Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 7545 del 27/03/2020

Cassazione civile sez. I, 27/03/2020, (ud. 03/12/2019, dep. 27/03/2020), n.7545

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE PRIMA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. TRAVAGLINO Giacomo – Presidente –

Dott. SCOTTI Umberto – Consigliere –

Dott. GHINOY Paola – Consigliere –

Dott. ROSSETTI Marco – rel. Consigliere –

Dott. AMATORE Roberto – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso n. 34718/18 proposto da:

J.I., elettivamente domiciliata a Castiglione d’Adda (LO),

via Giuseppe Garibaldi n. 47, presso lo studio dell’avvocato

Giovanni Berzaga, che la difende in virtù di procura speciale

apposta in calce al ricorso;

– ricorrente –

contro

Ministero dell’Interno;

– intimato –

avverso il decreto del Tribunale di Milano 30.10.2018;

udita la relazione della causa svolta nella Camera di consiglio del

3.12.2019 dal Consigliere relatore Dott. Marco Rossetti.

Fatto

RILEVATO

che:

J.I., cittadina (OMISSIS), chiese alla competente commissione territoriale per il riconoscimento della protezione internazionale, di cui al D.Lgs. 25 gennaio 2008, n. 25, art. 4:

(a) in via principale, il riconoscimento dello status di rifugiato politico, D.Lgs. 19 novembre 2007, n. 251, ex artt. 7 e segg.;

(b) in via subordinata, il riconoscimento della “protezione sussidiaria” di cui al D.Lgs. 19 novembre 2007, n. 251, art. 14;

(c) in via ulteriormente subordinata, la concessione del permesso di soggiorno per motivi umanitari, D.Lgs. 25 luglio 1998, n. 286, ex art. 5, comma 6 (nel testo applicabile ratione temporis);

a fondamento dell’istanza dedusse di avere lasciato la Nigeria poichè aveva concepito un figlio al di fuori del matrimonio, e la famiglia del padre, di religione cristiana battista, voleva indurla ad abortire contro la sua volontà;

la Commissione Territoriale rigettò l’istanza;

avverso tale provvedimento J.I. propose ricorso dinanzi al Tribunale di Milano ai sensi del D.Lgs. 28 gennaio 2008, n. 25, art. 35, che lo rigettò con decreto 30.10.2018;

il Tribunale ritenne che:

(a) la ricorrente non era credibile, perchè aveva fornito una versione dei fatti contraddittoria e lacunosa;

(b) il diritto all’asilo non spettava perchè, non essendo la ricorrente credibile, non era possibile stabilire se avesse davvero lasciato il suo Paese per sfuggire alla tortura o ad una condanna a morte;

(c) il diritto alla protezione sussidiaria non spettava, poichè nella regione di provenienza della ricorrente non era in atto una violenza indiscriminata derivante da conflitti armati;

(d) non sussistevano nemmeno i presupposti per il rilascio del permesso di soggiorno per motivi umanitari, D.Lgs. 25 luglio 1998, n. 286, ex art. 5, comma 5), perchè la ricorrente non poteva ritenersi “priva di adeguata tuela” nel caso di rientro in patria;

il decreto è stato impugnato per cassazione da J.I. con ricorso fondato su tre motivi;

Il Ministero dell’Interno non si è difeso.

Diritto

CONSIDERATO

che:

col primo motivo la ricorrente lamenta che il Tribunale aveva adottato una “motivazione solo apparente” nella parte in cui ha ritenuto non credibile il suo racconto;

il motivo è manifestamente infondato; il Tribunale ha dedicato due intere pagine a spiegare le ragioni del giudizio di inattendibilità (pp. 67), con motivazione ampia e che non può certo dirsi “apparente”; nè il giudizio di attendibilità, in quanto giudizio di puro fatto riservato al giudice di merito, può essere sindacato in questa sede;

col secondo motivo la ricorrente lamenta la violazione degli artt. 115,116 c.p.c., nonchè dell’art. 2697 c.c.;

assume che il Tribunale avrebbe malamente valutato le prove a sua disposizione, sia nella parte in cui ha ritenuto non attendibile la dichiarante, sia nella parte in cui ha riconosciuto scevro da pericoli il suo eventuale rientro in Nigeria;

il motivo è inammissibile, non essendo consentita in sede di legittimità una valutazione delle prove ulteriore e diversa rispetto a quella compiuta dal giudice di merito, a nulla rilevando che quelle prove potessero essere valutate anche in modo differente rispetto a quanto ritenuto dal giudice di merito (ex permultis, Sez. L, Sentenza n. 7394 del 26/03/2010, Rv. 612747; Sez. 3, Sentenza n. 13954 del 14/06/2007, Rv. 598004; Sez. L, Sentenza n. 12052 del 23/05/2007, Rv. 597230; Sez. 1, Sentenza n. 7972 del 30/03/2007, Rv. 596019; Sez. 1, Sentenza n. 5274 del 07/03/2007, Rv. 595448; Sez. L, Sentenza n. 2577 del 06/02/2007, Rv. 594677; Sez. L, Sentenza n. 27197 del 20/12/2006, Rv. 594021; Sez. 1, Sentenza n. 14267 del 20/06/2006, Rv. 589557; Sez. L, Sentenza n. 12446 del 25/05/2006, Rv. 589229; Sez. 3, Sentenza n. 9368 del 21/04/2006, Rv. 588706; Sez. L, Sentenza n. 9233 del 20/04/2006, Rv. 588486; Sez. L, Sentenza n. 3881 del 22/02/2006, Rv. 587214; e così via, sino a risalire a Sez. 3, Sentenza n. 1674 del 22/06/1963, Rv. 262523, la quale affermò il principio in esame, poi ritenuto per sessant’anni: e cioè che “la valutazione e la interpretazione delle prove in senso difforme da quello sostenuto dalla parte è incensurabile in Cassazione”);

