Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 7523 del 25/03/2020

Cassazione civile sez. I, 25/03/2020, (ud. 31/01/2020, dep. 25/03/2020), n.7523

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE PRIMA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. GIANCOLA Maria C. – Presidente –

Dott. FERRO Massimo – Consigliere –

Dott. ROSSETTI Marco – rel. Consigliere –

Dott. FIDANZIA Andrea – Consigliere –

Dott. AMATORE Roberto – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso n. 226/19 proposto da:

A.P., elettivamente domiciliato in Milano, v. Lamarmora n.

42, difeso dall’avvocato Daniela Gasparin in virtù di procura

speciale apposta in calce al ricorso;

– ricorrente –

contro

Ministero dell’Interno;

– intimato –

avverso la sentenza della Corte d’appello di Milano 16 agosto 2018;

udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del

31 gennaio 2020 dal Consigliere relatore Dott. Marco Rossetti.

Fatto

RILEVATO

che:

P.A., cittadino nigeriano, chiese alla competente commissione territoriale per il riconoscimento della protezione internazionale, di cui al D.Lgs. 25 gennaio 2008, n. 25, art. 4:

(a) in via principale, il riconoscimento dello status di rifugiato politico, D.Lgs. 19 novembre 2007, n. 251, ex art. 7 e ss.;

(b) in via subordinata, il riconoscimento della “protezione sussidiaria” di cui al D.Lgs. 19 novembre 2007, n. 251, art. 14;

(c) in via ulteriormente subordinata, la concessione del permesso di soggiorno per motivi umanitari, D.Lgs. 25 luglio 1998, n. 286, ex art. 5, comma 6, (nel testo applicabile ratione temporis);

a fondamento dell’istanza dedusse che, rimasto orfano, era stato costretto a lasciare la Nigeria sia per le pressioni ricevute da parte di una organizzazione illegale denominata “Massob”, i cui membri volevano costringerlo ad unirsi a loro; sia perchè indotto alla fuga dopo essere fortunosamente scampato ad un attacco terroristico compiuto dal gruppo “Boko Haram”;

la Commissione Territoriale rigettò l’istanza;

avverso tale provvedimento P.A. propose, ai sensi del D.Lgs. 28 gennaio 2008, n. 25, art. 35 ricorso dinanzi al Tribunale di Milano, che lo rigettò con sentenza 22.9.2017;

tale sentenza, appellata dal soccombente, è stata confermata dalla Corte d’appello di Milano con sentenza 16.8.2018;

a fondamento della propria decisione la Corte d’appello ritenne che:

-) il racconto del richiedente asilo era contraddittorio, inverosimile e vago;

-) la protezione sussidiaria non poteva essere concessa perchè non ricorreva alcuna delle ipotesi di cui al D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 14;

-) il permesso di soggiorno per motivi umanitari non poteva essere concesso perchè non risultava provata alcuna situazione di vulnerabilità, nè la giovane età del richiedente asilo (24 anni al momento della decisione d’appello) o lo svolgimento di attività lavorativa in Italia, da soli, potevano giustificare il rilascio del permesso di soggiorno per motivi umanitari;

il provvedimento della Corte d’appello è stato impugnato per cassazione da P.A. con ricorso fondato su tre motivi; il Ministero dell’Interno non si è difeso.

Diritto

CONSIDERATO

che:

col primo motivo il ricorrente lamenta, ai sensi dell’art. 360 c.p.c., nn. 3 e 5, la violazione di plurimi articoli del D.Lgs. n. 251 del 2007 e del D.Lgs.n. 25 del 2008, nonchè “l’omesso esame di fatti decisivi ed assenza di motivazione”;

il motivo, se pur formalmente unitario, contiene plurime censure;

con una prima censura (pagina 5 del ricorso) il ricorrente deduce che la Corte d’appello ha ritenuto inattendibile il racconto del richiedente asilo senza spiegare il perchè;

con una seconda censura (pagina 6 del ricorso) il ricorrente sostiene che la Corte d’appello ha trascurato di prendere in esame due fatti decisivi e “non contraddetti”, e cioè “la violenza brutale dei membri dell’associazione Massob” e “il terrorismo di Boko Haram”;

