscontro che la Corte d’appello ha ritenuto mancanti.

Del resto, i profili evidenziati in ricorso appaiono caratterizzati da evidenti profili di genericità e non risultano sorretti da elaborazioni tecniche alternative a quella del c.t.u..

Con il terzo motivo, il ricorrente deduce nullità della sentenza per violazione dell’art. 51 cod. proc. civ., n. 4. La sentenza impugnata, assume il ricorrente, è stata deliberata da un collegio della Corte d’appello del quale ha fatto parte un giudice che, nel corso del giudizio di primo grado, aveva ammesso la consulenza tecnica d’ufficio, nominato il consulente tecnico e aveva assunto le prove testimoniali, e che quindi si trovava in una situazione di incompatibilità.

Il motivo è manifestamente infondato, dal momento che il ricorrente non deduce di avere proceduto alla ricusazione di detto giudice nei termini prescritti. Trova quindi applicazione il principio per cui l’inosservanza dell’obbligo di astensione di cui all’art. 51 cod. proc. civ., n. 1, determina la nullità del provvedimento adottato solo nell’ipotesi in cui il componente dell’organo decidente abbia un interesse proprio e diretto nella causa, tale da porlo nella veste di parte del procedimento; mentre in ogni altra ipotesi la violazione dell’art. 51 cit. assume rilievo solo quale motivo di ricusazione, rimanendo esclusa, in difetto della relativa istanza, qualsiasi incidenza sulla regolare costituzione dell’organo decidente e sulla validità della decisione, con la conseguenza che la mancata proposizione di detta istanza nei termini e con le modalità di legge preclude la possibilità di far valere tale vizio in sede d’impugnazione, quale motivo di nullità del provvedimento (v. di recente, Cass., n. 12263 del 2009) Sussistono quindi le condizioni per la trattazione del ricorso in Camera di consiglio”;

che la richiamata relazione è stata notificata alle parti e comunicata al Pubblico Ministero.

Diritto

CONSIDERATO IN DIRITTO

che il Collegio condivide la proposta di decisione ora richiamata;

che, invero, le argomentazioni svolte dal ricorrente nella memoria ex art. 380 bis cod. proc. civ., comma 3, non appaiono idonee ad evidenziare profili non esaminati nella relazione e ad indurre, quindi, a conclusioni differenti da quelle proposte nella relazione stessa;

che, in particolare, le critiche nuovamente svolte alla sentenza impugnata con specifico riferimento alla condivisione delle conclusioni del consulente tecnico d’ufficio, si sostanziano nella non dimostrata affermazione della erroneità delle misurazioni effettuate dal medesimo consulente, il che non consente di superare il rilievo di genericità contenuto nella sentenza impugnata;

che, invero, anche in questa sede, come già nell’atto di appello, secondo quanto riferito nel ricorso, il ricorrente si è limitato a prospettare la mera eventualità che le misurazioni eseguite dal consulente tecnico d’ufficio fossero frutto di una tecnica di rilevazione erronea, non supportando tale prospettazione con una alternativa ricostruzione tecnica, sicchè la censura svolta sul punto risulta meramente ipotetica e priva di specificità;

che, inoltre, per quanto attiene al primo motivo, si deve rilevare ulteriormente che il ricorso, in contrasto con il principio di autosufficienza, difetta della riproduzione delle deposizioni dei testi, della cui erronea valutazione da parte della Corte d’appello il ricorrente si duole;

che il ricorso va dunque rigettato con conseguente condanna del ricorrente, in applicazione del principio della soccombenza, al pagamento delle spese del giudizio di legittimità.

P.Q.M.

La Corte rigetta il ricorso; condanna il ricorrente al pagamento delle spese del giudizio di legittimità, che liquida in complessivi Euro 3.200,00, di cui Euro 3.000,00 per onorari, oltre alle spese generali e agli accessori di legge.

Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio della Sezione Sesta Civile della Corte Suprema di Cassazione, il 30 settembre 2010.

Depositato in Cancelleria il 31 marzo 2011

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