Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 7521 del 01/04/2014


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Civile Sent. Sez. 3 Num. 7521 Anno 2014
Presidente: RUSSO LIBERTINO ALBERTO
Relatore: RUBINO LINA

SENTENZA

sul ricorso 17812-2010 proposto da:
UNICREDIT CREDIT MANAGEMENT BANK S.P.A., banca con
socio unico ed appartenente al Gruppo Bancario
Unicredit, in persona del Quadro Direttivo Dott.ssa
MARIA FELICIA VINCELLI, fusa per incorporazione alla
ASPRA FINANCE S.P.A., elettivamente domiciliata in
ROMA, VIA TIRSO 101, presso lo studio dell’avvocato
DE BONIS ARMANDO, che la rappresenta e difende giusta
procura speciale del Dott. Notaio DARIA ZAPPONE in
ROMA 19/11/2013, REP. n. 4480a;
– ricorrente –

Data pubblicazione: 01/04/2014

contro

CARIGLIA VINCENZA CRGVCN60S41G713I, in qualità di
erede dell’On.le ANTONIO CARIGLIA, elettivamente
domiciliata in ROMA, VIA CELIMONTANA 38, presso lo
studio dell’avvocato PANARITI BENITO, che la

STANGHELLINI TOMMASO giusta procura speciale in
calce;
CUOJATI GIOVANNI, elettivamente domiciliato in ROMA,
VIA R.R.PEREIRA 78, presso lo studio dell’avvocato LO
RETO ANTONIO, che lo rappresenta e difende giusta
delega a margine;
CARIA

FILIPPO

CRAFPP25H21H501R,

elettivamente

domiciliato in ROMA, VIA NIZZA 59, presso lo studio
dell’avvocato DI AMATO ASTOLFO, che lo rappresenta e
difende giusta procura speciale a margine;
– controricorrenti nonchè contro

CIAMPAGLIA ALBERTO,

NICOLAllI

FRANCO,

CARIGLIA

ANTONIO, PARTITO SOCIALISTA DEMOCRATICO ITALIANO;
– intimati nonchè contro

BONO PARRINO VINCENZA, elettivamente domiciliata in
ROMA,

VIA DEL CORSO

dell’avvocato

160,

presso
RAFFAELLO,

ALESSANDRINI

lo

studio
che

la

rappresenta e difende giusta procura speciale del

2

rappresenta e difende unitamente all’avvocato

dott.

Notaio

FRANCESCO

INCARDONA,

in

ALCAMO

16/11/2010, REP. 178120;
– resistente con procura speciale –

avverso la sentenza n. 2160/2009 della CORTE
D’APPELLO di ROMA, depositata il 21/05/2009, R.G.N.

udita la relazione della causa svolta nella pubblica
udienza del 09/01/2014 dal Consigliere Dott. LINA
RUBINO;
udito l’Avvocato STEFANO VITI per delega;
udito l’Avvocato TOMMASO STANGHELLINI;
udito l’Avvocato ANTONIO LO RETO;
udito l’Avvocato BENITO PANARITI;
udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore
Generale Dott. CARMELO SGROI che ha concluso per il
ric. c/ Cariglia: inammissibilità; ric. c/ Cuojati e
Ciampaglia rigetto 1 ° ,

e

3 0 motivo,

inammissibilità 4 ° e 5 ° .
Ric. c/ Caria, Bono Parrino e Nicolazzi: rigetto l ° e
2 ° motivo, inammissibilità 4 ° e 5 ° e accoglimento del
3 ° motivo;

3

1937/2003+1938/2003+2021/2003+2145/2003;

