Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 7521 del 08/03/2022

Cassazione civile sez. II, 08/03/2022, (ud. 10/12/2021, dep. 08/03/2022), n.7521

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SECONDA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. DI VIRGILIO Rosa Maria – Presidente –

Dott. TEDESCO Giuseppe – Consigliere –

Dott. SCARPA Antonio – Consigliere –

Dott. BESSO MARCHEIS Chiara – Consigliere –

Dott. LA BATTAGLIA Luigi – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 8744-2017 proposto da:

R.G., rappresentato e difeso dagli avv. MARCO MASALA, e

LORENZA TABACCHI, per procura in calce al ricorso;

– ricorrente –

contro

S.G., rappresentato e difeso dagli avv. GIANCARLO

CICIANI, e MAURO GIANNINI, per procura in calce al controricorso;

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 526/2017 della CORTE D’APPELLO di ROMA,

depositata il 26/1/2017;

udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del

10/12/2021 dal Consigliere Dott. LUIGI LA BATTAGLIA.

 

Fatto

MOTIVI IN FATTO ED IN DIRITTO DELLA DECISIONE

1. Allegandone l’inadempimento all’obbligo di pagamento del prezzo nei termini pattuiti, il promittente venditore S.G. evocava in giudizio, dinanzi al Tribunale di Rieti, R.G., chiedendo che fosse accertata la legittimità del proprio recesso dal contratto preliminare di compravendita stipulato tra le parti il (OMISSIS), con conseguente diritto a trattenere la somma di Euro 93.000,00, ricevuta a titolo di caparra confirmatoria. Costituendosi in giudizio, il promissario acquirente R.G. si opponeva alla domanda avversaria, proponendo, a sua volta, domanda riconvenzionale per l’accertamento della legittimità del proprio recesso, con conseguente diritto ad incassare il doppio della caparra versata al momento della conclusione del contratto preliminare de quo. Deduceva che il preliminare aveva ad oggetto un bene incommerciabile (in quanto costruito in difformità dalla concessione edilizia) e non era corredato dalle planimetrie L. n. 52 del 1985, ex art. 29, comma 1-bis, e che il promittente venditore non aveva proceduto alla cancellazione dell’ipoteca gravante sull’immobile, alla quale pure s’era obbligato in seno al preliminare medesimo.

Il Tribunale di Rieti accoglieva la domanda principale, con sentenza che il R. impugnava dinanzi alla Corte d’Appello di Roma. Sosteneva l’appellante che la fattispecie dovesse essere qualificata in termini di aliud pro alio, avendo avuto il contratto ad oggetto un immobile privo della licenza di abitabilità, e che del tutto inefficace dovesse considerarsi la pattuizione che poneva, in capo al promittente venditore, l’obbligo di provvedere al mutamento della destinazione d’uso dei vani accatastati come magazzini, in quanto posta in essere in violazione di norme imperative. Prospettava, inoltre, la nullità del preliminare per illiceità dell’oggetto, ai sensi della L. n. 47 del 1985, art. 40.

La Corte d’Appello di Roma, con la sentenza in questa sede impugnata, rigettava l’appello e confermava la pronuncia di primo grado, sottolineando la piena efficacia della rinuncia al requisito dell’abitabilità dell’immobile, contenuta nella scrittura integrativa intercorsa tra le parti (datata (OMISSIS)); l’impredicabilità della nullità L. n. 47 del 1985, ex art. 40 relativamente ai contratti con effetti obbligatori (quale, appunto, il contratto preliminare); l’inconfigurabilità della nullità per impossibilità dell’oggetto, al cospetto di una “lieve difformità” urbanistica sanabile (come quella occorsa nel caso di specie, “ove l’irregolarità consisteva nella chiusura del portico contenente la scala di accesso al piano inferiore”); l’applicabilità della L. n. 52 del 1985, art. 29, comma 1-bis, al solo contratto definitivo.

Per la cassazione di tale sentenza ha proposto ricorso R.G. sulla base di quattro motivi.

S.G. ha depositato controricorso.

Preliminarmente, sotto il profilo dell’ammissibilità del ricorso, si rileva che il ricorrente ha depositato, ai sensi dell’art. 369 c.p.c., comma 2, n. 2, unitamente alla copia autentica della sentenza impugnata, anche la relativa relazione di notificazione. 2. Il primo motivo di ricorso denuncia la violazione o falsa applicazione della L. n. 47 del 1985, artt. 17 e 40 (e dell’art. 46 T.U. edilizia). Evidenzia, il ricorrente, che la nullità in discorso non può che applicarsi anche al contratto preliminare, almeno ogniqualvolta – come nel caso di specie – le parti abbiano a priori escluso la possibilità di sanatoria nelle more della conclusione del definitivo, stabilendo che il fabbricato sarebbe rimasto nello stato in cui si trovava. In ogni caso, l’eventuale sanabilità della difformità urbanistica sarebbe dovuta essere eccepita dal convenuto, con conseguente necessità, per il giudice di merito, di disporre una consulenza tecnica d’ufficio per accertarne l’effettiva sussistenza.

