Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 7531 del 01/04/2014


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Civile Sent. Sez. 3 Num. 7531 Anno 2014
Presidente: RUSSO LIBERTINO ALBERTO
Relatore: CARLEO GIOVANNI

SENTENZA

sul ricorso 27707-2010 proposto da:
ASSICURAZIONI GENERALI SPA 00079760328 in persona dei
legali rappresentanti Avv. GIULIANO TESSIER e Dr.
MAURIZIO GOTTARDI, NAVALE ASSICURAZIONI SPA
00296790389 in persona del Direttore Generale e
legale rappresentante Dr. CARLO PARESCHI,
elettivamente domiciliate in ROMA, VIA CICERONE 49,
presso lo studio dell’avvocato SVEVA BERNARDINI,
rappresentate e difese dall’avvocato RESCA MARCO
giusta procura a margine;
– ricorrente –

1

Data pubblicazione: 01/04/2014

contro

FALLIMENTO

AUTOTRASPORTI

PICCIN

FLLI

SPA

TRLFBA66T26D969N in persona del curatore fallimentare
Dott. LORENZO BOER, elettivamente domiciliata in
ROMA, VIA um_ip 85 ? prnnnu 1u h
di tesa

avvocati TORIELLO FABIO, TORIELLO ALDO giusta mandato
in calce;
controricorrente nonchè contro

RAS SPA , LLOYD ADRIATICO SPA , FARO COMPAGNIA
ASSICURAZIONI RIASSICURAZIONI SPA, TORO ASSICURAZIONI
SPA ;
– intimati –

avverso la sentenza n. 1011/2010 della CORTE
D’APPELLO di MILANO, depositata il 02/04/2010, R.G.N.
8641/2007;
udita la relazione della causa svolta nella pubblica
udienza del 04/02/2014 dal Consigliere Dott. GIOVANNI
CARLEO;
mr.flto l’AvvouAtn SVEVA DERNARDINI per delcquí

udito i’Avvocato AURELIO RICHICH1 par cileqa;
udito il P.M.

in

persona del Sostituto Procuratore

Generale Dott. CARMELO SGROI che ha concluso per il
rigetto del ricorso;

2

rappresontatà 9

RICHICHI AURELIO,

SVOLGIMENTO DEL PROCESSO

Con citazione notificata in data 10.1.2005 il Fallimento F.11i
Piccin Autotrasporti S.p.a. conveniva in giudizio le
Assicurazioni Generali Spa, la Navale Assicurazioni Spa, la
Faro Spa, la Toro Assicurazioni Spa e la R.a.S. Spa per

relazione ad una polizza assicurativa con le stesse stipulata
e per ottenerne la condanna in solido al pagamento
dell’indennizzo di e 1.215.578,19 per i danni derivanti da un
incendio occorso nel 1999 ad un suo capannone. In esito al
giudizio, in cui si costituivano le Generali, la Navale, la
Ras e la Faro eccependo in primo luogo la prescrizione del
diritto e quindi l’improcedibilità della domanda, il Tribunale
adito accoglieva l’eccezione di improponibilità dell’azione.
Avverso tale decisione il Fallimento proponeva appello ed in
esito al giudizio, in cui si costituivano le Generali, la
Corte di Appello di Milano con sentenza depositata in data 2
aprile 2010 rigettava l’eccezione di improponibilità
dell’azione e rimetteva la causa in istruttoria come da
separata ordinanza. Avverso la detta sentenza le Assicurazioni
Generali e la Navale assicurazioni hanno quindi proposto
ricorso per cassazione articolato in un unico motivo. Resiste
con controricorso il Fallimento.
MOTIVI DELLA DECISIONE

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sentirne dichiarare la responsabilità contrattuale in

Con l’unica doglianza, deducendo l’omessa, insufficiente o
comunque contraddittoria motivazione, parte ricorrente ha
censurato la sentenza impugnata nella parte in cui la Corte di
Appello ha ritenuto che le clausole nn 18 e 19 delle
Condizioni Generali di Assicurazione costituissero un sistema

lo scopo per cui sono dettate e cioè la quantificazione e la
determinazione del danno, lasciando ad altre sedi la soluzione
di tutti gli eventuali problemi giuridici inerenti il danno
stesso. Ciò posto, avendo le parti, in conformità alle
condizioni generali, devoluto in via esclusiva alla procedura
peritale la determinazione del danno rinunciando ad adire
l’autorità giudiziaria ordinaria, la Corte ha errato nel
ritenere proponibile la domanda giudiziale avanzata dal
Fallimento.
La censura non coglie nel segno.
A riguardo, torna utile premettere che la motivazione della
sentenza, sul punto che interessa il tema della doglianza, si
fonda essenzialmente sulla considerazione che le clausole 18 e
19 delle Condizioni Generali di Assicurazione, richiamate dal
primo giudice, si limitano a disciplinare solo l’iter
fisiologico della procedura peritale, vale a dire la
costituzione del collegio e il disaccordo tra i periti, ma non
anche l’ipotesi – verificatasi nella fattispecie – di mancato