R.G. 17812\2010

SVOLGIMENTO DEL PROCESSO

Tribunale di Roma il Partito Socialista Democratico Italiano (in prosieguo indicato come
PSDI) ed alcuni suoi esponenti: i sigg. Franco Nicolazzi ed Antonio Cariglia, che di quel
partito erano stati in tempi diversi segretari politici, i sigg. Alberto Ciampaglia e Giovanni
Cuojati, che pure in tempi diversi avevano ricoperto la carica di segretario
amministrativo, ed i sig.ri Filippo Caria e Vincenza Bono Parrino , che erano stati a capo,
rispettivamente, del gruppo parlamentare del PSDI alla Camera dei deputati ed al Senato.
La Banca di Roma affermò di essere creditrice del PSDI per l’importo di L.
2.581.583.430 in conseguenza di diverse aperture di credito in conto corrente
concessegli dal marzo 1986 al 1987 su richiesta dell’allora segretario amministrativo del
partito sig. Cuojati G., quando la carica di segretario politico era ricoperta dal sig.
Nicolazzi F. . Nel luglio 1989 i sigg.ri Cariglia , Ciampaglia A. , Caria F. e Bono Parrino ,
nelle suindicate loro qualità, avevano proposto alle varie banche creditrici di
sottoscrivere un accordo in cui, previo risconoscimento dei debiti del partito, se ne
prevedeva la sistemazione mediante la sottoscrizione di un piano di rientro
quinquennale, da finanziare consentendo alla banca di incassare e trattenere gli erogandi
contributi statali in favore del Partito, accordo accettato dalla Banca di Roma come dagli
altri istituti creditori del PSDI. Per i primi quattro anni l’accordo fu regolarmente
adempiuto, mentre non venne pagata l’ultima tranche , probabilmente a causa della
intervenuta abrogazione del finanziamento pubblico ai partiti.
La Banca di Roma, muovendo dal presupposto che i funiatari di tale accordo avessero
anche prestato una garanzia personale e solidale per l’adempimento dell’indicato piano di
sistemazione, chiese la condanna solidale in proprio favore sia del partito che dei suoi
segretari che dei firmatari dell’accordo.
•••

3615

Con atto notificato nel marzo 1997 la Banca di Roma s.p.a. citò in giudizio dinanzi al

Il Tribunale di Roma, con sentenza n. 1802 del 2002, condannò in solido il PSDI,
Filippo Caria, Alberto Ciampaglia e Vincenza Bono Parrino al pagamento in favore
dell’istituto di credito della richiesta somma di lire 2.581.538.430, maggiorata di interessi
dal 1994; rigettò invece la domanda proposta dalla Banca di Roma nei confronti di
F.Nicolazzi, A.Cariglia e G. Cuojati.

nonché da parte di Capitalia, subentrata a Banca di Roma, la Corte d’appello di Roma,
con sentenza n. 2160 del 21 maggio 2009, premesso che nelle more del giudizio era
entrato in vigore l’art. 6 bis della legge n. 157 del 1999, introdotto dall’art. 39 quaterdecies ,
comma 2 lettera d) della legge 23.2.2006 n. 51, respingeva l’appello proposto da
Capitalia s.p.a. ( già Banca di Roma) e, in accoglimento dell’appello proposto da
Ciampaglia Alberto, Bono Parrino Vincenza e Caria Filippo respingeva la domanda
proposta nei loro confronti dalla Banca di Roma s.p.a., ora Capitalia.
In particolare, la corte territoriale faceva immediata applicazione della nuova
disposizione introdotta con l’art. 6 bis alla legge n. 157 del 1999, applicabile per espressa
previsione contenuta nel terzo comma dello stesso articolo ai giudizi in corso, a norma
della quale i creditori dei partiti e movimenti politici partecipanti ad elezioni per il
Parlamento nazionale, per quello europeo o per i consigli regionali “non possono pretendere
direttamente dagli amministratori dei medesimi l’adempimento delle obbligaioni del partito o del
movimento politico se non qualora questi ultimi abbiano agito con dolo o colpa grave”.
La corte territoriale riteneva che la norma avesse inteso individuare nel partito

u

ll’unico soggetto legittimato a rispondere dei debiti assunti per le attività dello stesso, e

di conseguenza dava una interpretazione assai ampia del termine atecnico
“amministratori”, utilizzato dalla legge, comprensiva cioè non solo di coloro che
avessero rivestito la carica formale di amministratori all’epoca della assunzione delle
obbligazioni ma anche dei soggetti che si assumeva avessero agito in nome e per conto
del partito e che sarebbero stati perciò tenuti al pagamento, secondo le ordinarie regole
in materia di obbligazioni. Sulla base della sopravvenuta normativa e di tale lata
interpretazione della norma, affermando che non fosse emersa alcuna prova di un
comportamento gravemente colposo o doloso in capo ai soggetti che ebbero a contrarre
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Impugnata la sentenza di primo grado da parte di Ciampaglia, Bono Panino e Caria,

