Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 7534 del 17/03/2021

Cassazione civile sez. trib., 17/03/2021, (ud. 15/10/2020, dep. 17/03/2021), n.7534

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TRIBUTARIA

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. BISOGNI Giacinto – Presidente –

Dott. MANZON Enrico – Consigliere –

Dott. TRISCARI G. – rel. Consigliere –

Dott. PUTATURO DONATI VISCIDO DI NOCERA M.G. – Consigliere –

Dott. ANTEZZA Fabio – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

SENTENZA

Sul ricorso iscritto al n. 3438 del ruolo generale dell’anno 2014

proposto da:

M.E., in proprio e quale rappresentante della ditta

omonima, rappresentato e difeso dagli Avv.ti Andrea Codemo e

Giuseppe Marini per procura speciale a margine del ricorso,

elettivamente domiciliato in Roma, via Monti Parioli, n. 48, presso

lo studio di quest’ultimo difensore;

– ricorrente –

contro

Agenzia delle entrate, in persona del direttore generale pro tempore,

rappresentata e difesa dall’Avvocatura generale dello Stato, presso

i

cui Uffici in Roma, via dei Portoghesi n. 12, è domiciliata;

– controricorrente –

per la cassazione della sentenza della Commissione tributaria

regionale del Veneto, n. 78/05/2013, depositata in data 10 giugno

2013;

udita la relazione svolta nella pubblica udienza del 15 ottobre 2020

dal Consigliere Giancarlo Triscari;

udito il Pubblico Ministero, in persona del Sostituto procuratore

generale Dott. De Augustinis Umberto;

udito per l’Agenzia delle entrate l’Avvocato dello Stato Gianna

Galluzzo.

 

Fatto

FATTI DI CAUSA

Dalla esposizione in fatto della sentenza impugnata evince che: l’Agenzia delle entrate aveva notificato a M.E., titolare della omonima ditta esercente l’attività di lavorazioni e ristrutturazioni edilizie, distinti avvisi di accertamento, con i quali, relativamente agli anni di imposta 2005 e 2006, aveva richiesto il pagamento del maggior reddito non dichiarato avendo riscontrato, in sede di accesso presso la sede della ditta, documentazione extracontabile comprovante, secondo l’amministrazione finanziaria, ricavi “in nero” non dichiarati; il contribuente aveva quindi proposto ricorso che era stato accolto parzialmente dalla Commissione tributaria provinciale limitatamente all’anno di imposta 2006, rideterminando le conseguenti sanzioni; l’Agenzia delle entrate aveva quindi proposto appello principale e il contribuente appello incidentale.

La Commissione tributaria regionale del Veneto ha accolto l’appello principale e rigettato quello incidentale.

In particolare, ha ritenuto che: con riferimento al ricorso incidentale del contribuente, erano infondate le questioni relative al difetto di motivazione degli avvisi di accertamento (prospettate secondo i differenti profili della mancata allegazione del processo verbale di constatazione, di carenza di motivazione, di successiva integrazione dei motivi); con riferimento al merito della controversia, correttamente l’amministrazione finanziaria aveva ricostruito induttivamente i maggiori ricavi non dichiarati a seguito del rinvenimento della documentazione extracontabile e, sotto tale profilo, la suddetta documentazione consentiva presuntivamente di accertare il maggior reddito non dichiarato stante la sussistenza dei requisiti della gravità, precisione e concordanza; ai fini dell’accertamento induttivo dei maggiori ricavi non dichiarati, correttamente l’amministrazione finanziaria aveva tenuto conto dei costi sostenuti relativi al personale dipendente utilizzato per lavoro irregolare; era legittima la ripresa a titolo di ritenute non versate; infine, le sanzioni erano state correttamente determinate ed era stato correttamente applicato il cumulo giuridico, anche tenuto conto del fatto che il contribuente non aveva fornito un conteggio alternativo per dimostrare un risultato allo stesso più favorevole; con riferimento, poi, al ricorso principale dell’amministrazione finanziaria, era legittimo il recupero relativo all’anno 2006 per l’intero importo preteso, in quanto i verificatori avevano riscontrato, oltre alla documentazione extracontabile relativa alle vendite non dichiarate, ulteriore documentazione extracontabile relativa a compensi non dichiarati in favore di lavoratori irregolari occupati “in nero” ovvero di lavoratori già occupati, sicchè era corretto il criterio di calcolo utilizzato che tenesse conto anche di tali ulteriori elementi presuntivi di maggior reddito.

