Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 7544 del 27/03/2020

Cassazione civile sez. I, 27/03/2020, (ud. 25/10/2019, dep. 27/03/2020), n.7544

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE PRIMA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. GIANCOLA Maria Cristina – Presidente –

Dott. MELONI Marina – Consigliere –

Dott. GHINOY Paola – Consigliere –

Dott. SCALIA Laura – Consigliere –

Dott. ROSSETTI Marco – Consigliere –

Dott. LA TORRE Maria Enza – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 35264/2018 proposto da:

S.T., elettivamente domiciliato in Roma Via Po 22, presso lo

studio dell’Avvocato Ciervo Antonello, che lo rappresenta e difende

unitamente all’avvocato Mandro Luca;

– ricorrente –

contro

Ministero Dell’interno Commissione Territoriale Riconoscimento

Protezione Internazionale Ufficio Verona Sez. Padova;

– intimato –

avverso il decreto del TRIBUNALE di VENEZIA, depositato il

30/10/2018;

udita la relazione della causa svolta nella Camera di consiglio del

25/10/2019 dal Consigliere Dott. MARIA ENZA LA TORRE.

Fatto

RITENUTO

che:

S.T., cittadino del (OMISSIS), ricorre per la cassazione del Decreto n. 5868/2018 del 30/10/2018 emesso dal Tribunale di Venezia – Sezione specializzata in materia di immigrazione, protezione internazionale – che, su impugnazione, D.Lgs. n. 25 del 2008, ex art. 35-bis, avverso il diniego dell’istanza di concessione della protezione internazionale e forme complementari di protezione, ha confermato la decisione di rigetto della Commissione Territoriale, Ufficio di Verona, sez. di Padova.

Il Tribunale, condividendo la valutazione della Commissione Territoriale, ha ritenuto non credibile il ricorrente – per dichiarazioni generiche e poco circostanziate – e attribuito natura meramente privata alla vicenda narrata (risalente al (OMISSIS), quando il richiedente avrebbe bruciato dell’erba causando un incendio che, propagatosi alle case vicine, avrebbe determinato la morte di una bambina, per cui aveva dovuto lasciare il suo Paese temendo le minacce di morte del padre di lei). Da ciò l’impossibilità di riconoscere lo status di rifugiato, che presuppone l’allegazione e la dimostrazione di un fondato timore di persecuzione nel Paese d’origine, non ricorrente nel caso di specie. Inoltre, il Tribunale, quanto alla protezione sussidiaria – anch’essa non riconosciuta – ha rilevato la non ricorrenza dei requisiti di cui:

– il D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 14, lett. a) e b), stante “la mancata prospettazione del rischio di subire una condanna a morte o all’esecuzione della pena di morte, ovvero il fondato rischio di essere sottoposto a tortura o altra forma di pena o trattamento inumano o degradante”;

– il D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 14, lett. c), atteso che non sono segnalati episodi di violenza recenti (in base alle fonti disponibili) riconducibili a minaccia grave e individuale alla vita o alla persona di un civile derivante dalla violenza indiscriminata in situazioni di conflitto armato interno o internazionale.

Infine – per quanto ancora qui rileva – il Tribunale, dichiarata la natura irretroattiva della novella legislativa di cui al D.L. n. 113 del 2018, ha affermato che “la scarsa credibilità del ricorrente induce a ritenere non dimostrata l’esistenza di particolari profili di vulnerabilità che giustifichino il rilascio del permesso di soggiorno per motivi umanitari”.

Il Ministero dell’interno, non essendosi costituito nei termini con controricorso, si costituisce ex art. 370 c.p.c..

Diritto

CONSIDERATO

che:

Il ricorrente ha preliminarmente proposto la questione di illegittimità costituzionale:

A.: del D.L. n. 25 del 2008, art. 35 bis introdotto dalla L. n. 46 del 2017, art. 6, comma 1, lett. g) e modificato dal D.L. n. 113 del 2018, per violazione dell’art. 3 Cost., comma 1; art. 24 Cost., commi 1 e 2; art. 111 Cost., commi 1, 2 e 5; art. 117 Cost., comma 1. Quest’ultimo parametro, così come integrato dall’art. 46, paragrafo 3 della direttiva n. 32/2013 e dagli artt. 6 e 13 della CEDU, per quanto concerne il rito camerale ex artt. 737 c.p.c. e segg. e relative controversie in materia di protezione internazionale.