le obbligazioni e ritenendo assorbito l’esame dei motivi di appello proposti dalla banca,
• la corte territoriale riformava la sentenza di primo grado rigettando la domanda della
banca anche nei confronti del Ciampaglia, del Caria e della Bono Parrino e confermando
il rigetto della domanda nei confronti del Nicolazzi, del Cuojati e del Cavriglia già
disposto in primo grado.
Avverso tale sentenza ha proposto ricorso per cassazione Aspra Finance s.p.a. quale
cessionaria dei crediti di UniCredit s.p.a. (subentrata a Capitalia) e per essa Unicredit
Credit Management Bank s.p.a., formulando cinque motivi di censura.
Hanno resistito, con separati controricorsi, i sigg. Cuojati G., Caria F. e Vincenza
Cariglia, in qualità di erede di Antonio Cariglia.
I sig. Nicolazzi e Ciampaglia, nonché il P.S.D.I., regolarmente intimati, non hanno
svolto attività difensiva.
La signora Bono Panino, anch’essa regolarmente intimata, ha depositato soltanto
procura alle liti.
La signora Vincenza Cariglia ha depositato memoria a norma dell’art. 378 c.p.c..

MOTIVI DELLA DECISIONE

Preliminarmente, va esaminato il motivo di inammissibilità del ricorso principale
sollevato da Vincenza Cariglia. Nel proprio controricorso, Vincenza Cariglia, che si
costituisce in qualità di erede del defunto onorevole Antonio Cariglia, eccepisce

preliminarmente l’inammissibilità del ricorso notificato il 2 luglio 2010 all’on. Antonio
Cariglia presso l’avvocato ove aveva eletto domicilio per il giudizio di appello, in quanto
notificato dopo la morte della parte, verificatasi il 20 febbraio 2010, per difetto di
evocazione nel presente giudizio di impugnazione della giusta parte.
Effettivamente il motivo è fondato, in quanto, come già affermato da questa corte di
legittimità a sezioni unite, ponendo fine ad un ripetuto contrasto giurisprudenziale,
“L’atto di impugnazione della sentena, nel caso di morte della parte vittoriosa, deve essere rivolto e
notificato agli eredi, indipendentemente sia dal momento in cui il decesso è avvenuto, sia dalla eventuale
5

n

ignoratka dell’evento, anche se incolpevole, da parte del soccombente; ove l’impugnnione sia proposta
invece nei confronti del defunto, non può trovare applicazione la disciplina di cui all’art. 291 cod. proc.
civ. (Principio enunciato dalla 5. C. in riferimento ad un giudkio inkiato in epoca anteriore alla legge
26 novembre 1990, n. 353)” (Cass. S.U. n. 26279 del 2009).
La inammissibilità della impugnazione, notificata alla parte deceduta, non può ritenersi

controricorso oltre un anno dopo la pubblicazione della sentenza , termine ultimo entro
il quale può avvenire la sanatoria ( sentenza pubblicata il 21.5.2009, controricorso
notificato il 21.9.2010) , come indicato sempre da Cass. n. 26279 del 2009, che richiama
Cass. n. 11394 del 1996.
Ne consegue che la sentenza della corte d’appello di Roma impugnata è definitivamente
passata in giudicato in riferimento alla posizione dell’on. Antonio Cariglia.
Con il primo motivo di ricorso, la banca ricorrente chiede la remissione alla Corte di
Giustizia dell’art. 6 bis della legge n. 157 del 1999 introdotto dall’art. 34 quaterdecies
comma 2 lett. D) della legge 23.2.2006 n. 51, che ha disposto che i creditori dei partiti e
dei movimenti politici “non possono pretendere direttamente dagli amministratori dei medesimi
l’adempimento delle obblignioni del partito e movimento politico se non qualora questi ultimi abbiano
agito con dolo o colpa grave” nella interpretazione di esso data dalla Corte d’appello con la
sentenza impugnata, n. 2160 del 2009 perché ne esamini il contrasto con le disposizioni
di cui agli artt. 87 e ss. del trattato CE relative alla incompatibilità con il mercato comune
degli aiuti concessi dagli Stati sotto qualsiasi forma allorchè gli stessi creino un
ingiustificato regime di favore nei confronti di alcuni soggetti e\ o persone giuridiche
operanti in uno Stato membro a discapito dei medesimi soggetti e\ o persone giuridiche
operanti in altro Stato membro. In particolare, sostiene il ricorrente, l’ingiustificato
esonero di responsabilità in favore degli amministratori dei partiti politici e movimenti
politici che abbiano contratto obbligazioni in loro nome e per conto si traduce
sostanzialmente in un aiuto di natura economica incompatibile con il dettame degli artt.
87 e 88 del Trattato CE, in quanto pone illegittimamente tali amministratori in una
posizione privilegiata e di assoluto favore rispetto ai loro omologhi degli altri stati
membri.
6