M.E. ha quindi proposto ricorso per la cassazione della sentenza affidato a dieci motivi di censura, cui ha resistito l’Agenzia delle entrate con controricorso.

Diritto

RAGIONI DELLA DECISIONE

Con il primo motivo di ricorso si censura la sentenza ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5), “in merito alla insussistenza dei presupposti per operare un accertamento ai sensi del D.P.R. n. 600 del 1973. art. 39”, in particolare per avere ritenuta legittima la ripresa sulla base di elementi indiziari insussistenti e privi dei requisiti della gravità, precisione e concordanza, in quanto la documentazione rinvenuta non costituiva una contabilità parallela poichè riguardava prevedibili lavori extracapitolato mai eseguiti, e per non avere tenuto peraltro conto della circostanza che, invece, il ricorrente aveva tenuto regolarmente la contabilità e nessuna irregolarità o inattendibilità della stessa era stata riscontrata.

Con il secondo motivo di ricorso si censura la sentenza ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5), per “omesso esame circa un fatto decisivo per il giudizio in merito alle deduzioni operate con riguardo al reddito oggetto di contestazione per gli anni di imposta 2005 e 2006”, in particolare per avere dedotto, sulla base di un fatto non provato, in quanto la documentazione extracontabile rinvenuta non era idonea a provare la esistenza di lavori eseguiti “in nero”, conseguenze non corrispondenti alla realtà, anche considerata la circostanza che tutti i costi effettivamente dedotti attenevano a lavori eseguiti ed oggetto di regolare fatturazione.

I motivi, che possono essere esaminati unitariamente, in quanto attengono alla medesima questione del vizio di motivazione della sentenza in ordine ai fatti oggetto di controversia, sono inammissibili.

Va osservato, invero, che la sentenza del giudice del gravame ha basato la ricostruzione del maggior reddito non dichiarato sulla documentazione extracontabile rinvenuta a seguito di accesso presso la sede della ditta ed ha specificato in cosa la stessa consistesse, cioè in un prospetto riepilogativo denominato “Planning 2005”, ove erano stati indicati, suddivise per cantiere, gli incassi di somme ricevute sia fatturate che “in nero”, nonchè in un documento aggiuntivo denominato “Bilancio 2005”, dove alla voce “vendita extra” era stata riportata la somma di Euro 156.762,75.

Il giudice di appello, inoltre, ha evidenziata “l’estrema precisione dell’annotazione contabile indicata al centesimo in Euro” ed ha quindi ritenuto che la suddetta documentazione extracontabile avesse le caratteristiche della gravità, precisione e concordanza idonee a fondare l’accertamento induttivo nei confronti del contribuente, con conseguente onere dello stesso di fornire la prova contraria, non essendo sufficiente la regolarità formale delle scritture contabili.

Il giudice di appello, inoltre, ha tenuto conto della diversa prospettazione del contribuente, ora riproposta come ragione di censura, tesa a rappresentare la documentazione rinvenuta come “mera pianificazione/previsione degli interventi da svolgere presso cantieri nei quali era impegnato anche in momenti successivi al periodo in contestazione, ad uso meramente interno, con la finalità di previsione di impegno e non di certificazione di incassi”, e del fatto che, sempre secondo il contribuente, “l’indicazione extra riportata nel documento reperito dai verbalizzanti non assumeva il significato di somme ricevute “in nero” bensì di interventi extra-capitolato, cioè al di fuori del contratto di appalto”.

Rispetto a tali affermazioni difensive del contribuente, il giudice di appello ha, tuttavia, evidenziato che non solo nella documentazione extracontabile rinvenuta risultava chiaramente che, a fianco della colonna concernente le fatture emesse con l’indicazione del relativo imponibile, vi era anche una ulteriore colonna intitolata “extra” con a fianco la colonna “incassi”, ove, dunque, erano annotati i compensi non dichiarati, ma anche che, da un confronto effettuato dai verificatori fra i dati riportati nel succitato prospetto e la documentazione bancaria del contribuente, era emerso che, alla data indicata nel prospetto, coincideva quasi sempre un versamento di denaro in contanti, sicchè è pervenuto alla considerazione conclusiva che la linea difensiva del contribuente non solo non era attendibile, ma era altresì smentita proprio dal controllo bancario, conferendo, in tal modo, alla documentazione extracontabile l’idoneità presuntiva per pervenire alla valutazione finale della esistenza di maggiori ricavi non dichiarati.