3. Il secondo motivo di ricorso denuncia la violazione e falsa applicazione dell’art. 1346 c.c. e art. 1418 c.c., comma 2, e l’omesso esame di un fatto decisivo ex art. 360 c.p.c., n. 5, con riguardo alla mancata statuizione di nullità del contratto preliminare in questione, per impossibilità dell’oggetto. Si deduce che, a prescindere dall’effettiva sanabilità della difformità edilizia presente nell’immobile, ciò che rileva, ai fini dell’integrazione della richiamata fattispecie di nullità, è che le parti avessero concordato di lasciarla immutata fino al momento della conclusione del contratto definitivo. D’altra parte, in assenza di qualsivoglia accertamento tecnico, la Corte di merito non si era messa nelle condizioni di apprezzare la reale entità della difformità dello stato dei luoghi rispetto alla concessione edilizia, limitandosi a compiere una valutazione di irrilevanza arbitrariamente circoscritta alla difformità consistente nella chiusura di un porticato.

4. Il terzo motivo di ricorso deduce la violazione o falsa applicazione dell’art. 1343 c.c. e art. 1418 c.c., comma 2, per non aver dichiarato nullo il contratto per illiceità della causa, avendo inteso le parti immettere nella circolazione giuridica un bene irregolare, del quale avrebbero dovuto falsamente attestare la regolarità in sede di contratto definitivo.

5. I motivi, che possono esaminarsi congiuntamente in quanto connessi, sono infondati.

Nel contratto preliminare si legge, all’art. 4, che “la parte promittente venditrice garantisce (..) che quanto promesso in vendita è stato edificato giusta licenza edilizia n. (OMISSIS) rilasciata dal Comune di (OMISSIS) e che successivamente all’epoca della costruzione su quanto in oggetto non sono state apportate modifiche, varianti, mutamenti di destinazione d’uso o eseguite opere soggette al rilascio di licenza, concessione o autorizzazione edilizia e che nessun provvedimento sanzionatorio è stato adottato, relativamente all’immobile promesso in vendita, ai sensi della L. n. 47 del 1985, art. 41”. Il caso e’, dunque, quello della difformità dello stato di fatto rispetto a una concessione edilizia esistente (e non quello della totale assenza di concessione). In argomento, Cass., S.U., n. 8230/2019, ha affermato che “la nullità comminata dal D.P.R. n. 380 del 2001, art. 46 e dalla L. n. 47 del 1985, artt. 17 e 40 va ricondotta nell’ambito dell’art. 1418 c.c., comma 3 di cui costituisce una specifica declinazione, e deve qualificarsi come nullità “testuale”, con tale espressione dovendo intendersi, in stretta adesione al dato normativo, un’unica fattispecie di nullità che colpisce gli atti tra vivi ad effetti r. elencati nelle norme che la prevedono; volta a sanzionare la mancata inclusione in detti atti degli estremi del titolo abilitativo dell’immobile, titolo che, tuttavia, deve esistere realmente e deve esser riferibile, proprio, a quell’immobile. Pertanto, in presenza nell’atto della dichiarazione dell’alienante degli estremi del titolo urbanistico, reale e riferibile all’immobile, il contratto è valido a prescindere dal profilo della conformità o della difformità della costruzione realizzata al titolo menzionato”. Anche a voler incentrare l’attenzione sull’entità dell’abuso edilizio, non può trascurarsi di notare che – come affermato da Cass., n. 11659/2018 – “può essere pronunciata sentenza di trasferimento coattivo ex art. 2932 c.c. nel caso in cui l’immobile abbia un vizio di regolarità urbanistica non oltrepassante la soglia della parziale difformità rispetto alla concessione, dovendosi distinguere, anche quando sia stata presentata istanza di condono edilizio con versamento della somma prevista per l’oblazione e la pratica non sia stata definita, tra ipotesi di abuso primario, relativo a beni immobili edificati o resi abitabili in assenza di concessione, e abuso secondario, caratterizzato dalla circostanza che solo una parte di unità immobiliare già esistente abbia subito modifica o mutamento di destinazione d’uso”. Tali considerazioni (afferenti alla conclusione di un contratto – o alla pronuncia di una sentenza costitutiva immediatamente traslativi del diritto di proprietà) incidono, sia pure indirettamente, sulla fattispecie in esame, concernente la validità di un contratto preliminare. Con riguardo a tale schema negoziale, peraltro, nella giurisprudenza di questa Corte si è consolidato l’orientamento – dal quale non v’e’ ragione di discostarsi – secondo cui “la sanzione della nullità prevista dalla L. n. 47 del 1985, art. 40 per i negozi relativi a immobili privi della necessaria concessione edificatoria trova applicazione ai soli contratti con effetti traslativi e non anche à quelli con efficacia obbligatoria, quale il preliminare di vendita, non soltanto in ragione del tenore letterale della norma, ma anche perché la dichiarazione di cui all’art. 40, comma 2 medesima legge, in caso di immobili edificati anteriormente all’1 settembre 1967, o il rilascio della concessione in sanatoria possono intervenire successivamente al contratto preliminare (..)” (Cass., n. 6685/2019; si vedano anche, nello stesso senso, Cass., n. 21942/2017; Cass., n. 28456/2013, oltre che la stessa Cass., S.U., n. 8230/2019, al punto 6.6. della motivazione). Nell’illustrazione del secondo e del terzo motivo di ricorso, il ricorrente sottolinea l’aspetto della comune intenzione delle parti (espressa nella scrittura integrativa del (OMISSIS)) di non procedere alla sanatoria, ripromettendosi inoltre di dichiarare, in sede di stipula del contratto definitivo, che il bene non presentava irregolarità dal punto di vista urbanistico-edilizio.