B. del D.L. n. 25 del 2008, art. 35 bis, introdotto dalla L. n. 46 del 2017, art. 6, comma 1, lett. g) e modificato dal D.L. n. 113 del 2018, per violazione dell’art. 3 Cost., comma 1; art. 24 Cost., commi 1 e 2; art. 111 Cost., commi 1, 2 e 7, nella parte in cui stabilisce che il termine per proporre ricorso per cassazione è di trenta giorni a decorrere dalla comunicazione a cura della cancelleria del decreto di primo grado”;

C. del D.L. n. 25 del 2008, art. 35 bis, introdotto dalla L. n. 46 del 2017, art. 6, comma 1, lett. g) e modificato dal D.L. n. 113 del 2018, per violazione dell’art. 3 Cost., comma 1; art. 24 Cost., commi 1 e 2; art. 111 Cost., commi 1, 2 e 7, nella parte in cui stabilisce che la procura alle liti per la proposizione del ricorso per cassazione debba essere conferita, a pena di inammissibilità del ricorso, in data successiva alla comunicazione del decreto impugnato;

D. del D.L. 4 ottobre 2018, n. 113, art. 1, comma 1, per violazione degli artt. 10 e 117 Cost., nella parte in cui ha abrogato il permesso di soggiorno per motivi umanitari, disciplinando casi speciali di permessi di soggiorno temporanei per esigenza di carattere umanitario, non idonei ad assicurare attuazione completa degli obblighi costituzionali ed internazionali cui l’ordinamento italiano è conformato.

Vanno preliminarmente esaminate le questioni di illegittimità costituzionali delle norme sopra indicate, che vanno respinte.

La Corte Cost. ha già esaminato, con sentenza n. 194 del 2019, la questione di legittimità costituzionale del D.L. 4 ottobre 2018, n. 113, artt. 1,12 e 13 (Disposizioni urgenti in materia di protezione internazionale e immigrazione, sicurezza pubblica), dichiarandola inammissibile.

Quanto alla questione della illegittimità costituzionale del D.Lgs. n. 25 del 2008, art. 35 bis, comma 13, introdotto dalla L. n. 46 del 2017, art. 6, comma 1, lett. g) e modificato dal D.L. n. 113 del 2018, per violazione dell’art. 3 Cost., comma 1, artt. 24 e 111 Cost., nella parte in cui stabilisce che il procedimento per l’ottenimento della protezione internazionale è definito con decreto non reclamabile – per soddisfare esigenze di celerità – essa è stata dichiarata manifestamente infondata da Cass. n. 27700 del 30/10/2018; conf. Sez. 1 Ord. n. 28119 del 05/11/2018, con decisioni che si confermano, in quanto non esiste copertura costituzionale del principio del doppio grado ed il procedimento giurisdizionale de quo è preceduto da una fase amministrativa che si svolge davanti alle commissioni territoriali deputate ad acquisire, attraverso il colloquio con l’istante, l’elemento istruttorio centrale ai fini della valutazione della domanda di protezione.

Con riferimento al rito camerale, Cass. n. 17717/2018, con decisione qui condivisa, ha dichiarato la manifesta infondatezza della questione di legittimità costituzionale, per violazione del diritto di difesa e del principio del contraddittorio, del D.Lgs. n. 25 del 2008, art. 35-bis, comma 1, poichè il rito camerale, ex art. 737 c.p.c., che è previsto anche per la trattazione di controversie in materia di diritti e di “status”, è idoneo a garantire il contraddittorio anche nel caso in cui non sia disposta l’udienza: sia perchè tale eventualità è limitata solo alle ipotesi in cui, in ragione dell’attività istruttoria precedentemente svolta, essa appaia superflua; sia perchè in tal caso le parti sono comunque garantite dal diritto di depositare difese scritte.

La questione della illegittimità costituzionale del D.L. 4 ottobre 2018, n. 113, art. 1, comma 1, per violazione degli artt. 10 e 117 Cost. (sub D) è inammissibile, in quanto irrilevante, avendo il Tribunale escluso l’applicabilità nel caso di specie della novella legislativa.

Con il primo motivo si deduce la violazione falsa applicazione del D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 3, in relazione all’omessa applicazione del principio di verosimiglianza delle dichiarazioni rese dal richiedente la protezione internazionale, in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, avendo il Tribunale erroneamente ritenuto non credibile l’interessato, valutando come generica e poco circostanziata la vicenda riferita.

Il motivo è infondato, in quanto, in tema di riconoscimento della protezione internazionale, l’intrinseca inattendibilità delle dichiarazioni del richiedente, alla stregua degli indicatori di genuinità soggettiva di cui al D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 3, attiene al giudizio di fatto, insindacabile in sede di legittimità, ed osta al compimento di approfondimenti istruttori officiosi; ne consegue che, in caso di racconto inattendibile e contraddittorio come nella fattispecie accertato dal giudice di merito con congrua motivazione – non è nulla la sentenza di merito che – come del resto affermato da Corte di Giustizia U.E., 26 luglio 2017, in causa C-348/16, Moussa Sacko, e da Corte EDU, 12 novembre 2002, Dory c. Svezia – rigetti la domanda senza ulteriori istruttorie per colmare le lacune della narrazione e chiarire la sua posizione (Sez. 1, Ordinanza n. 33858 del 19/12/2019).

Con il secondo motivo si lamenta la violazione, falsa ed erronea interpretazione del D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 14, lett. c), in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3.