Pertanto, la sentenza in esame ha chiaramente motivato in ordine al fatto che alla documentazione extracontabile rivenuta poteva attribuirsi l’idoneità di valido elemento indiziario sul quale fondare la ricostruzione induttiva di maggiori redditi non dichiarati nonchè alla non fondatezza dell’argomento difensivo del contribuente teso a svalutare la suddetta rilevanza probatoria.

Va quindi precisato, con riferimento alle ragioni di doglianza proposte con i motivi di ricorso in esame, basati sulla sussistenza del vizio di motivazione della sentenza censurata, che questa Corte (da ultimo, Sez. Un., 23 maggio 2019, n. 13983; Sez. Un., 7 aprile 2014, n. 8053) ha precisato che l’intervento di modifica dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5), comporta una sensibile restrizione dell’ambito di controllo, in sede di legittimità, sulla motivazione di fatto, attesa la intervenuta riduzione al minimo costituzionale del sindacato sulla motivazione in sede di giudizio di legittimità, per cui l’anomalia motivazionale denunciabile in questa sede è solo quella che si tramuta in violazione di legge costituzionalmente rilevante e attiene all’esistenza della motivazione in sè, come risulta dal testo della sentenza e prescindendo dal confronto con le risultanze processuali, e si esaurisce, con esclusione di alcuna rilevanza del difetto di sufficienza, nella mancanza assoluta di motivi sotto l’aspetto materiale e grafico, nella motivazione apparente, nel contrasto irriducibile fra affermazioni inconciliabili, nella motivazione perplessa ed obiettivamente incomprensibile.

Ed invero, il giudice del gravame, come evidenziato, ha esaminato la questione relativa alla sussistenza di elementi presuntivi idonei a raggiungere la prova, mediante procedimento inferenziale, della esistenza del fatto ignoto consistente nei maggiori redditi non dichiarati, motivando chiaramente sulla valenza probatoria della documentazione extracontabile rinvenuta e sulla non fondatezza della diversa ricostruzione operata dal contribuente, sicchè non può ragionarsi in termini di vizio di motivazione, come invece prospettato con i motivi di ricorso in esame.

Peraltro, le ragioni di doglianza prospettate, cioè la mancanza di idoneità della documentazione extracontabile ai fini della ricostruzione induttiva del reddito non dichiarato, tenuto conto della “regolarità contabile” e degli effettivi costi sostenuti, oltre che scontrarsi con l’accertamento in fatto compiuto dal giudice del gravame, risultano prive di specifica indicazione dei fatti decisivi non considerati ai fini della decisione, limitandosi, in realtà, il contribuente a prospettare una non consentita rivalutazione di merito sull’accertamento in fatto compiuto in sentenza.

Con il terzo motivo di ricorso si censura la sentenza ai sensi dell’art. 360, comma 1 n. 3), c.p.c., “in merito alla violazione e falsa applicazione di norme di diritto. Violazione del D.P.R. n. 600 del 1973, art. 39, comma 1, lett. d)”.

In particolare, lamenta il ricorrente l’assenza dei presupposti di cui al D.P.R. n. 600 del 1973, art. 39, comma 1, lett. d), non sussistendo elementi presuntivi idonei, tenuto conto del fatto che: l’ufficio aveva erroneamente conteggiato importi ascrivibili a ricavi conteggiandoli sia per l’annualità 2005 che per il successivo anno di imposta 2006; la contabilità era regolare; nessun concreto accertamento risulta compiuto al fine di verificare se, in concreto, i lavori di cui alla contabilità parallela erano stati eseguiti, mentre non poteva porsi a carico del ricorrente la prova di un fatto negativo.

Il motivo è infondato.

