Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 7521 del 29/03/2010

Cassazione civile sez. lav., 29/03/2010, (ud. 13/01/2010, dep. 29/03/2010), n.7521

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE LAVORO

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. DE LUCA Michele – Presidente –

Dott. STILE Paolo – Consigliere –

Dott. BANDINI Gianfranco – Consigliere –

Dott. NAPOLETANO Giuseppe – Consigliere –

Dott. BALLETTI Bruno – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

sentenza

sul ricorso 5102/2006 proposto da:

M.G., elettivamente domiciliato in ROMA, VIA DALMAZIA

25, presso lo studio dell’avvocato TIRELLI GIORGIO, rappresentato e

difeso dall’avvocato LONGHEU Giuseppe, giusta mandato a margine del

ricorso;

– ricorrente –

contro

GESTIONE GOVERNATIVA FERROVIE DELLA SARDEGNA;

– intimata –

avverso la sentenza n. 510/2005 della CORTE D’APPELLO di CAGLIARI,

depositata il 22/06/2005 r.g.n. 299/04;

udita la relazione della causa svolta nella Pubblica udienza del

13/01/2010 dal Consigliere Dott. BRUNO BALLETTI;

udito il P.M., in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott.

SEPE Ennio Attilio, che ha concluso per il rigetto del ricorso.

 

Fatto

SVOLGIMENTO DEL PROCESSO

Con sentenza del 20 giugno 2005 la Corte di appello di Cagliari, dichiarava inammissibile l’appello proposto da M.G. nei confronti della GESTIONE GOVERNATIVA FERROVIE DELLA SARDEGNA avverso la decisione con cui il Tribunale di Oristano aveva respinto la domanda del M. – dipendente della FERROVIE DELLA SARDEGNA inquadrato nell'(OMISSIS) livello ex declaratoria del c.c.n.l. – intesa ad ottenere il superiore inquadramento nel (OMISSIS) livello contrattuale in forza di espletamento delle mansioni superiori.

La Corte di appello riteneva, infatti, condivisibile la preliminare eccezione sollevata dalla Gestione Governativa in merito alla “inesistenza dell’atto di appello per essere privo di sottoscrizione” rilevando in proposito che “l’atto d’appello è costituito da una fotocopia dell’originale, neppure la sottoscrizione apposta dal difensore in calce all’atto, avv. G. Longheu, è in originale, l’atto, peraltro, è sottoscritto anche dal ricevente, avv. Cesello Argiolas, procuratore domiciliatario del M., come è dato rilevare dall’intestazione del ricorso introduttivo di questo grado del giudizio”.

Per la cassazione della cennata sentenza M.G. propone ricorso sostenuto da un unico complesso motivo e deposita memoria ex art. 378 c.p.c..

L’intimata GESTIONE GOVERNATIVA FERROVIE DELLA SARDEGNA non ha spiegato attività difensiva, ancorchè ritualmente raggiunta dalla notificazione del ricorso.

Diritto

MOTIVI DELLA DECISIONE

1 – Con l’unico motivo di ricorso il ricorrente – denunciando “violazione dell’art. 2719 cod. civ. e art. 215 cod. proc. civ., n. 2, nonchè vizio di motivazione” – rileva, a censura della sentenza impugnata, che “non appare congrua la motivazione della Corte di merito per la quale negare la giuridica esistenza dell’atto equivarrebbe a disconoscere la conformità all’originale, in quanto il disconoscimento, infatti, postula una esplicita dichiarazione di chiaro contenuto effettuata mediante espressioni inequivocabili che, pur senza utilizzare formule sacramentali, rivestano i requisiti di un’impugnazione specifica e determinata, che non si ravvisano nel contenuto dell’eccezione proposta dall’appellata”.

2 – Il ricorso non appare meritevole di accoglimento.

2/a – Al riguardo vale osservare che la L. n. 183 del 1993, art. 1, nel disciplinare l’utilizzazione dei mezzi di telecomunicazione, sancisce che “la copia fotoriprodotta di una atto del processo redatta e sottoscritta da un avvocato o da un procuratore e trasmessa a distanza attraverso i mezzi di telecomunicazione ad altro avvocato o procuratore, si considera conforme all’atto trasmesso se ricorrono i seguenti requisiti: a) all’avvocato o procuratore che trasmette l’atto e a quello che lo riceve sia stata conferita procura ai sensi dell’art. 83 cod. proc. civ., che può risultare anche dall’atto trasmesso se questo rientra tra quelli indicati nell’art. 83 cod. proc. civ., comma 3”. La norma, dando così rilievo all’attestazione di conformità compiuta dall’avvocato, sia trasmittente che ricevente, ha evidentemente inteso stabilire – per facilitare e semplificare la trasmissione a distanza degli atti processuali fra avvocati della stessa parte – che la copia fotoriprodotta spedita, in presenza delle condizioni di legge, ha la stessa efficacia dell’originale, attribuendo così all’avvocato – che, pur non essendo pubblico ufficiale, certifica ex art. 83 c.p.c., comma 3, l’autografia della sottoscrizione della parte – il potere, altresì, di attestare la conformità della copia spedita all’originale.

Evidentemente la norma viene a svolgere – peraltro limitatamente all’ambito processuale – una funzione integrativa della prima delle due ipotesi alternative previste dall’art. 2719 c.c., in tema di efficacia delle copie fotografiche di scritture (cui sono equiparate quelle fotostatiche), alle quali è attribuita la stessa efficacia di quelle autentiche, se la loro conformità all’originale è attestata da pubblico ufficiale competente ovvero non è espressamente disconosciuta.

