Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 7524 del 01/04/2014


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Civile Sent. Sez. 3 Num. 7524 Anno 2014
Presidente: RUSSO LIBERTINO ALBERTO
Relatore: CARLEO GIOVANNI

SENTENZA

sul ricorso 16000-2010 proposto da:
IOELE

ERNESTO

LIORST57C04F888A,

elettivamente

domiciliato in ROMA, VIALE VATICANO 84, presso lo
studio dell’avvocato SERANI GIANFRANCO, che lo
rappresenta e difende giusta delega a margine;
– ricorrente contro

UGF ASSICURAZIONI SPA 02705901201 (gia’ AURORA ASS.NI
SPA,

gia’

METE AURORA ASS.NI SPA,

gia’

SIAD

ASSICURAZIONI SPA), in persona del suo procuratore ad
negotia, dott.ssa GIOVANNA GIGLIOTTI, elettivamente

Data pubblicazione: 01/04/2014

domiciliata ex lege in ROMA, presso la CANCELLERIA
DELLA CORTE DI CASSAZIONE, rappresentata e difesa
dall’avvocato DORIA BRUNO giusta delega a margine;
– controricorrente nonchè contro

– intimato –

avverso la sentenza n. 490/2009 della CORTE D’APPELLO
di CATANZARO, depositata il 18/06/2009 R.G.N.
375/2005;
udita la relazione della causa svolta nella pubblica
udienza del 22/01/2014 dal Consigliere Dott. GIOVANNI
CARLEO;
udito l’Avvocato GIANFRANCO SERANI;
udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore
Generale Dott. TOMMASO BASILE che ha concluso per il
rigetto del ricorso.

ARABIA ROMEO;

SVOLGIMENTO DEL PROCESSO

Con citazione ritualmente notificata Ioele Ernesto

conveniva

in giudizio la S.I.A.D. Assicurazioni Spa ed Arabia Romeo per
fare accertare l’esclusiva responsabilità dei convenuti in
ordine alla causazione di un sinistro stradale nel quale era

subiti. Esponeva che, in data 17.7.1990, mentre percorreva il
centro abitato di S. Maria di Catanzaro, a bordo della propria
moto Honda 600, era stato investito dalla Fiat Panda condotta
dal Romeo, che aveva invaso l’opposta corsia di marcia e lo
aveva colpito alla gamba sinistra facendolo cadere dalla moto.
In esito al giudizio in cui si costituiva la compagnia
assicurativa il Tribunale adito condannava i convenuti al
pagamento della somma di C 93.773,05 oltre interessi legali sino
al soddisfo. Avverso tale decisione lo Ioele proponeva appello
lamentando tra l’altro il mancato riconoscimento del danno per
effetto della riduzione della capacità lavorativa specifica
perché, anche se aveva continuato a percepire la retribuzione
quale assistente medico di ortopedia, era presumibile il
carattere maggiormente usurante delle prestazioni svolte. In
esito al giudizio, in cui si costituiva la Aurora Assicurazioni,
già Siad e Meie Aurora, la Corte di Appello di Catanzaro con
sentenza depositata in data 18 giugno 2009 condannava i
convenuti in solido al pagamento della somma di C 2.169,11 con
rivalutazione dalla data del 10.10.1990 ed interessi graduali
sul capitale via via rivalutato sino alla data della decisione e

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stato coinvolto e per farli condannare al risarcimento dei danni

ulteriori interessi sino al soddisfo; dichiarava che sulla somma
liquidata in primo grado pari a 2.592,48 per danni al mezzo
IL

andava riconosciuta la rivalutazione dalla data di deposito

«.

dell’ATP sino alla data della decisione di primo grado e
interessi graduali sul capitale devalutato alla data del

condannando i convenuti al relativo pagamento, confermava nel
resto la sentenza di primo grado e compensava le spese del grado
di appello.
Avverso la detta sentenza lo Ioele ha quindi proposto ricorso
per cassazione articolato in due motivi. Resiste l’Aurora
Assicurazioni con controricorso.
MOTIVI DELLA DECISIONE

Con la prima doglianza,

deducendo la violazione e/o falsa

applicazione degli artt.2043, 2056 cc, 115, 116 cpc, l’omessa,
insufficiente e contraddittoria motivazione in relazione alle
prove dedotte, l’insufficiente motivazione sul punto della non
liquidazione del danno da capacità lavorativa specifica, il
ricorrente ha censurato la sentenza impugnata per aver la Corte
,
di Appello errato in quanto, in corrispondenza della presenza
documentata di una riduzione della capacità lavorativa specifica
nella misura del 15 % e del provato svolgimento di lavoro
autonomo oltre quello dipendente, avrebbe dovuto riconoscere al
danneggiato il diritto al risarcimento da perdita di reddito,
posto che la perdita
patrimonli

ma come

di

chance

non va intesa come

deminutio spei.

