Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 7526 del 17/03/2021

Cassazione civile sez. lav., 17/03/2021, (ud. 24/11/2020, dep. 17/03/2021), n.7526

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE LAVORO

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. TRIA Lucia – Presidente –

Dott. ARIENZO Rosa – Consigliere –

Dott. BLASUTTO Daniela – Consigliere –

Dott. PAGETTA Antonella – Consigliere –

Dott. CINQUE Guglielmo – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 917-2020 proposto da:

P.M., domiciliato in ROMA PIAZZA CAVOUR presso LA

CANCELLERIA DELLA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE, rappresentato e

difeso dall’avvocato MASSIMO GILARDONI;

– ricorrente –

contro

MINISTERO DELL’INTERNO, in persona del Ministro pro tempore,

rappresentato e difeso ex lege dall’AVVOCATURA GENERALE DELLO

STATO, presso i cui Uffici domicilia in ROMA, alla VIA DEI

PORTOGHESI n. 12;

– resistente con mandato –

avverso il decreto n. cronologico5561/2019 del TRIBUNALE di BRESCIA,

depositato il 19/11/2019 R.G.N. 11773/2018;

udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del

24/11/2020 dal Consigliere Dott. GUGLIELMO CINQUE.

 

Fatto

RILEVATO

CHE:

1. Il Tribunale di Brescia, con provvedimento depositato il 19.11.2019, ha rigettato il ricorso proposto da P.M., cittadino della (OMISSIS), avverso il diniego della competente Commissione territoriale in ordine alle richieste di riconoscimento dello status di rifugiato, della protezione sussidiaria D.Lgs. n. 251 del 2007, ex art. 14 e della protezione umanitaria.

2. Il richiedente, in sintesi, aveva dichiarato di avere lasciato il suo paese di origine a causa di alcuni contrasti con il padre che non era d’accordo sul fatto che egli accompagnasse di domenica la madre, affetta da disabilità motoria, in chiesa; aveva riferito che il padre, per tale motivo, gli aveva cosparso di benzina la tale moto e l’aveva incendiata oltre ad averlo picchiato, unitamente con il fratellastro, con una spranga di ferro e ad averlo cacciato di casa; aveva precisato di essersi recato prima in Mali, poi in Burkina Faso, in Niger ed infine in Algeria, dove aveva lavorato; aveva sottolineato di essere partito per la Libia, ove era stato arrestato e incarcerato per tre mesi e di essere scappato durante il periodo in cui doveva lavorare; ha precisato di essere riuscito a mettersi in contatto con la madre e, ottenuti i soldi da un zio materno, di essere partito per l’Italia ove era arrivato il 4.1.2017.

3. Avverso il suddetto provvedimento del Tribunale P.M. ha proposto ricorso per cassazione affidato a tre motivi.

4. Il Ministero dell’Interno si è costituito al solo fine dell’eventuale partecipazione all’udienza di discussione.

Diritto

CONSIDERATO

CHE:

1. I motivi possono essere così sintetizzati.

2. Con un primo preliminare motivo il ricorrente propone, sotto diversi profili, la questione di costituzionalità del nuovo rito in materia di protezione internazionale, così come riformato dalla L. n. 46 del 2017, art. 6, comma 1, lett. g) e già sollevata innanzi al Tribunale.

3. Con un secondo motivo si denuncia, in relazione all’art. 360 c.p.c., n. 3, la violazione e/o falsa applicazione del D.Lgs. n. 25 del 2008, art. 14, lett. c) in combinato disposto con il D.Lgs. n. 25 del 2008, art. 8 per non avere il Tribunale concesso al ricorrente la protezione sussidiaria prevista dalla norma invocata sulla base della affermata non credibilità del racconto e, quindi, senza attivare i poteri istruttori di ufficio onde esaminare il tema dell’insicurezza nel paese di provenienza.