sanata dalla costituzione dell’erede, in quanto essa è avvenuta mediante notifica del

Il motivo va rigettato.
In relazione alla richiesta di rinvio per interpretazione pregiudiziale alla Corte di
Giustizia occorre premettere che è ben vero che il testo dell’art. 267 TFUE pone una
distinzione tra giudici di merito e giudici di ultima istanza dalla quale sembra far
discendere che, in caso il rinvio per pregiudizialità sia richiesto al giudice di ultima
istanza, esso non sia libero di valutare se rimettere o meno la questione di pregiudizialità

questione del genere è sollevata in un giudkio pendente davanti a un organo giurisdkionale nazionale,
avverso le cui decisioni non possa proporsi un ricorso giurisdkionale di diritto interno, tale organo
giurisdkionale è tenuto a rivolgersi alla Corte.”
Tuttavia, tale obbligo di rimessione non può essere letto come implicante
l’indiscriminato rinvio, da parte della corte di legittimità, alla Corte di Giustizia di
qualsiasi questione pregiudiziale di interpretazione di norme dell’Unione che venga
sollevata dalle parti, anche se non motivata, priva di rilevanza nel caso concreto o
manifestamente infondata. La più recente giurisprudenza di legittimità ha recentemente
affermato a sezioni unite, “Il rinvio regiudi:ziale alla Code di Giustkia europea ai sensi dell’art.
267 del Trattato sul funjonamento dell’Unione europea non costituisce un rimedio giuridico esperibile
automaticamente a sola richiesta delle parti, spettando solo al giudice stabilirne la necessità. (Nella
specie, il ricorrente aveva chiesto il rinvio alla Corte di Giusti:-,y.a con riguardo alle di.sposkioni del
Trakato aventi ad oggetto la materia del recupero dei contributi comunitari e la possibilità per gli Stati
membri di perseguire la tutela di pregiudki dell’erario europeo; le 5. U. hanno disatteso l’istarka
evidenziando, tra l’altro, che la suddetta richiesta concretivava una anomala sollecitazione alla Code di
Giusti:zia a riconsiderare la propria consolidata giurisprudena)”(Cass. S.U. n. 20701 del 2013).
Può dirsi che la Corte di legittimità, dinanzi alla quale venga sollevata la questione di
rimessione per pregiudizialità alla Corte di Giustizia affinché dia l’interpretazione di
norme dell’Unione Europea, ha un potere-dovere di delibare la questione, al fine di
impegnare la Corte di Giustizia soltanto con questioni che siano effettivamente rilevanti
e necessarie ai fini della decisione, ovvero che siano pertinenti e rilevanti nel caso
concreto, non siano già state sollevate in riferimento a fattispecie analoghe (Cass. n. 4667
del 2012), non siano manifestamente infondate (Cass.n. 15003 del 2013) e non siano
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all’esame della Corte di Giustizia, ma sia tenuto ad effettuare la rimessione : “Quando una

volte impropriamente a sollecitare un mutamento di un consolidato orientamento
giurisprudenziale da parte della Corte di Giustizia in senso favorevole al richiedente
(Cass. S.U. n. 20701 del 2013).
Nel caso di specie, la questione è manifestamente infondata in quanto ciò che prospetta
il ricorrente è una violazione della normativa comunitaria ( l’art. 87 del Trattato CE(ora