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deminutio

Peraltro, la motivazione

sinistro e rivalutato sino alla data della prima decisione

della Corte ai fini dell’esclusione del danno da riduzione
specifica della capacità lavorativa sarebbe stata altresì
inadeguata in relazione alle risultanze peritali che avevano
accertato l’impossibilità di accovacciamento del danneggiato.
La

censura

è

infondata.

Invero,

costituisce

principio

di

risarcimento

del

danno

alla

persona,

sussiste

la

risarcibilità del danno patrimoniale soltanto qualora sia
riscontrabile la eliminazione o la riduzione della capacità del
danneggiato di produrre reddito, mentre il danno da lesione
della “cenestesi lavorativa”, che consiste nella maggiore usura,
fatica e difficoltà incontrate nello svolgimento dell’attività
lavorativa, non incidente neanche sotto il profilo delle
opportunità sul reddito della persona offesa (c.d. perdita di
chance),

risolvendosi

in

una

compromissione

biologica

dell’essenza dell’individuo, va liquidato onnicomprensivamente
come danno alla salute. (Cass. n.5840/2004).

Ai fini della

risarcibilità di un siffatto danno patrimoniale, occorre quindi
la concreta dimostrazione che la riduzione della capacità
lavorativa si sia tradotta in un effettivo pregiudizio economico
(Cass.n. 3290/2013, n.4493/2011) e la prova del danno grava sul
soggetto che chiede il risarcimento. Invero, anche se tale prova
può essere anche presuntiva, la riduzione della capacità di
guadagno deve essere dimostrata in termini di sufficiente
certezza ed

il danneggiato ha l’onere di provare come ed in

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giurisprudenziale ormai consolidato quello, secondo cui in tema

quale misura la menomazione fisica abbia inciso ed incida sulla
capacità di guadagno.
Nel caso di specie, la Corte di merito ha statuito che
l’invalidità riscontrata non era di entità tale da consentire di
ritenere, anche in via presuntiva, che il dott. Ioele non
potesse continuare a svolgere l’attività di medico chirurgo,
lavorando in sala operatoria o in sala gessi, seppure con
maggiore sforzo ed usura. Senza trascurare che essa appariva di
nessun rilievo nell’ambito dell’esercizio di uno studio
ortopedico, come libero professionista, attività che di per sé
non necessita di rilevante impegno fisico.
Ed è appena il caso di evidenziare come la motivazione,
riportata nella sua essenzialità, che costituisce espressione di
un giudizio di mero fatto, in quanto tale, sottratto al
sindacato di legittimità, sia in linea con il consolidato
orientamento di questa Corte secondo cui, se è possibile
presumere che la capacità di guadagno risulti ridotta nella sua
proiezione futura, occorre necessariamente che la riduzione della
capacità di lavoro specifica sia di una certa entità e non
rientri tra i postumi permanenti di piccola entità
(Cass.n.2644/2013). Ne deriva il rigetto della doglianza in
esame.
E’ invece inammissibile la seconda censura, articolata sotto il
profilo della violazione e/o falsa applicazione dell’art.8 dpr
n.115 /2002 e degli artt.90 e ss cpc nonché della motivazione
omessa, con cui il ricorrente ha lamentato che la Corte

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territoriale non avrebbe tenuto conto di tutte le attività
svolte in primo grado ed avrebbe disatteso arbitrariamente la
specifica depositata.
L’inammissibilità deriva dal rilievo che il motivo non è
accompagnato da alcun quesito di diritto. Ed invero, ai sensi
dell’art. 366 bis cod. proc. civ., introdotto dal D.Lgs. n. 40
del 2006, art. 6, applicabile alle sentenze pubblicate dal 2
marzo 2006, i motivi del ricorso per cassazione, nei casi
previsti dall’art. 360 c.p.c., comma l, n. l), 2), 3), 4)
c.p.c., devono essere accompagnati, a pena di inammissibilità giusta la previsione dell’art. 375 cpc n. 5 – dalla
formulazione di un esplicito quesito di diritto, che si risolva,
secondo l’insegnamento delle Sezioni Unite, in una chiara
sintesi logico-giuridica della questione sottoposta al vaglio
del giudice di legittimità, formulata in termini tali per cui
dalla risposta – negativa od affermativa – che ad esso si dia,
discenda in modo univoco l’accoglimento od il rigetto del
gravame (Sez.Un. n. 23732/07)
Considerato che la sentenza impugnata appare esente dalle
censure dedotte, ne consegue che il ricorso per cassazione in
esame deve essere rigettato. Segue la condanna del ricorrente
alla rifusione delle spese di questo giudizio di legittimità,
liquidate come in dispositivo, alla stregua dei soli parametri
di cui al D.M. n.140/2012 sopravvenuto a disciplinare i compensi
professionali.
P.Q.M.

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La Corte rigetta il ricorso. Condanna il ricorrente al pagamento
delle spese del giudizio di legittimità che liquida in
complessivi E 3.200,00 di cui C 3.000,00 per compensi, oltre
accessori di legge, ed C 200,00 per esborsi.
Così deciso in Roma in camera di Consiglio in data 22.1.2014

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