4. Con il terzo motivo si deduce, in relazione all’art. 360 c.p.c., n. 3, la violazione e falsa applicazione del D.Lgs. n. 25 del 2008, art. 14, lett. c) in combinato disposto con il D.Lgs. n. 25 del 2008, art. 32, comma 2 per avere il Tribunale escluso la concedibilità della protezione umanitaria per il fatto che il richiedente non avrebbe allegato fattori di vulnerabilità senza, però, considerare che, in caso di rientro in (OMISSIS), il richiedente medesimo avrebbe visto sacrificati i propri diritti fondamentali.

5. Con riguardo al primo motivo, deve ribadirsi che le denunce di incostituzionalità sono manifestamente infondate.

E comunque non costituiscono idonei motivi di ricorso (per tutte Cass. N. 1624 del 2019).

6. Come questa Corte ha già avuto modo di affermare, è da reputare, invero, manifestamente infondata la questione di legittimità costituzionale del D.L. n. 13 del 2017, art. 21, comma 1 convertito con modifiche in L. n. 46 del 2017, per il preteso difetto dei requisiti della straordinaria necessità ed urgenza ex art. 77 Cost., poichè la disposizione transitoria – che differisce di 180 giorni dall’emanazione del decreto l’entrata in vigore del nuovo rito – è connaturata all’esigenza di predisporre un congruo intervallo temporale per consentire alla complessa riforma processuale di entrare a regime.

7. E’ manifestamente infondata, altresì, la questione di legittimità costituzionale, per violazione del diritto di difesa e del principio del contraddittorio, del D.Lgs. n. 25 del 208, art. 35 bis, comma 1, sia in quanto il rito camerale ex art. 737 c.p.c., che è previsto anche per la trattazione di controversie in materia di diritti e di status, è idoneo a garantire il contraddittorio anche nel caso in cui, in ragione dell’attività istruttoria precedentemente svolta, essa appaia superflua, sia perchè in tale caso le parti sono comunque garantite dal diritto di depositare difese scritte.

8. E’, del pari, manifestamente infondata la questione di legittimità costituzionale del D.Lgs. n. 25 del 2008, art. 35 bis, comma 13 relativa all’eccessiva limitatezza del termine di trenta giorni prescritto per proporre ricorso per cassazione avverso il decreto del Tribunale, poichè la previsione di tale termine è espressione della discrezionalità del legislatore e trova fondamento nelle esigenze di speditezza del procedimento (cfr. su tutti i profili suindicati Cass. n. 17717 n. 2018; Cass. n. 28119 del 2018).

9. Neppure coglie nel segno, poi, il rilievo secondo cui la soppressione dell’appello comporterebbe la violazione del principio del doppio grado del giudizio di merito, atteso che il D.Lgs. n. 25 del 2008, art. 35 bis, comma 13 nella parte in cui stabilisce che il procedimento per l’ottenimento della protezione internazionale è definito con decreto non reclamabile, è finalizzato a soddisfare esigenze di celerità, non essendo tale principio garantito a livello costituzionale, come più volte affermato dalla Consulta (cfr. ex plurimis Corte Cost. n. 351 del 2007; n. 07 del 2007). Al riguardo va, peraltro, tenuto conto anche del fatto che il procedimento giurisdizionale è comunque preceduto da una fase amministrativa che si svolge davanti alle commissioni territoriali deputate ad acquisire, attraverso il colloquio con l’istante, l’elemento istruttorio centrale ai fini della valutazione della domanda di protezione (Cass. n. 27700 del 2018; Cass. n. 28119 del 2018).

10. Quanto, infine, alla problematica sulla mancata videoregistrazione del colloquio innanzi alla Commissione territoriale, va sottolineata la non rilevanza della questione, come già rilevato dal Tribunale, atteso che l’udienza innanzi al Collegio è stata regolarmente fissata senza, quindi, che possa ipotizzarsi alcun pregiudizio per la posizione del richiedente (Cass. n. 17076 del 2019; Cass. n. 8574 del 2020).