l’incompatibilità con il mercato interno, nella misura in cui incidano sugli scambi tra Stati
membri, degli “aiuti concessi dagli Stati, ovvero mediante risorse statali, sotto qualsiasi
forma che, favorendo talune imprese o talune produzioni falsino o minaccino di falsare
la concorrenza”. Si tratta di una normativa dettata per tutelare la libera concorrenza
negli scambi commerciali tra stati membri, che si applica quando uno Stato membro
pratichi un regime di particolare favore a vantaggio di talune imprese o produzioni in
modo tale da favorirle a discapito di analoghe imprese di altri Stati operanti nel
medesimo settore di mercato. Il concetto di impresa nell’ambito dell’Unione fa
riferimento alla nozione economica, comune agli Stati, di entità che eserciti un’attività
economica volta alla produzione o allo scambio di beni e servizi, piuttosto che alla
nozione giuridica, che può variare da Stato a Stato. E’ evidente che un partito politico
non sia riconducibile neppure a questa lata accezione di impresa, non esercitando alcuna
attività economica né imprenditoriale e che quindi essi rimangano del tutto al di fuori
dell’ambito di applicazione delle norme richiamate. Inoltre, il beneficio concesso, ovvero
l’esenzione di responsabilità in favore degli amministratori dei partiti politici, non è
idoneo ad alterare la concorrenza o ad incidere sugli scambi comunitari proprio in
quanto i partiti politici, non svolgendo attività economica, non operano in un settore del
mercato piuttosto che in un altro né tanto meno in regime di concorrenza economica e
l’aiuto, in questo caso concesso per consentire ai loro amministratori di operare
liberamente, non può incidere su alcun settore di mercato alterandone gli equilibri.
Con il secondo motivo di ricorso l’istituto di credito ricorrente solleva eccezione di
illegittimità costituzionale dell’art. 6 bis della legge n. 157 del 1999 introdotto dall’art. 39
quaterdecies, comma 2 lett. D) della legge 23.2.2006 n. 51, rispetto agli artt. 3, 41 e 42
Cost.
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art. 107 del Trattato sul funzionamento dell’Unione Europea) che prevede

• Anche questo motivo è infondato.
• La questione è già stata esaminata e decisa da questa corte che, con sentenza n. 14612 del
2009, dal cui arresto motivazionale sul punto non vi è ragione di discostarsi, l’ha ritenuta
manifestamente infondata. Come già osservato da Cass. n. 14612 del 2009, infatti, se è
vero che l’esonero da responsabilità degli amministratori dei partiti e movimenti politici,

come è stato previsto dal citato art. 6-bis, dà vita ad un regime speciale rispetto alla
regola generale ricavabile dall’art. 38 c.c., è anche vero che i partiti ed i movimenti
politici, pur se giuridicamente riconducibili alla figura delle associazioni non riconosciute,
hanno innegabilmente caratteristiche e finalità affatto peculiari. Basta a dimostrano
l’espresso richiamo contenuto nell’art. 49 Cost., che istituisce un chiaro collegamento tra
l’attività dei partiti, in cui tutti i cittadini hanno diritto di associarsi liberamente, ed il
metodo democratico con il quale si determina la politica nazionale. Di modo che la
previsione di regole peculiari, destinate ad agevolare l’attività dei partiti in vista del
perseguimento delle su accennate loro finalità, non può essere di per sè sola considerata
una violazione del canone di uguaglianza, fintantoché quelle regole appaiano funzionali
alla realizzazione del suindicato intento agevolativo e non ledano irragionevolmente
contrapposti interessi di pari rango costituzionale. Entro tali limiti, che nel caso in esame
non appaiono superati – stante la possibilità per i creditori di ricorrere ad un apposito
fondo di garanzia per bilanciare il venir meno della garanzia personale degli
amministratori, sulla quale essi avrebbero altrimenti potuto contare in presenza delle
condizioni richieste dall’art. 38 c.c. -, la scelta compiuta rientra nella discrezionalità del
legislatore e non appare perciò in alcun modo sindacabile.
Anche il richiamo agli artt. 41 e 42 Cost., non sembra produttivo, ai fini di dimostrare
l’illegittimità della norma in discussione, che di per sè non lede in alcun modo la libera
iniziativa economica dei privati. Nè si vede come a diversa conclusione potrebbe
condurre il carattere retroattivo, che a tale norma il legislatore ha inteso attribuire con la
previsione, contenuta nel terzo comma del predetto articolo, in base alla quale la nuova
disciplina è immediatamente applicabile anche ai procedimenti in corso, non essendo per

