Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 753 del 15/01/2018

Cassazione civile, sez. lav., 15/01/2018, (ud. 16/11/2017, dep.15/01/2018),  n. 753

Fatto

FATTI DI CAUSA

1. Con sentenza del 24.9.2011 la Corte di appello di Roma respingeva l’appello proposto da A.G. avverso la sentenza del Tribunale di Roma che aveva rigettato la domanda del detto A. di declaratoria di nullità dell’apposizione del termine apposto ai contratti stipulati con le Poste italiane il primo (dal 4.4.2007 al 29.9.2007) D.Lgs. n. 368 del 2001, ex art. 2, comma bis, per l’espletamento di mansioni di sportelleria ed il secondo D.Lgs. n. 368 del 2001, ex art. 1, per sopperire alla temporanea carenza di personale di sportelleria rientrante in un più ampio programma di implementazione del detto servizio di cui al Piano di mobilità aziendale di Ottobre 2007, con conversione del rapporto in un contratto a tempo indeterminato.

2. A fondamento della propria decisione la Corte territoriale ha osservato che riguardo la compatibilità comunitaria dell’art. 2, comma 1 bis, introdotto dalla L. n. 266 del 2005, non sussisteva alcuna violazione della Direttiva sui contratti a termine tenuto conto anche del carattere strettamente settoriale della disposizione e della fissazione in via direttamente legislativa di una percentuale non superabile di assunzioni. Il legislatore aveva a monte valutato le esigenze del settore come nel caso del trasporto aereo ed i servizi aeroportuali. Le disposizioni legislative stabilivano anche misure antiabusive e le Poste avevano allegato e provato documentalmente di non aver superato il limite del 15% dell’organico aziendale. Il raffronto era stato operato con riferimento a criteri omogenei apparendo inammissibile l’utilizzazione di parametri differenti; inoltre non era stata offerta da parte del lavoratore alcuna prova di aver effettuato mansioni di sportelleria che riguardavano anche i settori finanziari e non per mansioni di sportelleria riguardanti il servizio postale in senso stretto (il tema di indagine era peraltro tardivo). Il secondo contratto sempre per mansioni di sportelleria era risultato effettivo in quanto la clausola non era generica e le esigenze erano state riscontrate in giudizio.

3. Per la cassazione di tale decisione propone ricorso l’ A. articolando 4 motivi corredati da memoria.

4. Resistono con controricorso le Poste con controricorso corredato da memoria.

Diritto

RAGIONI DELLA DECISIONE

Va premesso che i motivi proposti riguardano il solo primo contratto stipulato D.Lgs. n. 368 del 2001, ex art. 2, comma 1 bis.

Con il primo motivo si allega la violazione e/o falsa applicazione del D.Lgs. n. 368 del 2011, art. 1, art. 2, comma 1 bis, in relazione all’art. 2697 c.c., ed alla luce della sentenza della Corte costituzionale n. 241/2009. Omessa e/o insufficiente e/o contraddittoria motivazione circa un fatto controverso e decisivo per il giudizio. Le condizioni legittimanti del contratto dovevano essere dimostrate dal datore di lavoro.

Il motivo appare infondato in quanto la Corte di appello ha anche osservato che la questione dell’adibizione ai servizi finanziari era stata introdotta tardivamente e su questo punto il motivo non allega nulla in senso contrario (se non nel secondo motivo alla cui trattazione si rinvia).

Con il secondo motivo si allega la violazione e /o degli artt. 112,414 e 115 c.p.c., nonchè l’omessa e/o insufficiente motivazione e/o contraddittoria motivazione circa un fatto decisivo per il giudizio. Nel ricorso si era dedotto che il lavoratore aveva lavorato all’U.P. di (OMISSIS) e tale circostanza era stata confermata da un teste che aveva riferito che il ricorrente aveva svolto tutte le mansioni di sportelleria ivi compresi quelle di carattere finanziario.

Il motivo appare infondato posto che dalle stesse allegazioni di cui al motivo non emerge che la questione dell’adibizione ai servizi finanziari (che questa Corte di legittimità ritiene comunque sia irrilevante dal punte di vista della legittimità del contratto stipulato D.Lgs. n. 368 del 2001, ex art. 2, comma 1 bis, perchè la normativa ad hoc è definita a favore delle imprese che operano in un certo settore e non già per specifiche mansioni in concreto esercitate; sul punto si rinvia alla trattazione dell’ultimo motivo) sia stata idoneamente sollevata in primo grado ove si richiama del tutto genericamente solo un periodo di lavoro come addetto al servizio di sportelleria (peraltro da quanto avrebbe riferito il teste citato nel motivo il ricorrente avrebbe svolto tutte le attività di sportelleria, sicchè non emerge neppure che quelle relative ai servizi finanziari siano state prevalenti sulle altre).