con una terza censura (pagina 7 del ricorso) il ricorrente sostiene che erroneamente la Corte d’appello avrebbe escluso la sussistenza, in Nigeria, di una situazione di violenza indiscriminata derivante da conflitto armato;

con una quarta censura (pagina 10 del ricorso) il ricorrente sostiene che erroneamente la Corte d’appello ha trascurato di esaminare il “fatto decisivo” costituito dalla circostanza che egli era stato già vittima di minacce, le quali dovevano ritenersi “serio indizio” del timore del richiedente di subire persecuzioni in caso di rientro in patria;

il motivo è inammissibile in tutte le censure in cui si articola;

nella parte in cui contesta il giudizio con cui la Corte d’appello ha reputato inattendibile il richiedente asilo, il motivo è inammissibile perchè investe un apprezzamento di fatto riservato al giudice di merito, per di più ampiamente motivato (pagine 6-7 della sentenza d’appello); nella parte in cui lamenta l’omesso esame d’un fatto decisivo il motivo è inammissibile perchè:

a) il “fatto decisivo” rappresentato dalle presunte minacce ricevute dal richiedente asilo non è stato trascurato, ma è stato implicitamente esaminato e ritenuto inveritiero dalla Corte d’appello, allorchè ha ritenuto inattendibile il racconto dell’odierno ricorrente;

b) il “fatto decisivo” rappresentato dalle condizioni sociopolitiche della Nigeria non è stato trascurato, ma è stato ritenuto irrilevante, dal momento che la Corte d’appello, con giudizio di fatto non sindacabile in questa sede, ha ritenuto che la zona di provenienza del richiedente asilo (Abia State) non era interessata da alcuna situazione di violenza indiscriminata derivante da conflitto armato, sussistente soltanto nel nord-est del Paese di provenienza del richiedente asilo;

col secondo motivo il ricorrente lamenta la violazione di plurimi articoli del D.Lgs. n. 251 del 2007 e del D.Lgs.n. 25 del 2008, nonchè l’omesso esame di fatti decisivi;

nonostante tale intitolazione, nell’illustrazione del motivo il ricorrente torna a censurare in sostanza il giudizio con cui la Corte d’appello lo ha ritenuto inattendibile;

deduce che sarebbe stato violato dalla Corte d’appello il D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 3, comma 5, lett. c), poichè alla stregua di tale norma non sarebbe possibile ritenere inattendibile un richiedente asilo solo per la mancanza di riscontri oggettivi del suo racconto;

il motivo è inammissibile;

stabilire se una persona sia attendibile od inattendibile è un apprezzamento di fatto, non una valutazione in diritto: ed in quanto tale sfugge al sindacato di questa Corte; nè a tale secolare principio deroga la legislazione speciale in materia di protezione internazionale; infatti il D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 3, comma 5, consente al giudice della protezione internazionale di ritenere veri anche fatti non provati, in deroga al generale principio di cui all’art. 2697 c.c., quando ritenga che il richiedente abbia compiuto ogni ragionevole sforzo per circostanziare la domanda; non abbia potuto fornire ulteriori prove senza colpa; abbia reso dichiarazioni plausibili, non contraddittorie e non contraddette ab externo; ha presentato la domanda di protezione il prima possibile; si presenti come attendibile;

tale norma contiene un periodo ipotetico la cui protasi (“se l’autorità competente ritiene che”) rende palese che il legislatore, con essa, non ha affatto stabilito cosa il giudicante debba decidere (nè, del resto, avrebbe potuto farlo, alla luce dell’art. 101 Cost., comma 2), ma ha stabilito invece come debba essere adottata la decisione di cui si discorre: e cioè con quale iter logico e sulla base di quali accertamenti;

ne consegue che il D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 3, comma 5, non potrà dirsi violato sol perchè il giudice di merito abbia ritenuto inattendibile un racconto od inveritiero un fatto; quella norma potrà dirsi violata solo se il giudice, nel decidere sulla domanda di protezione, non compia gli accertamenti ivi previsti: ad esempio, accogliendo la domanda di protezione senza avere previamente accertato la sussistenza di tutti e cinque i requisiti previsti dalla norma suddetta;

