Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 7525 del 31/03/2011

Cassazione civile sez. II, 31/03/2011, (ud. 16/12/2010, dep. 31/03/2011), n.7525

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SECONDA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. PETITTI Stefano – rel. Presidente –

Dott. PARZIALE Ippolisto – Consigliere –

Dott. D’ASCOLA Pasquale – Consigliere –

Dott. DE CHIARA Carlo – Consigliere –

Dott. GIUSTI Alberto – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ordinanza

sul ricorso proposto da:

C.S., rappresentato e difeso, per procura speciale in

calce al ricorso, dall’Avvocato DELPINO Alberto, presso lo studio del

quale in Roma, Via Lazzaro Spallanzani n. 36, è elettivamente

domiciliato;

– ricorrente –

contro

CA.SA., rappresentato e difeso dall’Avvocato SCIANNI

Salvatore per procura speciale a margine del controricorso,

elettivamente domiciliato in Roma, Viale delle Milizie n. 34, presso

lo studio dell’Avvocato Antonio Ingenito;

– controricorrente –

avverso la sentenza della Corte d’appello di Roma n. 4130/08,

depositata in data 16 ottobre 2008.

Udita, la relazione della causa svolta nella Camera di consiglio del

16 dicembre 2010 dal Presidente relatore Dott. Stefano Petitti;

sentiti l’Avvocato Alberto Delpino, per il ricorrente, e l’Avvocato

Salvatore Scianni, per il resistente;

sentito il P.M., in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott.

RUSSO Rosario Giovanni, il quale ha concluso in senso conforme alla

relazione, previa dichiarazione di manifesta infondatezza della

questione di legittimità costituzionale della L. n. 69 del 2009,

art. 58.

Fatto

RITENUTO IN FATTO

che, ravvisate le condizioni per la decisione con il procedimento di cui all’art. 380 bis cod. proc. civ., ai sensi di tale norma è stata redatta la seguente relazione, depositata il 6 agosto 2010, che è stata notificata alle parti e comunicata al pubblico ministero:

“Il Tribunale di Roma, con una prima sentenza non definitiva, rigettava la domanda di dichiarazione di nullità di un preliminare e di restituzione della provvigione proposta da C.S. nei confronti di Ca.Sa. e di C.A. (limitatamente, quanto a quest’ultimo, alla provvigione).

Con successiva sentenza definitiva, il Tribunale rigettava la domanda di risoluzione del preliminare e di risarcimento dei danni proposta nei confronti di Ca.Sa..

L’appello proposto dal C. per la riforma di entrambe le sentenze nei confronti del solo Ca.Sa. è stato rigettato dalla Corte d’appello di Roma, con sentenza depositata il 16 ottobre 2008.

La Corte d’appello ha ritenuto, quanto alla domanda di nullità, che l’appellante non avesse censurato la pur tacitiana motivazione adottata sul punto dal Tribunale; quanto alla domanda di risoluzione, ha rilevato che l’appellante aveva avuto piena conoscenza della reale consistenza del bene che egli si era impegnato ad acquistare.

Per la cassazione di questa sentenza ha proposto ricorso C. S. sulla base di due motivi, cui resiste, con controricorso il Ca..

Con il primo motivo, il ricorrente denuncia violazione di legge e falsa applicazione dei principi generali e delle norme di diritto in materia di nullità del contratto per impossibilità o illiceità dell’oggetto; nonchè di conversione del contratto nullo: artt. 1418 c.c., in relazione all’art. 1346 c.c.; art. 1424 c.c.; nonchè in materia di corrispondenza tra il chiesto e il pronunciato: art. 112 c.p.c.. Motivazione omessa, insufficiente e contraddittoria circa un fatto controverso e decisivo per il giudizio. Il tutto in relazione all’art. 360 c.p.c., nn. 3 e 5. La censura si riferisce al capo della sentenza, concernente la reiezione dell’appello avverso la sentenza non definitiva, di reiezione della domanda di nullità del contratto per illiceità dell’oggetto.

Con il secondo motivo, il ricorrente denuncia violazione di legge e falsa applicazione dei principi generali di diritto e delle norme di legge in materia di risoluzione del contratto: art. 1453 c.c., e segg.; di forma degli atti: art. 1350 c.c.; nonchè in materia di corrispondenza fra il chiesto e il pronunciato. Il tutto in relazione all’art. 360 c.p.c., nn. 3 e 5. La censura si riferisce alla reiezione del motivo di gravame avverso la sentenza definitiva, quanto alla rigettata domanda di risoluzione del contratto per inadempimento del venditore.