Anche questo motivo è infondato, avendo il Tribunale accertato che nella regione di (OMISSIS) non sono segnalati episodi di violenza recenti, tali da esporre il richiedente, in caso di rientro, a rischio individuale e specifico, per cui ha negato il riconoscimento della protezione sussidiaria. Tale decisione è conforme ai principi della giurisprudenza di questa Corte, secondo cui, a norma del D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 14, lett. c), la nozione di violenza indiscriminata in situazioni di conflitto armato, interno o internazionale, secondo la giurisprudenza della Corte di giustizia UE (sentenza 30 gennaio 2014, in causa C-285/12), deve essere interpretata nel senso che il conflitto armato interno rileva solo se, eccezionalmente, possa ritenersi che gli scontri tra le forze governative di uno Stato e uno o più gruppi armati, o tra due o più gruppi armati, siano all’origine di una minaccia grave e individuale alla vita o alla persona del richiedente la protezione sussidiaria. Il grado di violenza indiscriminata deve aver pertanto raggiunto un livello talmente elevato da far ritenere che un civile, se rinviato nel Paese o nella regione in questione correrebbe, per la sua sola presenza sul territorio, un rischio effettivo di subire detta minaccia. Situazione come detto non ricorrete nel caso in esame, come congruamente motivato dal Tribunale.

Con l’ultima doglianza, si censura la violazione del D.Lgs. n. 286 del 1998, art. 5, comma 6, nella formulazione anteriore alle modifiche introdotte con il D.L. 4 ottobre 2018, n. 113, con riferimento alla domanda di concessione del permesso di soggiorno per motivi umanitari, ex art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3.

Il motivo è inammissibile per carenza di interesse, avendo il Tribunale applicato la normativa richiamata nella versione antecedente alla modifica legislativa di cui al D.L. n. 113 del 2018 (pag. 5 decreto impugnato).

In ogni caso è infondato, avendo il Tribunale applicato correttamente i principi in materia.

Va premesso che il riconoscimento allo straniero del diritto al rilascio del permesso di soggiorno per motivi umanitari, del D.Lgs. 25 luglio 1998, n. 286, ex art. 5, comma 6, applicabile ratione temporis, è subordinato all’accertamento di seri motivi di carattere umanitario o risultanti da obblighi internazionali o costituzionali (non definiti dal legislatore, prima dell’intervento attuato con il D.L. n. 113 del 2018), accumunati dal fine di tutelare situazioni di vulnerabilità personale dello straniero derivanti dal ischio di essere immesso nuovamente, in conseguenza del rimpatrio, in un contesto sociale, politico o ambientale idoneo a costituire una significativa ed effettiva compromissione dei suoi diritti fondamentali inviolabili (Sez. 1, 23/02/2018, n. 4455).

Per costante orientamento di questa Corte (Cass. SU 13 novembre 2019, n. 29459 e Cass. 19 febbraio 2019, n. 4890, (Cass. 09/10/2017, n. 23604), cui si intende dare continuità, nel regime qui applicabile ratione temporis, detta misura, configurata come atipica e residuale, deve essere frutto di valutazione autonoma caso per caso, non potendo conseguire automaticamente dal rigetto delle altre domande di protezione internazionale, essendo necessario considerare la specificità della condizione personale di particolare vulnerabilità del richiedente, da valutare anche in relazione alla sua situazione psico-fisica attuale e al contesto culturale e sociale di riferimento (Cass. 12 novembre 2018, n. 28990 e Cass. 15 maggio 2019, n. 13088).

Nella fattispecie il Tribunale di Venezia ha applicato correttamente la normativa richiamata, come interpretata dalla giurisprudenza di questa Corte, ed applicabile prima dell’intervento attuato con il D.L. n. 113 del 2018, valutando sia la scarsa credibilità del richiedente, sia la mancanza di patologie che non possano essere curate efficacemente nel Paese di origine; sia l’assenza di un lavoro sufficientemente stabile di Italia, tale provare una significativa integrazione sociale, secondo i parametri individuati dalla giurisprudenza (Cass. n. 4455/2018).

Con specifico riferimento alla attività lavorativa svolta, ritenuta dal Tribunale elemento non sufficiente ex se a integrare una possibile situazione di vulnerabilità ai fini del riconoscimento della protezione umanitaria, giova aggiungere che le Sezioni Unite di questa Corte, nella sentenza n. 29460/2019, sopra richiamata, hanno ribadito, in motivazione, l’orientamento di questo giudice di legittimità rilevando che “non può, peraltro, essere riconosciuto al cittadino straniero il diritto al permesso di soggiorno per motivi umanitari considerando, isolatamente e astrattamente, il suo livello di integrazione in Italia, nè il diritto può essere affermato in considerazione del contesto di generale e non specifica compromissione dei diritti umani accertato in relazione al paese di provenienza (Cass. 28 giugno 2018, n. 17072)”, in quanto, così facendo, “si prenderebbe altrimenti in considerazione non già la situazione particolare del singolo soggetto, ma piuttosto quella del suo paese di origine, in termini del tutto generali ed astratti, di per sè inidonea al riconoscimento della protezione umanitaria “.

Conclusivamente il ricorso va respinto. Nulla sulle spese essendosi il Ministero dell’interno costituito ex art. 370 c.p.c..

P.Q.M.

Rigetta il ricorso.

Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte del ricorrente principale, di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso principale, a norma dello stesso art. 13, comma 1 bis, se dovuto.

Così deciso in Roma, il 25 ottobre 2019.

Depositato in Cancelleria il 27 marzo 2020

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