Questa Corte ha già più volte precisato che in tema di accertamento delle imposte sui redditi, il D.P.R. 29 settembre 1973, n. 600, art. 39, comma 1, lett. c), consente di procedere alla rettifica del reddito anche quando l’incompletezza della dichiarazione risulta da elementi presuntivi desumibili anche da documentazione extracontabile ed in particolare da “contabilità in nero”, costituita da appunti personali ed informazioni dell’imprenditore, dovendo ricomprendersi tra le scritture contabili disciplinate dagli artt. 2709 e ss. c.c., tutti i documenti che registrino, in termini quantitativi o monetari, i singoli atti d’impresa, ovvero rappresentino la situazione patrimoniale dell’imprenditore ed il risultato economico dell’attività svolta (Cass. civ. 28 maggio 2020, n. 10138), spettando poi al contribuente l’onere di fornire adeguata prova contraria (Cass. civ., n. 12680 del 2018 e Cass. n. 27622 del 2018).

Nella fattispecie, il giudice del gravame, come già evidenziato, ha verificato che presso la sede del contribuente era stata rinvenuta una contabilità parallela e, esaminatone il contenuto, ha espresso il proprio convincimento in ordine alla valenza di prova presuntiva di quanto in essa risultante al fine dell’accertamento del maggior reddito non dichiarato, sicchè non sussiste alcuna violazione di legge, avendo in sentenza correttamente fatta applicazione dei principi relativi all’accertamento analitico-induttivo, tenuto conto del fatto che la regolarità contabile, evidenziata dal ricorrente, non preclude all’amministrazione finanziaria di individuare elementi presuntivi, quale la contabilità parallela, sulla cui base procedere induttivamente alla esistenza di maggiori ricavi rispetto a quelli risultanti formalmente dalla contabilità.

Il profilo, poi, della eventuale duplicazione di importi relativi agli anni in esame, non è ammissibile nell’ambito del dedotto vizio di violazione di legge, ponendosi, eventualmente, una questione di accertamento in fatto, censurabile solo mediante la censura del vizio motivazionale, tenuto conto del fatto che la pronuncia ha accertato la correttezza degli importi riconducibili a ciascun anno di riferimento.

Gli altri profili di censura, relativi alla verifica in concreto dei lavori presuntivamente svolti nonchè all’onere di prova gravante sul contribuente, recedono dinanzi alla precisazione, cui sopra si è fatto riferimento, della valenza di prova presuntiva della documentazione extracontabile rinvenuta, sicchè, rispetto ad essa, è il contribuente che deve fornire la prova contraria, anche mediante presunzioni, dirette a far venire meno l’idoneità della prova presuntiva fatta valere dall’amministrazione finanziaria a fondamento della propria pretesa.

Con il quarto motivo si censura la sentenza ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5), per “omesso esame circa un fatto decisivo per il giudizio in merito alle deduzioni operate dall’ufficio con riguardo al reddito oggetto di contestazione per gli anni di imposta 200 e 2006”.

In particolare, il contribuente deduce che il giudice del gravame avrebbe erroneamente duplicato importi ascrivibili a ricavi conteggiandoli sia per l’anno 2005 che per l’anno 2006, e che si utilizzano come presunzioni elementi che non costituiscono contabilità parallela, ma mero prospetto di lavori poi non eseguiti, e che, peraltro, non sono stati valutati alla luce di ulteriori elementi di riscontro nonchè dalle risultanze delle contabilità ufficiale.

Il motivo è inammissibile.

Va osservato che questa Corte (da ultimo, 25 settembre 2020, n. 20202) ha precisato che, in seguito alla riformulazione dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5), non sono più ammissibili nel ricorso per cassazione le censure di contraddittorietà e insufficienza della motivazione della sentenza di merito impugnata, in quanto il sindacato di legittimità sulla motivazione resta circoscritto alla sola verifica della violazione del “minimo costituzionale” richiesto dall’art. 111 Cost., individuabile nelle ipotesi di “mancanza della motivazione quale requisito essenziale del provvedimento giurisdizionale”, di “motivazione apparente”, di “manifesta ed irriducibile contraddittorietà” e di “motivazione perplessa od incomprensibile”, al di fuori delle quali il vizio di motivazione può essere dedotto solo per omesso esame di un “fatto storico”, che abbia formato oggetto di discussione e che appaia “decisivo” ai fini di una diversa soluzione della controversia.