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per le obbligazioni contratte in nome e per conto di tali organizzazioni collettive, così

il resto il regime di retroattività incompatibile con disposizioni non aventi contenuto
sanzionatorio.
Con il terzo motivo di ricorso l’istituto di credito ricorrente denuncia la violazione e
falsa applicazione dell’art. 6 bis della legge n. 159 del 1999 introdotto dall’art. 39
quaterdecies, comma 2 lett. D) della legge 23.2.2006 n. 51 ai sensi dell’art. 360 n.3 c.p.c.

“amministratori dei partiti” atta a ricondurvi non solo i soggetti che, all’interno del
partito o del movimento abbiano rivestito la carica di amministratore ma anche tutti quei
soggetti che abbiano agito in nome e per conto del partito e che come tali sarebbero
tenuti al pagamento in base alle ordinarie regole in tema di obbligazioni. La ricorrente
sottolinea che proprio perché l’art. 6 bis introduce una norma eccezionale, derogatoria
rispetto alla disciplina civilistica dettata dall’art. 38 c.c., deve essere interpretata
restrittivamente e cita a sostegno della sua ipotesi interpretativa le due precedenti letture
della norma già fornite da questa corte di legittimità con le sentenze n. 14612 del 2009 e
982 del 2010. Inoltre, la ricorrente lamenta che i giudici di seconde cure, adottando la
sopra indicata lata interpretazione della categoria dei soggetti che ex art 6 bis non
possono essere gravati di responsabilità per le obbligazioni assunte in nome e per conto
dei partiti politici di appartenenza, hanno del tutto omesso di verificare in che veste
ciascuno dei soggetti coinvolti abbia assunto le obbligazioni pecuniarie per cui è causa.
Il motivo di ricorso è fondato.
Come già affermato da questa corte di legittimità con le citate sentenze n. 14612 del 2009
e 982 del 2010, è evidente il carattere eccezionale della disposizione, il che ne esclude
ogni possibile applicazione analogica e suggerisce di adottare al riguardo un criterio di
stretta interpretazione. Ciò si riflette immediatamente sull’individuazione della portata
della norma in esame ed, in particolare, sull’individuazione dei soggetti che, pur avendo
assunto obbligazioni in nome e per conto del partito, sono esonerati dalla relativa
responsabilità. Il regime generale applicabile alle obbligazioni contratte in nome e per
conto di un partito politico, posto che i partiti politici, come già dianzi si accennava,
sono di regola riconducibili al genus delle associazione non riconosciute (cfr., tra le altre,
Cass. n. 17921 del 2007 e n. 26 del 2003), prevede che delle obbligazioni assunte in loro
lo

contestando l’interpretazione lata rag giudice di seconde cure alla nozione di

nome e per loro conto dovrebbero rispondere solidalmente e personalmente oltre
all’associazione anche coloro dalla cui azione quelle obbligazioni sono derivate, secondo
l’espressa previsione del citato art. 38 c.c.. Ma siffatta responsabilità – secondo un
orientamento giurisprudenziale ben consolidato – non è collegata alla mera titolarità della
rappresentanza dell’associazione o di una qualche carica pubblica all’interno di essa,
bensì all’attività negoziale concretamente svolta per conto di essa e risoltasi nella