11. Ciò premesso, gli altri due motivi sono inammissibili.

12. Invero, tutte le censure, al di là del formale richiamo alla violazione di norme di legge contenuto nell’intestazione di entrambi i motivi, si risolvono, nella sostanza, nella denuncia di errata valutazione da parte del giudice di merito del materiale probatorio acquisito ai fini della ricostruzione dei fatti.

13. Si tratta, quindi, di censure che finiscono con l’esprimere un mero dissenso rispetto alle motivate valutazioni delle risultanze probatorie effettuate dal Tribunale che, come tale, è inammissibile.

14. In particolare, quando nel ricorso per cassazione è denunziata la violazione e la falsa applicazione di norme di diritto, il vizio della sentenza previsto dall’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3 deve essere dedotto non solo mediante la puntuale indicazione delle norme asseritamente violate, ma anche mediante specifiche argomentazioni intelligibili ed esaurienti, intese a motivatamente dimostrare in qual modo determinate affermazioni in diritto contenute nel provvedimento impugnato debbano ritenersi in contrasto con le indicate norme regolatrici della fattispecie o con l’interpretazione delle stesse fornita dalla giurisprudenza di legittimità, con riguardo alla specifica vicenda sub judice; diversamente il motivo è inammissibile, in quanto non consente alla Corte di cassazione di adempiere al proprio compito istituzionale di verificare il fondamento della denunziata violazione (Cass. 16 gennaio 2007, n. 828; Cass. 5 marzo 2007, n. 5076).

15. Nella specie, l’attuale ricorrente ha denunciato in modo del tutto generico il mancato rispetto da parte del Tribunale dell’onere probatorio attenuato senza offrire alcun elemento idoneo a superare la valutazione del Giudice di non credibilità e di inverosimiglianza del racconto del ricorrente, considerato motivatamente non inquadrabile in alcuna delle fattispecie della protezione internazionale di inattendibilità delle dichiarazioni del richiedente alla stregua degli indicatori di genuinità soggettiva di cui al D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 3 valutazione che impedisce, di per sè, di procedere ad approfondimenti istruttori officiosi, salvo che la mancanza di veridicità derivi esclusivamente dall’impossibilità di fornire riscontri probatori, in ordine alla sussistenza dei presupposti per la protezione sussidiaria nell’ipotesi di cui all’art. 14, lett. c) (cfr. Cass. n. 4892 del 2019).

16. Le argomentazioni svolte in entrambi i motivi di ricorso, quindi, risultano del tutto generiche e prive di puntuali riferimenti al decreto impugnato, pertanto, in applicazione dei su richiamati principi, il ricorso va dichiarato inammissibile, tanto più simili argomentazioni risultano del tutto inidonee ad impugnare le rationes decidendi poste a base del decreto impugnato, le quali sono pertanto divenute definitive, sicchè in nessun caso se ne può più produrre l’annullamento (vedi, al riguardo: Cass. 7 novembre 2005, n. 21490; Cass. 26 marzo 2010, n. 7375; Cass. 7 settembre 2017, n. 20910; Cass. 3 maggio 2019, n. 11706).

17. Alla stregua di quanto esposto deve essere, pertanto, dichiarata l’inammissibilità del ricorso.

18. Nulla va disposto in ordine alle spese di lite non avendo l’Amministrazione resistente svolto attività difensiva.

19. Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, nel testo risultante dalla L. 24 dicembre 2012, n. 228, deve provvedersi, ricorrendone i presupposti processuali, sempre come da dispositivo.

P.Q.M.

La Corte dichiara inammissibile il ricorso. Nulla per le spese del giudizio di cassazione. Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato, pari a quello previsto per il ricorso principale, a norma dello stesso art. 13, comma 1 bis se dovuto.

Così deciso in Roma, nell’Adunanza camerale, il 24 novembre 2020.

Depositato in Cancelleria il 17 marzo 2021

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