Il giudice del gravame ha, sul punto, accertato qual era l’importo dei maggiori ricavi non dichiarati risultanti dalla contabilità parallela, precisando che, oltre alla documentazione extracontabile, si doveva, altresì, tenere conto di ulteriore documentazione extracontabile, relativa a manodopera e compensi extra erogati sia a favore di lavoratori irregolari occupati “in nero” sia a favore di lavoratori regolari, sicchè, tenendo conto del calcolo utilizzato dall’amministrazione finanziaria, di cui ha condiviso il metodo e le risultanze, ha rideterminato il maggior reddito non dichiarato per l’anno 2006.

Il motivo in esame non tiene quindi conto delle ratio decidendi della pronuncia censurata, la quale, dunque, ha compiuto un accertamento in fatto del maggior importo dovuto, sicchè, in questa sede, la motivazione è stata congruamente espressa secondo un ragionamento logico esaustivo, privo dei vizi entro i cui limiti soltanto può essere prospettata la censura avverso la motivazione del giudice.

Gli ulteriori profili, relativi alla circostanza che la documentazione extracontabile rinvenuta non costituisce prova presuntiva e che non è stato compiuto alcun controllo incrociato con altri dati e con la contabilità ufficiale, oltre che inammissibili ove considerati nell’ambito del presente vizio di motivazione, sono meramente ripetitivi di profili di censura già esaminati con gli altri motivi di ricorso.

Con il quinto motivo si censura la sentenza ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5), per “omesso esame circa un fatto decisivo per il giudizio che è stato oggetto di discussione presupposti: insussistenza dei presupposti di fatto per operare un accertamento ai sensi del D.P.R. n. 600 del 1973, art. 39, commi 1 e 2”, per avere assunto come dato “irrefutabile” il fatto che la documentazione rinvenuta costituisca prova della esistenza di incassi in nero, senza avere verificato se i lavori erano stati effettivamente realizzati.

Il motivo è inammissibile.

Lo stesso, invero, censura la sentenza per vizio della motivazione senza alcuna indicazione e specificazione del fatto decisivo per il giudizio che, se preso in considerazione dal giudice, avrebbe condotto ad una diversa decisione.

Con il sesto motivo di ricorso si censura la sentenza ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3), per “violazione o falsa applicazione di norme di diritto: in merito al contestato utilizzo da parte dell’ufficio di presunzioni di presunzioni”, non risultando quell’insieme di indizi, cioè fatti concreti, dotati della gravità, precisione e concordanza, che possano risultare idonei a giustificare la costruzione delle presunzioni sulla cui base si fonda l’accertamento, posto che, invero, il giudizio è stato espresso tenendo conto di documenti relativi a cantieri (prima presunzione) e che si presume (seconda presunzione) essere stati pagati “in nero”. Il motivo è infondato.

Va infatti ribadito quanto già affermato in sede di esame del terzo motivo di ricorso che, nell’ambito dell’accertamento delle imposte sui redditi, il D.P.R. 29 settembre 1973, n. 600, art. 39, comma 1, lett. c), consente di procedere alla rettifica del reddito anche quando l’incompletezza della dichiarazione risulta da elementi presuntivi desumibili anche da documentazione extracontabile ed in particolare da “contabilità in nero”, costituita da appunti personali ed informazioni dell’imprenditore, dovendo ricomprendersi tra le scritture contabili disciplinate dagli artt. 2709 e ss. c.c., tutti i documenti che registrino, in termini quantitativi o monetari, i singoli atti d’impresa, ovvero rappresentino la situazione patrimoniale dell’imprenditore ed il risultato economico dell’attività svolta e che, rispetto a tali elementi presuntivi, spetta, poi, al contribuente l’onere di fornire adeguata prova contraria.

Il fatto noto, da cui fare derivare il procedimento logico inferenziale, è quindi costituito dalla presenza della documentazione extracontabile rinvenuta presso il contribuente nella quale, come accertato dal giudice del gravame, erano stati annotati i lavori extra ed i compensi ricevuti.

