Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 753 del 14/01/2013


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Civile Sent. Sez. 6 Num. 753 Anno 2013
Presidente: SALME’ GIUSEPPE
Relatore: SCALDAFERRI ANDREA

SENTENZA
sul ricorso 27841-2011 proposto da:
PAITHEY ARLETTE MONIQUE PTTRTT36S48Z133N (in
Cortini), elettivamente domiciliata in ROMA, VIA _AMITERNO 2,
presso lo studio dell’avvocato CENTO MARIA, rappresentata e difesa
dall’avvocato MASSA GIUNIO, giusta procura speciale in calce al
ricorso;

– ricorrente –

Contro
MINISTERO DELLA GIUSTIZIA in persona del Ministro pro
tempore, elettivamente domiciliato in ROMA, VIA DEI

Data pubblicazione: 14/01/2013

PORTOGHESI 12, presso l’AVVOCATURA GENERALE DELLO
STATO, che lo rappresenta e difende, ope legis;
– controficorrente

avverso il decreto nel procedimento R.G. 1200/2010 della CORTE

udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del
18/10/2012

dal

Consigliere

Relatore

Dott.

ANDREA

SCALDAFERRI;
udito per la ricorrente l’Avvocato Aldo Niccolini (per delega avv.
Giulio Massa) che si riporta agli scritti.
E’ presente il Procuratore Generale in persona del Dott. LUCI()
CAPASSO che ha concluso per raccoglimento del 1° motivo del
ricorso, assorbito il resto.

In fatto e in diritto
Rilevato che Monique Arlette Patthey ricorre per cassazione nei

confronti del decreto della Corte d’appello di Genova, in epigrafe
indicato, che, liquidando euro 6.000,00 per anni sei di ritardo, ha
accolto parzialmente la domanda di riconoscimento dell’equa
riparazione per violazione dei termini di ragionevole durata del
procedimento relativo al fallimento della Capital Italia s.r.l. svoltosi
avanti al Tribunale di Lucca e nell’ambito del quale erano decorsi circa
diciotto anni dalla data della presentazione della domanda di
ammissione al passivo;
che il Ministero della giustizia resiste con controricorso;
che in prossimità dell’udienza la parte ricorrente ha depositato
memoria illustrativa.

Ric. 2011 n. 27841 sez. M1 ud. 18-10-2012
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D’APPELLO di GENOVA del 18.3.2011, depositato il 30/03/2011;

Considerato che il Collegio ha deliberato l’adozione di una motivazione
semplificata;
Ritenuto che con i primi sei motivi si censura il decreto impugnato,
sotto il profilo della violazione di legge e del difetto di motivazione,
nella parte in cui ha ritenuto ragionevole una durata della procedura de

che la censura è fondata, nei limiti di seguito precisati;
che, in tema di ragionevole durata del procedimento fallimentare e
tenendo conto della sua peculiarità, il termine è stato ritenuto elevabile
fino a sette anni allorquando il procedimento si presenti
particolarmente complesso: ipotesi, questa, che è ravvisabile in
presenza di un numero particolarmente elevato dei creditori, di una
particolare natura o situazione giuridica dei beni da liquidare, di
proliferazione di giudizi connessi nella procedura ma autonomi (e
quindi a loro volta di durata vincolata alla complessità del caso), di
pluralità di procedure concorsuali indipendenti;
che, sebbene la procedura in questione —come già riconosciuto da
questa Corte in fattispecie identica (Sez. I, 14 novembre 2011, n.
23831)— si presenti senz’altro di particolare complessità, non è
conforme al richiamato principio il decreto impugnato che ha ritenuto
di poter individuare un termine di durata ragionevole superiore ai setti
anni;
che raccoglimento degli esaminati motivi e la necessità di
rideterminare, insieme al periodo di irragionevole durata, l’ammontare
dell’indennizzo e di regolare le spese, comporta l’assorbimento degli
ulteriori motivi;
che il ricorso va dunque accolto nei limiti di cui in motivazione;
che non essendo necessari ulteriori accertamenti di fatto, la causa può
essere decisa nel merito;
Ric. 2011 n. 27841 sez. M1 – ud. 18-10-2012
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qua di dodici anni;

che va fatta applicazione della giurisprudenza di questa Corte (Sez. I, n.
21840/09; n.22869/09; n.1893/2010; 19054/2010), a mente della
quale l’importo dell’indennizzo può essere di euro 750 per anno per i
primi tre anni di durata eccedente quella ritenuta ragionevole, in
considerazione del limitato paterna d’animo che consegue all’iniziale

richiamato il parametro di curo 1.000 per ciascun anno di ritardo;
che, pertanto, il Ministero della giustizia deve essere condannato al
pagamento in favore del ricorrente di curo 10.250,00 a titolo di equo
indennizzo per il periodo di undici anni di irragionevole durata, quale
risulta sottraendo dalla durata complessiva di anni diciotto quella, da
ritenersi ragionevole, di anni sette;
che su tale somma sono dovuti gli interessi legali dalla data della
domanda, in conformità ai parametri ormai consolidati ai quali questa
Corte si attiene nell’operare siffatte liquidazioni;
che le spese di entrambi i gradi seguono la soccombenza e si liquidano
come in dispositivo, tenuto conto, per il giudizio di legittimità, di
quanto stabilito dal D.M. 20 luglio 2012 in attuazione dell’art.9 comma
2 D.L. n.1/2012 conv. in Legge n.271/2012 (cfr.S.U.n.17406/12), in
particolare dei parametri indicati dalla Tabella A- Avvocati per lo
scaglione di riferimento, dei criteri di valutazione previsti dall’art.4 e
della riduzione prevista dall’art.9 del Decreto citato.
P.Q.M.
La Corte accoglie il ricorso, cassa il decreto impugnato e, decidendo
nel merito, condanna il Ministero della Giustizia al pagamento in
favore della ricorrente della somma di C 10.250,00 oltre interessi legali
su detta somma dalla domanda; condanna inoltre il Ministero al
rimborso in favore della ricorrente delle spese del giudizio di merito, in
complessivi C 1.140 -di cui euro 490 per onorari ed curo 600 per dirittiRic. 2011 n. 27841 sez. M1 – ud. 18-10-2012
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modesto sforamento, mentre solo per l’ulteriore periodo deve essere

oltre spese generali ed accessori di legge, e delle spese di questo
giudizio di legittimità, in E 506,25 per compenso e in C 100,00 per
esborsi, oltre accessori di legge.
Così deciso in Roma, nella camera di consiglio della sezione 6/1 della

Corte di Cassazione, il 18 ottobre 2012

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