Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 7534 del 29/03/2010

Cassazione civile sez. lav., 29/03/2010, (ud. 24/02/2010, dep. 29/03/2010), n.7534

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE LAVORO

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. VIDIRI Guido – Presidente –

Dott. DI NUBILA Vincenzo – Consigliere –

Dott. NAPOLETANO Giuseppe – Consigliere –

Dott. ZAPPIA Pietro – rel. Consigliere –

Dott. BALLETTI Bruno – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

sentenza

sul ricorso 9458-2006 proposto da:

POSTE ITALIANE S.P.A., in persona del legale rappresentante pro

tempore, elettivamente domiciliata in ROMA, VIALE EUROPA 175, presso

lo studio dell’avvocato URSINO ANNA MARIA, che la rappresenta e

difende, giusta mandato a margine del ricorso;

– ricorrente –

contro

F.A., elettivamente domiciliata in ROMA, VIA RENO

21, presso lo studio dell’avvocato RIZZO ROBERTO, che la rappresenta

e difende unitamente all’avvocato SCAVONE MAURIZIO, giusta mandato a

margine del controricorso;

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 487/2005 della CORTE D’APPELLO di TORINO,

depositata il 30/03/2005 r.g.n. 22/05;

udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del

24/02/2010 dal Consigliere Dott. PIETRO ZAPPIA;

udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott.

SEPE Ennio Attilio, che ha concluso per il rigetto del ricorso.

 

Fatto

Con ricorso al Tribunale, giudice del lavoro, di Torino, notificato in data 24.12.2003, F.A., premesso di essere dipendente della società Poste Italiane s.p.a. con mansioni di addetta allo sportello, e premesso altresì di essere stata applicata sino al 28.7.2003 presso l’Ufficio Postale di (OMISSIS) e trasferita, da quella data, presso l’Ufficio Postale di (OMISSIS), esponeva che tale trasferimento era illegittimo perchè disposto in violazione dell’art. 2103 c.c. e dell’art. 37 del CCNL di settore.

Chiedeva pertanto l’annullamento o la revoca del predetto trasferimento e la condanna della società datoriale alla reintegra di essa ricorrente nel posto di lavoro precedentemente occupato.

Con sentenza in data 20.10.2004 il Tribunale adito accoglieva la domanda.

Avverso tale sentenza proponeva appello la Poste Italiane s.p.a., lamentandone la erroneità sotto diversi profili e chiedendo il rigetto delle domande proposte da controparte con il ricorso introduttivo.

La Corte di Appello di Torino, con sentenza in data 10.3.2005, rigettava il gravame.

Avverso questa sentenza propone ricorso per cassazione la società datoriale con cinque motivi di impugnazione.

Resiste con controricorso la lavoratrice intimata.

La stessa ha depositato memoria ex art. 378 c.p.c..

Diritto

Con i primi tre motivi di gravame, congiuntamente esposti, la ricorrente lamenta violazione e falsa applicazione dell’art. 1363 c.c. in relazione all’art. 37 del CCNL dell’11.1.2001 (art. 360 c.p.c., n. 3); violazione e falsa applicazione dell’art. 1963 c.c. in relazione all’art. 74 del CCNL dell’11.1.2001 (art. 360 c.p.c., n. 3); omessa, insufficiente e contraddittoria motivazione su un punto decisivo della controversia prospettato dalla ricorrente (art. 360 c.p.c., n. 5).

In particolare osserva la società che la Corte territoriale aveva condotto una insufficiente e distorta disamina della normativa contrattuale disciplinante la fattispecie con riferimento al concetto di “unità produttiva” ai fini della configurabilità di un trasferimento da un Comune ad un altro.

Rileva sul punto che erroneamente la Corte territoriale aveva ritenuto l’applicabilità nel caso di specie della disposizione dell’art. 37 del CCNL 11.1.2001 ai sensi del quale “lo spostamento definitivo e senza limiti di durata del lavoratore ad altro luogo di lavoro, ovvero ad altra sede di lavoro distante più di 30 km dalla sede di lavoro di provenienza nell’ambito dei Comuni di (OMISSIS), configura ipotesi di trasferimento, che può essere disposto unicamente per comprovate ragioni tecniche, organizzative e produttive”. Ed invero, ai sensi della L. n. 300 del 1970, art. 35 non si verifica trasferimento laddove lo spostamento avviene nell’ambito della stessa unità produttiva; e nel settore delle Poste l’ambito dell’unità produttiva veniva a coincidere con quello della Filiale. Ciò in quanto l’applicazione del contratto collettivo, nella sua integrità, non poteva prescindere da tutte le clausole in esso contenute, ed in particolare da quella posta dall’art. 74 – che richiamava il protocollo d’intesa del 18.5.1999 – ai sensi del quale il concetto di “unità produttiva” coincideva con quello di “filiale”.