per contro, lo stabilire se la narrazione fatta dall’interessato delle circostanze che giustificano la concessione della protezione internazionale od il rilascio del permesso di soggiorno per motivi umanitari, sia stata verosimile e credibile oppur no, non costituisce una valutazione di diritto, ma è un apprezzamento di fatto riservato al giudice di merito e non sindacabile in sede di legittimità (Sez. 1 -, Ordinanza n. 3340 del 05/02/2019, Rv. 652549 – 01; Sez. 6 – 1, Ordinanza n. 27503 del 30/10/2018, Rv. 651361 – 01);

sindacabile in sede di legittimità, pertanto, potrebbe essere soltanto il metodo di giudizio applicato dal giudice di merito (ad esempio, per violazione dei precetti dettati dal D.Lgs. 25 gennaio 2008, n. 25, art. 8 in tema di ricerca e valutazione delle prove), ma non certo il merito del giudizio in sè riguardato, una volta che quei criteri siano stati osservati;

col terzo motivo il ricorrente (prospettando la violazione di molteplici norme) sostiene che erroneamente la Corte d’appello ha rigettato la richiesta di rilascio del permesso di soggiorno per motivi umanitari;

Deduce di avere raggiunto in Italia un “perfetto inserimento”; che rientrando in Nigeria sarebbe esposto a “rischi e pericoli gravissimi”; lamenta di avere non meglio precisati “problemi di stomaco”; che tutte queste circostanze non sarebbero state prese in esame dalla Corte d’appello;

il motivo è inammissibile ex art. 366 c.p.c., n. 6, in quanto il ricorrente in nessun punto del ricorso indica quali fatti concreti abbia dedotto in primo grado a fondamento della richiesta di protezione umanitaria;

in ogni caso il motivo è inammissibile perchè il giudizio sulla sussistenza od insussistenza di una “situazione di vulnerabilità” è un giudizio di fatto, riservato al giudice di merito, e sindacabile in sede di legittimità soltanto nel caso in cui il giudice di merito, dopo aver accertato un oggettivo rischio di violazione del nucleo insopprimibile dei diritti fondamentali della persona, nel caso di rientro in patria del richiedente protezione, neghi poi quest’ultima;

non è questo il nostro caso, dal momento che il giudice di merito ha escluso la sussistenza di qualsiasi “danno grave” nel caso di rimpatrio dell’odierno ricorrente;

ad abundantiam, non sarà superfluo aggiungere che l’inattendibilità del racconto del richiedente asilo, affermata dai giudici di merito, costituisce motivo da solo sufficiente per negare anche la protezione umanitaria, in quanto la suddetta inattendibilità rende impossibile una effettiva valutazione comparativa della situazione soggettiva ed oggettiva del richiedente con riferimento al Paese d’origine, al fine di verificare se il rimpatrio possa determinare la privazione della titolarità e dell’esercizio dei diritti umani, al di sotto del nucleo ineliminabile costitutivo dello statuto della dignità personale (Sez. 6 – 1, Ordinanza n. 1088 del 20.1.2020; Sez. 6 – 1, Ordinanza n. 16925 del 27/06/2018, Rv. 649697 – 01);

non è luogo a provvedere sulle spese, attesa la indefensio della parte intimata;

il rigetto del ricorso comporta l’obbligo del pagamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per l’impugnazione, ai sensi del D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13, comma 1 quater, (nel testo introdotto dalla L. 24 dicembre 2012, n. 228, art. 1, comma 17), a condizione che esso sia dovuto: condizione che non spetta a questa Corte stabilire. La suddetta norma, infatti, impone all’organo giudicante il compito unicamente di rilevare dal punto di vista oggettivo che l’impugnazione ha avuto un esito infruttuoso per chi l’ha proposta; incidenter tantum, rileva nondimeno questa Corte che, ai sensi del D.P.R. 30 maggio 2012, n. 115, art. 11 il contributo unificato è prenotato a debito nei confronti della parte ammessa al patrocinio a spese dello Stato.

P.Q.M.

(-) dichiara inammissibile il ricorso;

(-) dà atto che non sussistono, allo stato, i presupposti previsti dal D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13, comma 1 quater, per il versamento da parte del ricorrente di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per l’impugnazione, sempre che l’ammissione del ricorrente al patrocinio a spese dello Stato non sia stata revocata dal giudice competente.

Così deciso in Roma, nella camera di consiglio della Prima Sezione civile della Corte di cassazione, il 31 gennaio 2020.

Depositato in Cancelleria il 25 marzo 2020

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