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chiuso. Al contrario, tali clausole consentono di raggiungere

funzionamento del collegio peritale. Ciò determinerebbe – così
continuano i giudici di secondo grado – una situazione di
stallo, non superabile se non attraverso il ricorso
all’autorità giudiziaria ex art.1349 cc.
Ora, a parte l’erroneità del riferimento all’art.1349 sopra

di perizia contrattuale come quella che interessa la presente
vicenda, in quanto presuppone l’esercizio di una valutazione
discrezionale e di un apprezzamento secondo criteri di equità
mercantile, inconciliabili con l’attività strettamente tecnica
dell’arbitro-perito – le ragioni della decisione appaiono
chiare e meritano di essere condivise ove si soffermi
l’attenzione sul contenuto della nota 2 in calce alla sentenza
(pag.3), in cui si chiarisce che la situazione di stallo era
stata determinatch dal fatto che, mentre il perito del
Fallimento, ing. Sacchi, insisteva nella richiesta di
determinazione dell’indennizzo, gli altri due periti, quello
delle Assicurazioni ed il terzo, affermavano invece
l’impossibilità di espletare l’incarico di accertamento del
danno in quanto erano stati rimossi i detriti e non erano
state conservate le tracce del sinistro.
Da tale circostanza, dal fatto cioè che, ad avviso della
maggioranza dei periti (due su tre) la perizia contrattuale,
finalizzata alla determinazione del quantum risarcibile, non

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citato – norma applicabile in tema di arbitraggio e non già

potesse essere portata a compimento ed avesse quindi esaurito
ogni ragione di utile continuazione, la Corte di merito è
pervenuta alla conclusione che dovesse ritenersi legittimo il
ricorso all’autorità giudiziaria. E ciò, al fine di consentire
la necessaria tutela, cui aveva diritto il danneggiato.

Ed invero, se è indubbio che, nella clausola di un contratto
di assicurazione, che preveda una perizia contrattuale (con il
deferimento, ad un collegio di esperti, degli accertamenti da
espletare in base a regole tecniche) è insita la temporanea
rinunzia alla tutela giurisdizionale dei diritti nascenti dal
rapporto contrattuale, nel senso che, prima e durante il corso
della procedura contrattualmente prevista, le parti stesse non
possono proporre davanti al giudice le azioni derivanti dal
suddetto rapporto, è altrettanto vero che l’obbligo della
rinunzia alla tutela giurisdizionale non può non ritenersi
cessato quando l’espletamento della perizia non sia più
oggettivamente possibile per essere venuto meno, e
definitivamente,

l’oggetto,

indispensabile,

ai

fini

dell’accertamento peritale da espletare.
Ed è appena il caso di osservare come tale ipotesi non rientri
affatto nelle previsioni dell’art.18 e dell’art.19 delle
Condizioni Generali di Assicurazione, richiamate dalle parti
ricorrenti, norme le quali si limitano a disciplinare casi

6

La soluzione adottata non merita censura.

assolutamente diversi, di disfunzione temporanea dell’attività
arbitrale, come possono verificarsi nell’ipotesi della
mancata nomina di un proprio perito a cura di una delle
parti:situazione risolvibile con la nomina di tale perito da
parte del Presidente del Tribunale; nell’ipotesi di

situazione risolvibile con la nomina di un terzo perito;
nell’ipotesi di rifiuto della sottoscrizione da parte di uno
dei periti: situazione risolvibile con l’attestazione di tale
rifiuto da parte degli altri due periti nel verbale definitivo
di perizia.
In

definitiva,

alla

stregua

di

tutte

le

pregresse

considerazioni, deve ritenersi che il percorso argomentativo
della Corte territoriale non merita censure. Ed invero,
giudici di secondo grado sono pervenuti alla conclusione
attraverso un iter assolutamente corretto e lineare rispetto
al quale il preteso vizio di motivazione della sentenza, sia
sotto

il

profilo

della

contraddittorietà

che

della

insufficienza, non può dirsi sussistente, apparendo la
motivazione della Corte sufficientemente esaustiva, sia pure
nella sua notevole sobrietà, e non ravvisandosi

nel

ragionamento svolto alcun contrasto, tanto meno insanabile,
tra le argomentazioni complessivamente adottate, tale da non

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disaccordo tra i primi due periti su un punto controverso:

consentire l’identificazione del procedimento logico-giuridico
posto a base della decisione.
Ne deriva l’infondatezza della ragione di censura in esame. Ne
consegue che il ricorso per cassazione in esame, siccome
infondato, deve essere rigettato. Al rigetto del ricorso segue

questo giudizio di legittimità, liquidate come in dispositivo,
alla stregua dei soli parametri di cui al D.M. n.140/2012
sopravvenuto a disciplinare i compensi professionali.
P.Q.M.

La Corte rigetta il ricorso. Condanna le ricorrenti in solido
al pagamento delle spese del giudizio di legittimità che
liquida in complessivi

20.200,00

di cui C 20.000,00 per

compensi, oltre accessori di legge, ed C 200,00 per esborsi.
Così deciso in Roma in c mera di Consiglio in data 4.2.2014

la condanna del ricorrente alla rifusione delle spese di

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