Il giudice del gravame ha valutato la rilevanza, ai fini presuntivi, della suddetta documentazione, e, a tal proposito, ha considerato non solo “l’estrema precisione dell’annotazione contabile indicata al centesimo di Euro”, ma anche il fatto che, dal confronto effettuato dai verificatori fra i dati riportati nel prospetto e la documentazione bancaria del contribuente, “è emerso che alla data indicata nel prospetto coincide quasi sempre un versamento di denaro in contanti”, in tal modo pronunciandosi positivamente sulla idoneità probatoria presuntiva della suddetta documentazione che legittima l’accertamento analitico-induttivo del maggior reddito non dichiarato.

Nè può prospettarsi un profilo di violazione delle regole di riparto dell’onere probatorio, posto che, una volta accertata la natura presuntiva degli elementi di prova forniti dall’amministrazione finanziaria, correttamente il giudice del gravame ha ritenuto assolto dalla stessa il suddetto onere, dovendo, invece, il contribuente, dare la prova contraria.

Con il settimo motivo di ricorso si censura la sentenza ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3), per “violazione del principio di tassazione del reddito netto e dell’art. 53 Cost.”, per non avere tenuto conto, a fronte della realizzazione del maggior reddito non dichiarato, anche dei maggiori costi sostenuti.

Il motivo è infondato.

La sentenza censurata ha specificamente esaminato la questione in esame ed ha precisato che la doglianza era infondata, in quanto nell’avviso di accertamento era espressamente precisato che i costi sostenuti, relativi al personale dipendente utilizzato per lavoro nero o irregolare, sarebbero stati considerati ai fini del calcolo del maggiore reddito di impresa conseguito dal contribuente.

D’altro lato, va osservato che, nel caso di specie, l’accertamento è del tipo analitico induttivo di cui al D.P.R. n. 600 del 1973, art. 39, comma 1, sicchè, secondo la giurisprudenza di questa Corte, è il contribuente ad avere l’onere di provare l’esistenza di costi deducibili, afferenti ai maggiori ricavi o compensi, senza che l’Ufficio possa, o debba, procedere al loro riconoscimento forfettario (Cass. civ., 29 settembre 2017, n. 22868).

Il contribuente, pertanto, aveva l’onere di provare l’esistenza di ulteriori costi, rispetto a quelli considerati dal giudice, al fine della corretta determinazione del maggior reddito non dichiarato.

Con l’ottavo motivo di ricorso si censura la sentenza ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3), “in merito ai rilievi effettuati ed al criterio di calcolo eseguito sull’unico rilievo analitico. Violazione dell’art. 39, D.P.R. n. 600 del 1973”, per non avere correttamente applicata la suddetta previsione in quanto la ricostruzione dei maggiori ricavi non dichiarati è stata compiuta sulla base dell’erronea ricostruzione induttiva fondata sulle retribuzioni non contabilizzate asseritamente effettuate nei confronti di propri dipendenti: la documentazione reperita consisteva in semplici fogli di appunti utilizzati solo a fini di pianificazione/previsione di successivi lavori; l’indicazione extra riportata nel documento reperito era solo un intervento da porsi fuori del contratto di appalto; per l’anno 2005, sussisteva una duplicazione di alcune voci identiche e alcuni incassi erano stati regolarmente fatturati; per l’anno 2006, vi era una duplicazione del medesimo importo, ritenuto corrispondente a ricavi extra, già considerato per il precedente anno; non era stato compiuto alcun accertamento concreto dell’effettività dei lavori ritenuti fonte del maggior reddito non dichiarato ovvero dei conti correnti.

Con il nono motivo si censura la sentenza ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5), “in merito all’omesso esame di un fatto decisivo per il giudizio”, in quanto la ricostruzione dei maggiori ricavi non dichiarati è stata compiuta sulla base dell’erronea ricostruzione induttiva fondata sulle retribuzioni non contabilizzate asseritamente effettuate nei confronti di propri dipendenti: la documentazione reperita consisteva in semplici fogli di appunti utilizzati solo a fini di pianificazione/previsione di successivi lavori; l’indicazione extra riportata nel documento reperito era solo un intervento da porsi fuori del contratto di appalto; per l’anno 2005, sussisteva una duplicazione di alcune voci identiche e alcuni incassi erano stati regolarmente fatturati; per l’anno 2006, vi era una duplicazione del medesimo importo, ritenuto corrispondente a ricavi extra, già considerato per il precedente anno; non era stato compiuto alcun accertamento concreto dell’effettività dei lavori ritenuti fonte del maggior reddito non dichiarato ovvero dei conti correnti.