Con il terzo motivo si allega la violazione e/o falsa applicazione del D.Lgs. n. 368 del 2001, art. 2, comma 1 bis, in relazione al D.Lgs. n. 61 del 2000, art. 6, comma 1, nonchè l’omessa, insufficiente e/o contraddittoria motivazione circa un fatto controverso e decisivo per il giudizio. Era sbagliato il criterio di calcolo dell’organico aziendale che andava effettuato alla luce del D.Lgs. n. 61 del 2000, art. 6, comma 1, che stabilisce che i lavoratori a tempo parziale sono computati nel complesso del numero dei lavoratori dipendenti in proporzione all’orario svolto, rapportato al tempo pieno: il detto provvedimento normativo lo indica come criterio necessario per l’accertamento in via generale della consistenza dell’organico aziendale. Non essendo stato utilizzato il criterio del cosidetto full time equivalent, stabilito dalla norma prima citata, le Poste non avevano in realtà dimostrato il rispetto della norma di contingentamento.

Il motivo è infondato. Secondo la parte ricorrente per determinare l’organico aziendale si sarebbe dovuto applicare il criterio del cosiddetto full time equivalent voluto dal legislatore ogni volta che si debba determinare l’organico aziendale, e quindi riparametrare i lavoratori a tempo parziale secondo tale criterio rapportandoli a lavoratori full time. Per stabilire, quindi, se la percentuale del 15% sia stata rispettata si dovrebbe operare con due principi diversi, una prima volta seguendo il D.Lgs. n. 61 del 2000, art. 6, comma 1, ai fini di stabilire l’organico in ossequio al criterio del full time equivalent ed una seconda invece per le assunzioni a termine con un mero criterio per “teste” e cioè per numero di assunzioni. Ritiene il Collegio che tale ricostruzione non possa essere accolta tenuto conto di elementi di natura sistematica e ricostruttiva e della finalità della norma antiabusiva che ha stabilito il limite percentuale del 15%. Il D.Lgs. n. 61 del 2000, art. 6, attuativa della Direttiva 97/81/CEE, stabilisce che “in tutte le ipotesi in cui, per disposizione di legge o di contratto collettivo, si renda necessario l’accertamento della consistenza dell’organico, i lavoratori a tempo parziale sono computati nel numero complessivo dei dipendenti in proporzione all’orario svolto, rapportato al tempo pieno così come definito ai sensi dell’articolo 1, con arrotondamento all’unità della frazione di orario superiore alla metà di quello pieno”. Tale disposizione di natura generale, resa necessaria dalla ricezione delle norme sovranazionali in materia di contratti part-time, certamente riguarda finalità molto ampie nelle quali rileva la determinazione dell’organico ma non può applicarsi anche in situazioni che hanno una specifica ratio ed un contesto particolare. Va infatti ricordato che l’ordinamento sovranazionale di per sè non vuole limitare la diffusione dei contratti part-time che, anzi, costituiscono un esempio di best practise (migliore pratica) nel contemperare le esigenze di flessibilità (a favore del lavoratore che ne fa richiesta) con quelle di sicurezza individuale secondo il principio di politica sociale della cosidetta flexicurity (consacrata nei ” principi comuni di flexicurity approvati all’unanimità nel Consiglio del 6.12.2007) – come risulta anche dalla costante valutazione comparativa interistituzionale delle politiche nazionali operata a livello Europeo attraverso il Metodo aperto di coordinamento – posto che i contratti di part-time mantengono un legame duraturo nel tempo tra le parti e consentono, quindi, anche quei processi di valorizzazione del capitale umano (attraverso la formazione permanente e continua ed altri istituti) che, viceversa, appaiono problematici per rapporti atipici non continuativi. La ratio dell’art. 6 è quella di voler consentire con maggiore facilità e certezza di calcolare l’organico quando tale calcolo sia il presupposto per altri istituti in modo da risolvere a monte questioni applicative che sarebbero potute nascere con la ricezione della Direttiva 97/81/CEE e la prevedibile espansione del lavoro a tempo parziale. Tale discorso non può di certo essere replicato per il lavoro a termine la cui limitazione è un obiettivo prioritario della Direttiva n. 1999/70/CE che la persegue attraverso clausole ad hoc. Vanno ricordati a tal proposito il considerando n. 14 “creare un quadro per la prevenzione degli abusi derivanti dall’utilizzo di una successione di contratti o di rapporti di lavoro a tempo determinato” ed il citatissimo considerando n. 6 dell’Accordo quadro tra le parti sociali che è il substrato della Direttiva alla luce del titolo sulle, politica sociale del Trattato (ora TFUE) che precisa che “i contratti di lavoro a tempo indeterminato rappresentano la forma comune dei rapporti di lavoro”. Pertanto a questo diverso contesto ed alle disposizioni antiabusive che rappresentano il cuore della normativa nazionale quale riflesso di quanto stabilito a livello sovranazionale (integrato dalle numerosissime sentenze della Corte di giustizia che hanno valorizzato la clausola antiabusiva sulla base dello scopo della Direttiva e del suo effetto utile), va riportata la disposizione qui in esame e cioè “le disposizioni di cui al comma 1, si applicano anche quando l’assunzione sia effettuata da imprese concessionarie di servizi nei settori delle Poste….nella percentuale non superiore al 15 per cento dell’organico aziendale, riferito al 10 gennaio dell’anno cui le assunzioni si riferiscono”. Ora appare evidente la correlazione strettissima tra la facoltà concessa alle imprese concessionarie di servizi nei settori delle Poste di utilizzare con più facilità lo strumento flessibile del lavoro a termine e la necessità di stabilire limiti assoluti di natura quantitativa per tale utilizzo stabilendo una percentuale massima per i contratti, che ha necessariamente una connotazione quantitativa come reso palese dall’espressione finale “assunzioni”. La norma in piena evidenza recupera l’esperienza pregressa (antecedente la ricezione della Direttiva) in cui tale percentuale era fissata via contrattazione collettiva (assai significativa proprio nel settore postale) stabilendo però direttamente ope legis il limite invaricabile. La stretta correlazione tra finalità antiabusiva e fissazione del limite percentuale (anche in relazione agli scopi della Direttiva), l’uso del termine assunzioni” che richiama un parametro quantitativo, il fatto che diversamente opinando si dovrebbero confrontare illogicamente ed irrazionalmente tra di loro parametri non omogenei, il che è già stato escluso da questa Corte (cfr. Cass. n. 3031/2014) in relazione alla verifica del rispetto della clausole di contingentamento fissate dalla contrattazione collettiva, porta a concludere nel senso che non possa operare la norma generale di cui all’art. 6, già citato, che vale per diversi fini a carattere generale. In sostanza il legislatore ha tenuto conto di un mero criterio quantitativo, chiaramente “per teste” e quindi coerentemente introdotto (per consentire un confronto tra dati omogenei ed impedire abusi nello specifico settore) una norma specifica che rimane immune dalla normativa generale sulla determinazione dell’organico aziendale, a meno di non arrivare a soluzioni irragionevoli ed illogiche, come quella del doppio criterio di computo. La sentenza impugnata, pur non molto chiara sul punto, ha stabilito la necessità di procedere ad un confronto tra dati omogenei per cui se si usa il criterio del full time equivalent si dovrebbe usare lo stesso criterio per i contratti a termine e viceversa: l’accertamento fattuale compiuto quindi è corretto in quanto esclude che si sia superato il limite percentuale (o che le Poste non abbiano provato il mancato superamento), tenuto conto di quanto si è sin qui detto per cui la norma di cui all’art. 6, ai fini in parola non si applica alla norma del 2005 antiabusiva (mentre correttamente le Poste nei bilanci della società hanno tenuto in considerazione i criteri generali per la determinazione dell’organico non essendo pertinente in tale calcolo il raffronto tra personale a tempo indeterminato e personale assunto a termine).