giudizio è gravato dall’onere di provare la concreta attività svolta in nome e nell’interesse
dell’associazione, non essendo sufficiente la prova in ordine alla carica rivestita all’interno
dell’ente (si vedano, tra le tante, Cass. n. 26290 del 2007, n. 25748 del 2007, n. 718 del
2006, n. 8919 del 2004 e n. 5089 del 1998).
L’esonero di responsabilità ora previsto dalla sopravvenuta disposizione della legge
speciale si riferisce, invece, in modo del tutto atecnico, agli “amministratori” dei partiti e
movimenti politici. Nulla consente di ritenere che la parola “amministratori”, nel
menzionato testo di legge, sia volta ad indicare chiunque abbia assunto obbligazioni
verso i terzi in nome e per conto del partito. In difetto di altra più specifica menzione, è
logico ipotizzare che con quell’espressione il legislatore abbia inteso designare coloro cui
fa capo la gestione ed, almeno di regola, la rappresentanza statutaria dell’ente: coloro,
cioè, che istituzionalmente – in forza di poteri loro attribuiti dall’atto costitutivo o dallo
statuto che liberamente disciplina l’ordinamento interno, l’amministrazione e la
rappresentanza dell’associazione (art. 36 c.c.) siano investiti di compiti amministrativi del
partito e come tali agiscano e si presentino anche all’esterno. Quel che spiega il
suaccennato regime speciale di esonero da responsabilità è, come già accennato, la
volontà del legislatore di non far gravare sull’operatività dei partiti le preoccupazioni di
carattere personale che potrebbero altrimenti condizionare l’azione di coloro attraverso i
quali essi agiscono. Un siffatto intento si giustifica se riferito non già a chiunque di volta
in volta eventualmente assuma obbligazioni in nome e per conto dell’ente, bensì soltanto
se si tratta dei soggetti ai quali la gestione del partito fa capo stabilmente e per incarico
istituzionale.

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creazione di rapporti obbligatori con i terzi, con la conseguenza che chi la invoca in

Ne consegue che l’esonero da responsabilità di cui si sta discutendo è destinato ad
• operare solo con riguardo alle obbligazioni in concreto assunte, in nome e per conto del
partito, da un soggetto che operi in veste tale da poter essere considerato amministratore
del partito medesimo in base allo statuto dell’ente, nell’accezione sopra richiamata. Non
altrettanto può dirsi per le obbligazioni assunte da chi, essendo invece privo di detta
veste statutaria e non potendo perciò qualificarsi come “amministratore”, continuerà a

È poi appena il caso di aggiungere che la disposizione esonerativa di cui si sta parlando
non può interferire in alcun modo con eventuali obbligazioni di garanzia da chiunque
volontariamente assunte verso i creditori del partito.
La sentenza impugnata, che utilizza una vasta e indiscriminata nozione di
“amministratori” accomunando in essa sia i soggetti che in concreto hanno agito
assumendo obbligazioni in nome e per conto del partito politico, sia chi aveva cariche
rappresentative, sia chi a vario titolo si è impegnato per il partito, va cassata con rinvio
ad altra sezione della corte di appello di Roma perché, in applicazione del principio di
diritto, già enunciato da questa corte
(Cass. n. 14612 del 2009)

quali degli ex esponenti del PSDI

coinvolti in causa possa godere dell’esenzione di responsabilità ex art. 6 bis citato nella
più ristretta interpretazione fornita da questa corte.
Con il quarto motivo di ricorso l’istituto di credito censura ancora la violazione e falsa
applicazione fatta dalla corte territoriale dell’art. 6 bis della legge n. 159 del 1999
introdotto dall’art. 39 quaterdecies, comma 2 lett. D) della legge 23.2.2006 n. 51 ai sensi
dell’art. 360 n.3 c.p.c. laddove, avendo ritenuto erroneamente applicabile l’esonero da
responsabilità previsto dal predetto articolo a tutti i soggetti che abbiano assunto
obbligazioni in nome e per conto del partito e non soltanto a coloro che abbiano
rivestito la carica formale di amministratori dello stesso, ha altresì affermato che non
sussistessero le prove di un comportamento doloso o gravemente colposo dei soggetti
indicati, tale da escludere l’applicazione della norma. Ritiene infatti l’istituto di credito
che, avendo la corte deciso sulla base del ius superveniens, entrato in vigore nel 2006
rispetto ad una causa iniziata in grado di appello nel 2003, essa avrebbe dovuto rimettere
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risponderne a norma dell’art. 38 c.c..

la causa in istruttoria al fine di permettere alle parti, e alla banca in particolare di meglio
articolare le proprie difese in relazione ai nuovi campi di indagine introdotti dalla nuova
legge, ed in particolare alla configurabilità del dolo o della colpa in capo a chi aveva agito
per il partito socialdemocratico, articolando mezzi di prova e producendo documenti,
attività che per causa ad essa non imputabile la ricorrente non aveva potuto svolgere
all’inizio del giudizio di secondo grado.