La L. n. 183 del 1993, ha dunque sancito una presunzione assoluta di conformità, equiparando limitatamente all’oggetto (atti o provvedimenti processuali) – in relazione alle ricordate finalità della norma – l’attestazione dell’avvocato a quella del pubblico ufficiale competente. Il legislatore ha in tal modo ampliato la prima delle due ipotesi di conformità della copia disciplinate dall’art. 2719 c.c., lasciando immutata la previsione di cui all’ultima parte della norma: pertanto, nel caso in cui, per difetto dei requisiti di legge, la copia non possa ritenersi conforme all’originale, l’efficacia della copia andrà comunque verificata tenendo conto se vi sia stato l’espresso disconoscimento della conformità all’originale.

2/b – Nella specie la Corte territoriale ha rilevato che l’avvocato ricevente della fotocopia dell’atto di appello era solo domiciliatario e allo stesso non era stata conferita dalla parte la procura ex art. 83 c.p.c., per cui difettava la condizione di cui alla L. n. 183 del 1993, art. 1, lett. a): nella sentenza impugnata si rilevava, altresì, che “la difesa dell’appellante, preso atto del rilievo mosso dall’avvocatura dello Stato, ha negato il vizio di inesistenza dell’atto rilevando che in difetto di un esplicito disconoscimento della sua conformità all’originale ex art. 2719 cod. civ., da effettuarsi eventualmente con la memoria di costituzione ai sensi del combinato disposto degli artt. 215 n. 2, 416 e 436 c.p.c., l’atto stesso deve presumersi conforme all’originale”. Ma, anche in relazione alle cennate argomentazione difensive, la Corte di appello ha statuito che “l’avvocatura dello Stato, costituendosi in giudizio, ha tempestivamente disconosciuto la conformità della fotocopia all’originale ……, in particolare pur senza usare una formula sacramentale ha in ogni caso manifestato in modo non equivoco il proprio intendimento di disconoscere l’atto, negando addirittura allo stesso giuridica esistenza ……, detto intendimento è contenuto nella prima difesa utile a seguito della produzione dell’atto stesso”.

Con riferimento al requisito del c.d. “disconoscimento” – che, a parere del ricorrente, la GESTIONE GOVERNATIVA FERROVIE DELLA SARDEGNA non avrebbe operato legittimamente e che, invece, la Corte di appello avrebbe erroneamente ritenuto sussistente mediante “insufficiente e contraddittoria motivazione” – si rimarca che “in tema di prova documentale, l’onere, stabilito dell’art. 2719 c.c., di disconoscere espressamente la conformità tra l’originale della scrittura e la copia fotografica (o fotostatica) prodotta in giudizio, pur non implicando necessariamente l’uso di formule sacramentali, implica che il disconoscimento sia fatto in modo specifico, con una dichiarazione che contenga una non equivoca negazione della genuinità della copia; sicchè la relativa eccezione non può essere formulata in maniera solo generica o dubitativa, ma deve contenere specifico riferimento al documento ed al profilo di esso che venga contestato” (così, ex plurimis, Cass. n. 1264/2006).

Su tale punto la Corte territoriale ha (come si è dianzi constatato) ritenuto che “la difesa della Gestione appellata aveva tempestivamente disconosciuto la conformità della fotocopia all’originale” fornendo al riguardo una corretta e congrua motivazione, per cui l’impugnativa del ricorrente non può essere accolta in quanto “la valutazione dell’idoneità delle espressioni utilizzate dalla parte a configurare un valido disconoscimento di una scrittura privata prodotta contro di essa costituisce giudizio di fatto riservato al giudice del merito, incensurabile in sede di legittimità se congruamente e logicamente motivato” (Cass. n. 11460/2007).

La relazione, quindi, ai pretesi vizi di motivazione sul quale si fondano sostanzialmente le censure del ricorrente vale sinteticamente rilevare che: -) il difetto di motivazione, nel senso di insufficienza di essa, può riscontrarsi soltanto quando dall’esame del ragionamento svolto dal giudice e quale risulta dalla sentenza stessa emerga la totale obliterazione di elementi che potrebbero condurre ad una diversa decisione ovvero l’obiettiva deficienza, del complesso di essa, del procedimento logico che ha indotto il giudice, sulla base degli elementi acquisiti, al suo convincimento, ma non già, invece, – come per le doglianze mosse nella specie dal ricorrente quando vi sia difformità rispetto alle attese ed alle deduzioni della parte sul valore e sul significato attribuiti dal giudice di merito agli elementi delibati; -) il vizio di motivazione sussiste unicamente quando le motivazioni del giudice non consentano di ripercorrere l’iter logico da questi seguito o esibiscano al loro interno non insanabile contrasto ovvero quando nel ragionamento sviluppato nella sentenza sia mancato l’esame di punti decisivi della controversia irregolarità queste che la sentenza impugnata di certo non presenta; -) per poter considerare la motivazione adottata dal giudice di merito adeguata e sufficiente, non è necessario che nella stessa vengano prese in esame (al fine di confutarle o condividerle) tutte le argomentazioni svolte dalle parti, ma è sufficiente che il giudice indichi – come sicuramente ha fatto la Corte di Appello di Cagliari – le ragioni del proprio convincimento, dovendosi in questo caso ritenere implicitamente rigettate tutte le argomentazioni logicamente incompatibili con esse.

3 – In definitiva, il ricorso proposto da M.G. deve essere respinto.

Non è da provvedere sulle spese del giudizio di legittimità nel quale l’intimata “GESTIONE” non ha svolto attività difensiva.

P.Q.M.

La Corte rigetta il ricorso; nulla per le spese del presente giudizio.

Così deciso in Roma, il 13 gennaio 2010.

Depositato in Cancelleria il 29 marzo 2010

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