Con il quarto motivo si allega la violazione e/o falsa applicazione del D.Lgs. n. 368 del 2001, art. 2, comma 1 bis, alla luce della sentenza della Corte costituzionale n. 214/2009, nonchè l’omessa motivazione circa un fatto controverso e decisivo per il giudizio. La percentuale del 1 5 % si deve riferire esclusivamente ai soggetti impiegati nei servizi postali non a tutti i dipendenti che svolgono attività connesse ai servizi finanziari o altri servizi eccedenti la dimensione postale in senso stretto.

Il motivo è infondato, in quanto, in tema di rispetto del D.Lgs. n. 368 del 2001, art. 2, comma 1 bis, secondo cui “le disposizioni di cui al comma 1 si applicano anche quando l’assunzione sia effettuata da imprese concessionarie di servizi nei settori delle poste… nella percentuale non superiore al 15% dell’organico aziendale, riferito al 1° gennaio dell’anno cui le assunzioni si riferiscono”, questa Corte ha già sancito: la percentuale del 15% è riferita all’intero organico aziendale; la norma fa esclusivo riferimento alla tipologia dell’impresa presso cui avviene l’assunzione e nulla dispone in relazione alla tipologia delle mansioni esercitate dai dipendenti ai fini della possibilità di assunzione a termine ed una tale limitazione è estranea anche alle motivazioni adottate dalla Corte costituzionale nella sentenza n. 214/2009; nessuna limitazione per ambito aziendale è prevista, non potendo essa trarsi dall’obbligo di comunicazione alle organizzazioni sindacali provinciali (v. Cass. n. 13609 del 2015; Cass. n. 1029 del 2016; Cass. n. 2324 del 2016; Cass., n. 16431 del 2017).

Va quindi rigettato il ricorso. Le spese di lite – liquidate come al dispositivo – seguono la soccombenza.

PQM

Rigetta il ricorso. Condanna parte ricorrente al pagamento delle spese del giudizio di legittimità che si liquidano in Euro 3.500,00 per compensi, oltre Euro 200,00 per esborsi oltre spese generali al 15% ed accessori come per legge.

Così deciso in Roma, il 16 novembre 2017.

Depositato in Cancelleria il 15 gennaio 2018

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