Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 7521 del 23/03/2017

Cassazione civile, sez. lav., 23/03/2017, (ud. 14/12/2016, dep.23/03/2017),  n. 7521

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE LAVORO

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. D’ANTONIO Enrica – Presidente –

Dott. BERRINO Umberto – Consigliere –

Dott. DORONZO Adriana – Consigliere –

Dott. GHINOY Paola – Consigliere –

Dott. RIVERSO Roberto – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

SENTENZA

sul ricorso 6135-2011 proposto da:

F.V. C.F. (OMISSIS), domiciliato in ROMA, PIAZZA

CAVOUR, presso la cancelleria della Corte di Cassazione,

rappresentato e difeso dall’Avvocato RAFFAELE FERRARA, giusta delega

in atti;

– ricorrente –

contro

I.N.P.S. – ISTITUTO NAZIONALE PREVIDENZA SOCIALE C.F. (OMISSIS), in

persona del legale rappresentante pro tempore, elettivamente

domiciliato in ROMA, VIA CESARE BECCARIA 29, presso l’Avvocatura

Centrale dell’Istituto, rappresentato e difeso dagli Avvocati

VINCENZO TRIOLO, ANTONIETTA CORETTI, VINCENZO STUMPO, EMANUELA DE

ROSE, giusta delega in atti;

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 6576/2009 della CORTE D’APPELLO di NAPOLI,

depositata il 17/02/2010 R.G.N. 9144/2006;

udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del

14/12/2016 dal Consigliere Dott. RIVERSO ROBERTO;

udito l’Avvocato STUMPO VINCENZO;

udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott.

SANLORENZO RITA che ha concluso per il rigetto del ricorso.

Fatto

SVOLGIMENTO DEL PROCESSO

Con sentenza n. 6576/2011 la Corte d’Appello di Napoli rigettava l’appello proposto da F.V. avverso la sentenza di primo grado che aveva rigettato la sua domanda intesa ad ottenere il riconoscimento del diritto all’indennità di mobilità della L. n. 223 del 1991, ex artt. 16 e 7, a seguito della cessazione del rapporto di lavoro intervenuta con la TOP MODE srl della quale era stato dipendente dal primo ottobre 1998 al 31 dicembre 1998.

A fondamento della decisione la Corte rilevava che il ricorrente era decaduto dalla domanda avendo presentato la richiesta in sede amministrativa in data 17.12.2001, ben oltre il termine previsto dalla legge, di 68 giorni dalla cessazione del rapporto.

Avverso detta pronuncia ha proposto ricorso per cassazione F.V. affidandosi a due motivi. L’INPS resiste con controricorso illustrato da memoria.

Diritto

MOTIVI DELLA DECISIONE

1. Con il primo motivo, il ricorso denuncia violazione e falsa applicazione dell’art. 7 comma 12 della legge 223/1991 in relazione all’art. 14 disp. legge in generale, R.D.L. n. 1827 del 1935, artt. 73 e 129, per avere la sentenza erroneamente applicato il termine di decadenza di 68 giorni, previsto per l’indennità di disoccupazione, al pagamento dell’indennità di mobilità.

1.1. Il motivo è privo di fondamento in quanto la giurisprudenza consolidata è nel senso che anche per l’indennità di mobilità sia necessaria la domanda dell’interessato da presentare nei termini previsti per indennità di disoccupazione.

Secondo l’orientamento fatto proprio anche dalle Sez. U. (sentenza n. 17389 del 06/12/2002), infatti, “l’indennità di mobilità, di cui alla L. 23 luglio 1991, n. 223, art. 7, costituisce un trattamento di disoccupazione che ha la sua fonte nella legge, ma non sorge nel lavoratore in via automatica, presupponendo, come tutti i trattamenti previdenziali, la presentazione di una domanda all’INPS – che non potrebbe altrimenti attivarsi non conoscendo le relative condizioni entro i termini di decadenza stabiliti dalla normativa in materia di disoccupazione involontaria, applicabile per l’indennità di mobilità in virtù dello specifico richiamo operato nel comma dodicesimo del citato art. 7 (sì che tale normativa deve considerarsi inserita a tutti gli effetti formali e sostanziali nella nuova norma istitutiva dell’ indennità di mobilità), così com’è dimostrato, d’altra parte, dalla disposizione di cui alla L. 23 maggio 1997, n. 135, art. 20 – ter, che ha introdotto una sanatoria per le domande di concessione dell’ indennità presentate anteriormente al 31 marzo 1992, per le quali si fosse già avverata la “decadenza” dal relativo diritto. (Nello stesso senso, Cass. sentenza n. 18528 del 09/09/2011; e n. 27674 del 20/12/2011).

2. Il secondo motivo denuncia violazione e falsa applicazione della L. n. 223 del 1991, art. 7 comma 12, in quanto nella fattispecie il lavoratore aveva dovuto agire in giudizio per farsi riconoscere il rapporto di lavoro eseguito “in nero” e non aveva ricevuto alcuna comunicazione di licenziamento, nè scritta nè orale.

2.1 I secondo motivo è pure privo di fondamento, posto che secondo quanto risulta dalla sentenza impugnata il medesimo lavoratore ricorrente aveva sostenuto nel ricorso introduttivo che il suo rapporto di lavoro fosse cessato il 31.12.2008. Onde, a prescindere dal fatto che si trattasse di un rapporto regolare o irregolare, egli avrebbe dovuto inoltrare tempestiva istanza all’INPS per ottenere l’indennità di mobilità, a decorrere dallo stesso dies a quo sopraindicato come data di cessazione del rapporto (se del caso, in uno con la denuncia di irregolarità del rapporto). Non rilevando a tal fine la natura regolare o meno del rapporto e neppure il modo (formale o meno) attraverso cui si fosse prodotta la fattispecie estintiva del rapporto: una volta assodato (per ammissione dello stesso lavoratore) che il rapporto di lavoro fosse cessato il 31.12.1998.

2.2. A nulla può rilevare perciò che il rapporto di lavoro sia stato riconosciuto giudizialmente in data successiva ed il ricorrente ammesso al passivo.

2.3. Oltretutto che la stessa allegazione di aver svolto “in nero” il rapporto di lavoro – con le conseguenze che il lavoratore vorrebbe trarne circa lo spostamento in aventi del dies a quo – risulta effettuata solo in appello ed era perciò tardiva, per come correttamente eccepito dall’INPS.

3. Le considerazioni sin qui svolte impongono dunque di rigettare il ricorso e di condannare la ricorrente, rimasta soccombente, al pagamento delle spese del giudizio di cassazione, liquidate in dispositivo.

PQM

La Corte rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese del giudizio di legittimità che liquida in complessivi Euro 1300 di cui Euro 1100 per compensi professionali, oltre 15% di spese generali ed oneri accessori.

Così deciso in Roma, nella Camera di Consiglio, il 14 dicembre 2016.

Depositato in Cancelleria il 23 marzo 2017

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