Di conseguenza la disposizione di cui all’art. 37, comma 1 del CCNL in questione andava interpretata nel senso che la “sede di lavoro” si individuava nella “struttura immobiliare nella quale è situato il posto di lavoro” e pertanto, qualora questo distasse meno di 30 km dal precedente posto di lavoro, non poteva configurarsi alcuna ipotesi di trasferimento.

E pertanto del tutto inconferente doveva ritenersi il richiamo operato dalla Corte territoriale al predetto art. 37, comma 3 del CCNL, ai sensi del quale il lavoratore di età superiore a 50 anni, se di sesso femminile, poteva essere trasferito solo in casi di carattere eccezionale, in quanto tale norma non era riferibile alla fattispecie in esame in cui alla stregua delle osservazioni in precedenza svolte, non poteva parlarsi di “trasferimento”.

I motivi non sono fondati, non potendosi condividere i rilievi di parte ricorrente circa la non applicabilità dell’art. 37 del CCNL, in quanto basati su una erronea interpretazione della disposizione medesima.

Questa Corte ha più volte ribadito il principio secondo cui l’interpretazione del contratto collettivo di diritto comune, concretizzandosi nell’accertamento della volontà dei contraenti ed in una indagine di fatto, quindi riservata al giudice di merito, può essere censurata in sede di legittimità sola per inadeguatezza della motivazione o per violazione delle regole ermeneutiche, con la conseguenza che deve essere ritenuta inammissibile ogni critica della volontà negoziale operata dal giudice di merito che si traduca solo nella prospettazione di una diversa valutazione degli stessi elementi di fatto vagliati dal giudice di merito o di una diversa interpretazione delle disposizioni pattizie (cfr. tra le tante da ultimo: Cass. sez. lav., 8.6.2009 n. 13181; Cass. sez. lav., 12.3.2009 n. 6010; Cass. sez. lav., 23.1.2009 n. 1717; Cass. sez. lav., 4.7.2008 n. 18499).

Questa Corte ha anche statuito più volte che, nell’interpretazione del contratto collettivo di diritto comune, il criterio logico – sistematico di cui all’art. 1363 c.c. assume un particolare rilievo (ben più accentuato di quanto accade per i restanti contratti di diritto comune) in ragione delle particolari caratteristiche connotanti la contrattazione collettiva anche se il criterio letterale di cui all’art. 1362 c.c. costituisce sempre il punto di partenza per una corretta interpretazione di ogni clausola pattizia (cfr. ex plurimis: Cass. sez. lav., 28.11.2008 n. 28460; Cass. sez. lav., 11.3.2008 n. 6429; Cass. sez. lav., 21.3.2006 n. 6264; Cass. sez. lav., 29.7.2005 n. 15969; Cass. sez. lav., 9.3.2005 n. 5140).

Orbene, la Corte d’appello di Torino, con l’affermare che l’espressione “luogo di lavoro” contenuta nel predetto art. 37, al comma 1, andava riferita al Comune in cui l’attività lavorativa veniva svolta, ha dato della disposizione in esame una lettura sorretta da validi motivi e rispettosa, oltre che del canone ermeneutico letterale, anche di quello logico – sistematico, evidenziando tra l’altro, a conferma della soluzione accolta, come tale disposizione andasse coordinata con quella contenuta nel successivo art. 39 laddove veniva espressamente stabilito che in materia di trasferimenti con “l’espressione luogo di lavoro si intende l’ambito territoriale del Comune”.

A fronte di tali conclusioni, fondate su argomentazioni adeguatamente motivate e corrette sul piano logico – giuridico, e pertanto non suscettibili di essere censurate in questa sede di legittimità, la ricorrente patrocina una interpretazione delle norme contrattuali che, pure sostenibile sul piano logico, non può però inficiare la diversa opzione ermeneutica seguita dal giudice d’appello.