Il ricorso è inammissibile, per violazione dell’art. 366 bis cod. proc. civ., introdotto dal D.Lgs. n. 40 del 2006, art. 6, applicabile ai ricorsi per cassazione avverso sentenze depositate tra il 2 marzo 2006 e il 3 luglio 2009, in quanto l’illustrazione dei singoli motivi non è accompagnata dalla formulazione di un esplicito quesito di diritto, tale da circoscrivere la pronuncia del giudice nei limiti di un accoglimento o un rigetto del quesito formulato dalla parte; più specificamente, deve escludersi che il quesito di diritto possa desumersi implicitamente dalla formulazione dei motivi di ricorso, la quale non è sufficiente ad integrare il rispetto del requisito formale specificamente richiesto dalla richiamata disposizione (Cass., n. 23153 del 2007).

Nell’ambito del singolo motivo, poi, non possono essere contestualmente dedotte censure aventi ad oggetto violazione di legge e vizi della motivazione, ciò costituendo una negazione della regola di chiarezza posta dall’art. 366 bis c.p.c., per la deduzione dei vizi tanto di violazione di legge quanto di motivazione, al qual riguardo prescrivendovisi che ciascun motivo debba contenere la chiara indicazione del fatto controverso in relazione al quale la motivazione si assume omessa, ovvero delle ragioni per le quali la dedotta insufficienza della motivazione la rende inidonea a giustificare la decisione. Con il cumulare, infatti, nella medesima argomentazione critica, il vizio di violazione di legge e quello di motivazione, si omette tale chiara indicazione, che dovrebbe comunque concludersi con un momento di sintesi equipollente al quesito di diritto, rimettendo al giudice di legittimità il compito d’enucleare, dalla mescolanza delle argomentazioni, la parte concernente il vizio di motivazione, il quale deve, invece, avere un’autonoma collocazione ed in ordine al quale la mancanza, o l’insufficienza, o la contraddittorietà della motivazione, debbono avere, ciascuna autonomamente considerata in ragione delle peculiari caratteristiche del singolo vizio, separata trattazione e distinta sintesi interrogativa (Cass., S.U., n. 9153 del 2009).

Con riguardo ai ricorsi con i quali vengano denunciati vizi di motivazione, si è in particolare chiarito che in tema di formulazione dei motivi del ricorso per cassazione avverso i provvedimenti pubblicati dopo l’entrata in vigore del D.Lgs. 2 febbraio 2006, n. 40, ed impugnati per omessa, insufficiente o contraddittoria motivazione, poichè secondo l’art. 366 bis cod. proc, civ., introdotto dalla riforma, nel caso previsto dall’art. 360 cod. proc. civ., n. 5, l’illustrazione di ciascun motivo deve contenere, a pena di inammissibilità, la chiara indicazione del fatto controverso in relazione al quale la motivazione si assume omessa o contraddittoria, ovvero le ragioni per le quali la dedotta insufficienza della motivazione la renda inidonea a giustificare la decisione, la relativa censura deve contenere, un momento di sintesi (omologo del quesito di diritto) che ne circoscriva puntualmente i limiti, in maniera da non ingenerare incertezze in sede di formulazione del ricorso e di valutazione della sua ammissibilità (Cass., S.U., n. 20603 del 2007; Cass., ord. n. 8897 del 2008). Nè è consentito al ricorrente censurare con un unico motivo (e quindi con un unico quesito, nella specie non esplicitato) sia la mancanza, sia l’insufficienza, sia la contraddittorietà della motivazione (Cass., n. 5471 del 2008).

Sussistono, pertanto, le condizioni per la trattazione del ricorso in Camera di consiglio”.