Tale aspetto renderebbe il contratto preliminare nullo per impossibilità dell’oggetto, ovvero per illiceità della causa concreta. Quanto detto sopra, con riferimento alla validità del contratto (definitivo) di compravendita di un immobile affetto da difformità, il quale purtuttavia rechi l’indicazione della concessione edilizia (effettivamente esistente), smentisce però tale ricostruzione. L’eventuale mendacio relativo alla conformità del bene non riguarda, infatti, l’esistenza (non in discussione) della concessione edilizia, e tanto basta per garantire la circolazione giuridica del bene stesso. Pertanto, non si configura l’assunzione dell’obbligo reciproco di concludere un contratto nullo, prospettata dal ricorrente a pag. 12 del ricorso.

6. Il quarto motivo di ricorso prospetta la violazione o falsa applicazione della L. n. 52 del 1985, art. 29, comma 1-bis, per avere la sentenza di merito escluso che la nullità de qua potesse configurarsi anche relativamente al contratto preliminare, come conseguenza della violazione di una norma imperativa posta a tutela dell’interesse pubblico. Anche relativamente a tale motivo, appare sufficiente richiamare la giurisprudenza di questa Corte, secondo la quale “le indicazioni circa la c.d. conformità catastale oggettiva, ovvero l’identificazione catastale del bene, il riferimento alle planimetrie depositate in catasto, la dichiarazione o attestazione di conformità dei dati catastali e delle planimetrie allo stato di fatto, previste dalla L. n. 52 del 1985, art. 29, comma 1 bis, aggiunto dal D.L. n. 78 del 2010, art. 19, comma 14, convertito, con modificazioni, dalla L. n. 122 del 2010, a pena di nullità del contratto di trasferimento immobiliare, devono sussistere, quali condizioni dell’azione, nel giudizio di trasferimento giudiziale della proprietà degli immobili mediante sentenza emessa ai sensi dell’art. 2932 c.c., anche in relazione ai processi instaurati prima dell’entrata in vigore del D.L. n. 78 del 2010”. Dal che può agevolmente desumersi che la prescrizione in discorso non possa riguardare un contratto avente effetti meramente obbligatori, come del resto esplicitato nella motivazione della pronuncia appena citata, dove si legge: “la disposizione introdotta dall’art. 19, comma 14, di tale decreto riguarda i contratti traslativi e non i contratti ad effetti obbligatori, come fatto palese dalla lettera della legge, che contempla esclusivamente “gli atti pubblici e le scritture private autenticate tra vivi aventi ad oggetto il trasferimento, la costituzione o lo scioglimento di comunione di diritti reali””.

7. Poiché il ricorso è stato proposto successivamente al 30 gennaio 2013 ed è rigettato, sussistono le condizioni per dare atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato, pari a quello, bve dovuto, previsto per il ricorso, a norma D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1-bis.

P.Q.M.

Rigetta il ricorso;

condanna il ricorrente al pagamento delle spese del giudizio di Cassazione, che liquida in complessivi Euro 7.500,00, di cui Euro 200,00 per esborsi, oltre ad accessori di legge;

ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte del ricorrente, di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato, pari a quello previsto per il ricorso a norma dello stesso art. 13, comma 1 bis se dovuto.

Così deciso in Roma, nella camera di consiglio, il 10 dicembre 2021.

Depositato in Cancelleria il 8 marzo 2022

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