col terzo motivo la ricorrente lamenta la violazione di nove diversi articoli del D.Lgs. n. 251 del 2007, nonchè del D.Lgs. n. 25 del 2008, art. 8 e del D.Lgs. n. 286 del 1998, art. 5;

la complessa censura investe le statuizione della sentenza di merito nella parte in cui ha negato sia lo status di rifugiato, sia la protezione sussidiaria, sia la protezione umanitaria;

le prime due censure sono inammissibili perchè non investono la ratio decidendi;

il Tribunale infatti ha escluso sia il rischio di persecuzioni, sia l’esistenza di un conflitto armato, mentre la ricorrente, incurante di tale ratio decidendi, si affanna a sostenere che se ritornasse in Nigeria, non potrebbe sposare il padre della propria figlia perchè quest’ultima non è stata battezzata: una doglianza dunque eterodossa rispetto alla ragione per cui il Tribunale ha negato le due forme maggiori di protezione;

nella parte, invece, in cui investe il rigetto della domanda di protezione umanitaria, il motivo è fondato;

con recente decisione, che il Collegio condivide e richiama, questa Corte ha stabilito i seguenti principi (Sez. 1, Ordinanza n. 1104 del 20.1.2020):

(a) il giudizio sulla “vulnerabilità”, quale circostanza legittimante il rilascio del permesso di soggiorno per motivi umanitari, va compiuto con valutazione “caso per caso”;

(b) tale giudizio va compiuto, in particolare, comparando “il grado d’integrazione effettiva nel nostro Paese e la situazione soggettiva e oggettiva del richiedente nel Paese di origine, al fine di verificare se il rimpatrio possa determinare (…) la privazione della titolarità dell’esercizio dei diritti umani, al di sotto del nucleo ineliminabile e costitutivo della dignità personale”;

(c) il giudizio di comparazione suddetto “è concettualmente caratterizzato da una relazione di proporzionalità inversa tra fatti giuridicamente rilevanti, che impone un peculiare bilanciamento tra condizione soggettiva del richiedente asilo e situazione oggettiva del Paese di eventuale rimpatrio”, per cui ” quanto più risulti accertata in giudizio (…) una situazione di particolare o eccezionale vulnerabilità, tanto più è consentito al giudice di valutare con minor rigore il secundum comparationis, costituito dalla situazione oggettiva del paese di rimpatrio, onde la conseguente attenuazione dei criteri predicati (…) con esclusivo riferimento alla comparazione del livello di integrazione raggiunto in Italia – rappresentati “dalla privazione della titolarità dell’esercizio dei diritti umani, al di sotto del nucleo ineliminabile e costitutivo della dignità personale”;

nel caso di specie, ritiene il Collegio che il Tribunale abbia svolto in modo non esaustivo il suddetto giudizio di bilanciamento;

infatti il Tribunale ha accertato in facto che l’odierna ricorrente è giunta in Italia il 7.7.2016; che ha dato alla luce una bimba il 14.9.2016; che di conseguenza al momento della decisione la bambina aveva già due anni di età; che la bimba aveva trascorso questi due anni sempre in Italia; che l’odierna ricorrente aveva svolto “proficuamente” le attività organizzate nel centro di accoglienza ove risiedeva;

il Tribunale, per contro, non ha preso in esame (nè per confutarla, nè per condividerla) l’allegazione attorea secondo cui la figlia dell’odierna ricorrente sarebbe affetta da una disfunzione tiroidea che richiederebbe esami ripetuti nel tempo;

a fronte degli elementi appena elencati, il Tribunale ha ritenuto che un rimpatrio dell’odierna ricorrente non la lascerebbe “priva di adeguata tutela” nel Paese di origine; ma questa valutazione trascura di considerare “comparativamente”, per quanto detto, la tutela che il

nucleo familiare composto dall’odierna ricorrente e dalla figlia riceverebbe in Italia, anche sotto il profilo dell’assistenza sanitaria, e quella che invece potrebbe ricevere in Nigeria;

la decisione impugnata pertanto, compiendo una valutazione comparativa soltanto parziale, risulta effettivamente avere compiuto

una falsa applicazione del D.Lgs. n. 286 del 1998, art. 5;

la sentenza impugnata va perciò cassata su questo punto, con rinvio della causa al Tribunale di Milano, il quale nel riesaminare il motivo di opposizione concernente la protezione umanitaria provvederà a prendere in esame le circostanze di fatto sopra evidenziate;

le spese del giudizio di legittimità saranno liquidate dal giudice del rinvio.

PQM

(-) dichiara inammissibile il primo ed il secondo motivo di ricorso;

(-) accoglie, nei limiti esposti nella motivazione, il terzo motivo di ricorso, cassa la sentenza impugnata in relazione al motivo accolto e rinvia la causa al Tribunale di Milano, in persona di altro magistrato, cui demanda di provvedere anche sulle spese del giudizio di legittimità.

Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio della Sezione Prima Civile della Corte di Cassazione, il 3 dicembre 2019.

Depositato in Cancelleria il 27 marzo 2020

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