Diritto

CONSIDERATO IN DIRITTO

Che il Collegio condivide la proposta di decisione, non apparendo le critiche formulate dal ricorrente nella memoria ex art. 380 bis cod. proc. civ., comma 3, idonee ad indurre a diverse conclusioni;

che deve in primo luogo essere disattesa, perchè manifestamente infondata, la questione di legittimità costituzionale della L. n. 69 del 2009, art. 58;

che, invero, questa Corte ha già avuto modo di affermare che, alla stregua del principio generale di cui all’art. 11 preleggi, comma 1, secondo cui, in mancanza di un’espressa disposizione normativa contraria, la legge non dispone che per l’avvenire e non ha effetto retroattivo, nonchè del correlato specifico disposto della L. n. 69 del 2009, art. 58, comma 5, in base al quale le norme previste da detta legge si applicano ai ricorsi per cassazione proposti avverso i provvedimenti pubblicati a decorrere dalla data di entrata in vigore della medesima legge (4 luglio 2009), l’abrogazione dell’art. 366 bis cod. proc. civ. (intervenuta ai sensi della citata L. n. 69 del 2009, v) è diventata efficace per i ricorsi avanzati con riferimento ai provvedimenti pubblicati successivamente alla suddetta data, con la conseguenza che per quelli proposti – come nella specie contro provvedimenti pubblicati antecedentemente (e dopo l’entrata in vigore del D.Lgs. 2 febbraio 2006, n. 40) tale norma è da ritenere ancora applicabile (Cass. n. 22578 del 2009; Cass. n. 7119 del 2010);

che, quanto alle ulteriori critiche svolte dal ricorrente, deve qui rilevarsi che questa Corte regolatrice – alla stregua della stessa letterale formulazione dell’art. 366 bis cod. proc. civ., introdotto, con decorrenza dal 2 marzo 2006, dal D.Lgs. 2 febbraio 2006, n. 40, art. 6 e abrogato con decorrenza dal 4 luglio 2009 dalla L. 18 giugno 2009, n. 69, art. 47, ma applicabile ai ricorsi proposti avverso le sentenze pubblicate tra il 3 marzo 2006 e il 4 luglio 2009 (cfr.

della L. n. 69 del 2009, art. 58, comma 5) – è fermissima nel ritenere che a seguito della novella del 2006 nel caso previsto dall’art. 360 cod. proc. civ., n. 5, allorchè, cioè, il ricorrente denunci la sentenza impugnata lamentando un vizio della motivazione, l’illustrazione di ciascun motivo deve contenere, a pena di inammissibilità, la chiara indicazione del fatto controverso in relazione al quale la motivazione si assume omessa o contraddittoria, ovvero le ragioni per le quali la dedotta insufficienza della motivazione la renda inidonea a giustificare la decisione;

che ciò importa in particolare che la relativa censura deve contenere un momento di sintesi (omologo del quesito di diritto) che ne circoscriva puntualmente i limiti, in maniera da non ingenerare incertezze in sede di formulazione del ricorso e di valutazione della sua ammissibilità (cfr., ad esempio, Cass., sez. un., n. 20603 del 2007);

che, al riguardo, ancora è incontroverso che non è sufficiente che tale fatto sia esposto nel corpo del motivo o che possa comprendersi dalla lettura di questo, atteso che è indispensabile che sia indicato in una parte, del motivo stesso, che si presenti a ciò specificamente e riassuntivamente destinata;

che non si può dubitare che allorchè nel ricorso per cassazione si lamenti un vizio di motivazione della sentenza impugnata in merito ad un fatto controverso, l’onere di indicare chiaramente tale fatto ovvero le ragioni per le quali la motivazione è insufficiente, imposto dall’art. 366 bis cod. proc. civ., deve essere adempiuto non già e non solo illustrando il relativo motivo di ricorso, ma formulando, all’inizio o al termine di esso, una indicazione riassuntiva e sintetica, che costituisca un quid pluris rispetto all’illustrazione del motivo , e che consenta al giudice di valutare immediatamente l’ammissibilità del ricorso (in termini, Cass. n. 27680 del 2009);

che nella specie i motivi di ricorso, formulati ex art. 360 cod. proc. civ., n. 5, sono totalmente privi di tale momento di sintesi, iniziale o finale, costituente un quid pluris rispetto all’illustrazione dei motivi;

che, quindi, il ricorso deve essere dichiarato inammissibile, con conseguente condanna del ricorrente, in applicazione del principio della soccombenza, al pagamento delle spese del giudizio di legittimità, liquidate come da dispositivo.

PQM

La Corte dichiara inammissibile il ricorso; condanna il ricorrente al pagamento delle spese del giudizio di legittimità, che liquida in complessivi Euro 2.200,00, di cui Euro 2.000,00 per onorario, oltre alle spese generali e agli accessori di legge.

Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio della Sezione Seconda Civile della Corte Suprema di Cassazione, il 16 dicembre 2010.

Depositato in Cancelleria il 31 marzo 2011

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