D’altronde l’esplicito disposto del predetto art. 37 CCNL è chiaro nel riferire la disciplina dei trasferimenti agli spostamenti “ad altro luogo di lavoro” inteso nel senso sopra indicato, non facendo alcun riferimento, neanche implicito, al concetto di unità produttiva; e comunque, siccome rilevato dalla predetta Corte territoriale, nulla autorizza a ritenere che, in base al contratto collettivo, la nozione di unità produttiva debba essere equiparata a quella di filiale.

Anche sul punto i giudici di merito, in relazione all’art. 74 del predetto contratto, hanno evidenziato che lo stesso si riferiva principalmente alle questioni attinenti alla rappresentatività sindacale, non ravvisandosi alcun collegamento con la disciplina contrattuale dei trasferimenti.

Da ciò consegue che correttamente la Corte territoriale ha fatto riferimento all’art. 37, comma 3 CCNL, il quale prevede che il trasferimento (nell’accezione in precedenza ritenuta) della lavoratrice di età superiore a 50 anni può essere disposto “solo in casi di eccezionale urgenza”, in realtà mai dedotti e tanto meno provati dalla società datoriale.

Col quarto e quinto motivo del ricorso, pur essi esposti unitariamente dalla ricorrente, la società predetta lamenta violazione e falsa applicazione dell’art. 2103 c.c. in relazione all’art. 41 Cost., nonchè omessa, insufficiente e contraddittoria motivazione su un punto decisivo della controversia prospettato dalla ricorrente (art. 360 c.p.c., n. 5).

In particolare rileva la società che erroneamente la Corte territoriale aveva ritenuto che la Poste Italiane s.p.a. non avesse adeguatamente evidenziato le dedotte esigenze organizzative e produttive, essendosi limitata ad una apodittica e generica affermazione della “primaria esigenza di garantire un servizio ottimale alla clientela”; per contro la compiuta istruttoria aveva posto in rilievo ben più consistenti e concrete ragioni, del tutto immotivatamente disattese.

Doveva di conseguenza ritenersi inconfutabile la sussistenza delle ragioni di cui all’art. 2103 c.c., anche alla luce del principio dell’intangibilità della libera iniziativa economica dell’imprenditore di cui all’art. 41 Cost., il quale aveva come conseguenza che il controllo giudiziale sulla legittimità del trasferimento del lavoratore era limitato all’accertamento della sussistenza delle comprovate ragioni giustificative, essendo esclusa la possibilità di sindacare l’opportunità del provvedimento e la scelta operata dall’imprenditore.

I motivi non appaiono fondati ove si osservi che la Corte territoriale, correttamente richiamando il disposto di cui all’art. 37, comma 3 CCNL secondo cui la lavoratrice di età superiore ai 50 anni poteva essere trasferita “solo in casi di carattere eccezionale”, ha rilevato – per come detto – che la società datoriale non aveva mai dedotto, e tanto meno provato, l’eccezionaiità del caso concreto.

Alla stregua di quanto sopra del tutto non coerente si appalesa sul punto il proposto gravame, incentrato sulla esistenza (e sulla mancata valutazione) delle esigenze tecniche, organizzative e produttive che, nella prospettazione della ricorrente, giustificavano il trasferimento, mentre in realtà il giudice d’appello aveva rilevato la mancata deduzione e prova della “eccezionaiità” del caso concreto; e sul punto nessun rilievo è stato mosso dalla ricorrente.

Neanche sotto questo profilo il gravame può pertanto trovare accoglimento.

Il proposto gravame va pertanto rigettato, rimanendo in tale pronuncia assorbiti gli ulteriori rilievi concernenti l’equivalenza delle mansioni che la dipendente era destinata a svolgere nella nuova sede di lavoro in relazione a quelle svolte in precedenza.

A tale pronuncia segue la condanna della ricorrente al pagamento delle spese di giudizio che si liquidano come da dispositivo.

P.Q.M.

La Corte rigetta il ricorso; condanna la ricorrente alla rifusione delle spese del presente giudizio di cassazione, che liquida in Euro 41,00, oltre Euro 2.000,00 (duemila) per onorari, oltre spese generali, IVA e CPA come per legge.

Così deciso in Roma, il 24 febbraio 2010.

Depositato in Cancelleria il 29 marzo 2010

 

 

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