I motivi, che possono essere esaminati unitariamente, in quanto attengono alla non correttezza dell’accertamento analitico-induttivo sotto il profilo sia della violazione di legge che di vizio di motivazione, sono inammissibili.

Gli stessi, invero, risultano riproporre questioni già prospettate con i precedenti motivi di ricorso e in ordine ai quali si è avuto modo di valutare la rispettiva infondatezza ed inammissibilità.

Si è già, invero, avuto modo di precisare quale sia la valenza probatoria presuntiva della documentazione extracontabile rinvenuta presso il contribuente ed accertata dal giudice del gravame, nonchè la valutazione che di essa ha fatto il giudice del gravame al fine del procedimento logico inferenziale diretto all’accertamento di maggiori ricavi non dichiarati, la valutazione compiuta dal giudice del gravame in ordine alla non attendibilità della linea difensiva del contribuente, secondo cui i documenti sarebbero meri prospetti contabili di lavori non eseguiti, l’inammissibilità della questione relativa alla duplicazione di voci identiche, la ripartizione dell’onere di prova gravante sulle parti.

Con il decimo motivo di ricorso si censura la sentenza ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3), per “violazione di legge: violazione del D.P.R. n. 600 del 1973, art. 23, in merito alla illegittima e non corretta pretesa a titolo di ritenute”, per avere ritenuta legittima la ripresa relativa alle ritenute non versate per il personale assunto “in nero”, atteso che non risultava indicato nell’avviso di accertamento il numero e le generalità dei lavoratori per i quali era richiesto il versamento delle ritenute fiscali nè la quantità e qualità delle prestazioni rese in favore del contribuente. Il motivo è in parte infondato e in parte inammissibile.

Con riferimento alla questione della esatta individuazione dei lavoratori per i quali era stato omesso il versamento delle ritenute, il giudice del gravame ha accertato che “a pag. 4 e segg. dell’avviso di accertamento emesso dall’ufficio sono indicati in n. 4 i lavoratori in nero di cui risulta omessa la contabilizzazione nei libri sociali obbligatori. Di tali dipendenti vengono indicate le generalità ed, inoltre, viene precisato che tale M.A. è stato successivamente regolarmente assunto”.

Con tale accertamento in fatto non si misura il ricorrente con il presente motivo di ricorso, riproponendo la questione della non individuazione dei lavoratori in nero specificamente affrontata e decimai dal giudice del gravame.

La ulteriore questione qui prospettata, relativa alla mancata indicazione della qualità e quantità delle prestazioni svolte, risulta inammissibile, non avendo parte ricorrente nè riprodotto sul punto l’avviso di accertamento nè assolto all’onere di autosufficienza del motivo di ricorso, non avendo allegato o riprodotto gli atti difensivi da cui evincere che tale specifica questione (relativa alla esatta indicazione della qualità e quantità prestazione svolta), distinta e diversa, da quella esaminata dal giudice del gravame (concernente la sola individuazione del lavoratore) era stata prospettata e oggetto del contendere.

In conclusione, sono inammissibili il primo, secondo, quarto, quinto, ottavo e nono motivo di ricorso, è in parte infondato e in parte inammissibile il decimo, sono infondati i restanti motivi, con conseguente rigetto del ricorso e condanna del ricorrente al pagamento delle spese di lite del presente giudizio.

Si dà atto, ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte della ricorrente, di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato, pari a quello previsto per il ricorso, a norma dello stesso art. 13, comma 1 bis, se dovuto.

PQM

La Corte:

rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese di lite che si liquidano in complessive Euro 10.000,00, oltre spese prenotate a debito.

Dà atto, ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte della ricorrente, di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato, pari a quello previsto per il ricorso, a norma dello stesso art. 13, comma 1 bis, se dovuto.

Così deciso in Roma, il 15 ottobre 2020.

Depositato in Cancelleria il 17 marzo 2021

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