Anche questo motivo di ricorso è fondato e va accolto.
Dalla sentenza di appello emerge effettivamente che la corte ha deciso prendendo in
esclusiva considerazione la nuova normativa, entrata in vigore “nelle more
dell’appello”,come riferisce la sentenza impugnata, ovvero successivamente alla
costituzione delle parti e allo svolgimento dell’udienza di trattazione ex art. 350 c.p.c.,
senza che la questione sia stata sottoposta previamente all’attenzione delle parti
sollecitando il contraddittorio sul punto e consentendo loro di integrare l’esercizio del
diritto di difesa in relazione al nuovo tema di indagine introdotto dalla normativa ed in
particolare senza consentire alla banca, appellante ed odierna ricorrente, di offrire la
prova in ordine all’esistenza del dolo della colpa grave in capo agli amministratori del
PSDI, ovvero di provare il fatto estintivo dell’esonero da responsabilità. Si tratta di una
questione del tutto nuova, scaturente esclusivamente dalla nuova normativa e sulla quale
la banca non poteva evidentemente aver chiesto, all’inizio del giudizio di appello, di
essere ammessa a svolgere nuova attività istruttoria. Non rileva in contrario il fatto che
non risulti che la banca abbia chiesto all’udienza di precisazione delle conclusioni di
formulare nuove difese o di articolare nuove istanze istruttorie in ordine a questo tema,
chiedendo una rimessione in termini alla corte di appello, in quanto la questione non era
stata precedentemente discussa né sollevata e non può ritenersi che fosse onere della
ricorrente sollecitare in prima persona un possibile allargamento del thema decidendum
evidenziando al giudice e a tutte le altre, contrapposte parti del giudizio l’entrata in
vigore di una nuova normativa a sé pregiudizievole, allo scopo di poter integrare le
proprie difese. E’ il giudice che, qualora ritenga di dover porre a base della propria
decisione una normativa nuova ma immediatamente applicabile, come nella specie
(ovvero una questione rilevabile d’ufficio mai in precedenza sollevata nel corso del
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111_

giudizio), è tenuto a sottoporla preliminarmente all’attenzione delle parti per provocare
un pieno contraddittorio anche sull’aspetto non in precedenza esaminato, tanto più
quando, come nella specie, dalla nuova normativa scaturisca anche un ampliamento del
tema di indagine e il possibile ampliamento del thema probandum ( a proposito della
necessità di sollecitare il contraddittorio sulle questioni rilevabili d’uficio v. in questo

Anche in accoglimento di questo motivo la sentenza impugnata va pertanto cassata, con
rinvio al giudice di appello affinché in tale sede – in applicazione dell’art. 394, terzo
comma, cod. proc. civ. – venga dato spazio alle attività processuali omesse.
Con il quinto ed ultimo motivo di ricorso, la banca ricorrente lamenta che la corte
territoriale, avendo ritenuto dirimente l’applicazione alla fattispecie sottoposta al suo
esame della nuova norma introdotta con l’art. 6 bis della legge n. 157 del 1999 dall’art.
39 quaterdecies, comma 2 lett. D) della legge 23.2.2006 n. 51 non si sia poi pronunciata sui
quattro motivi di censura proposti dalla banca (e volti a far accertare che la
sottoscrizione dell’atto del 1989 da parte di alcuni dei controricorrenti fosse idonea a far
sorgere in capo ad essi una garanzia personale, e alla accessorietà o meno della garanzia
assunta, all’applicabilità o meno dell’art. 1957 c.p.c. alla posizione di alcuni dei contro
ricorrenti, alla proponibilità o meno dell’eccezione di decadenza da parte di Cariglia e
Cuojati) e neppure sui motivi di appello proposti dalle altre parti, Ciampaglia, Bono
Parrimo e Caria e sulla controdeduzioni formulate dalla difesa della banca. Chiede quindi
che, previa cassazione della sentenza impugnata con rinvio alla corte di appello di Roma
in altra composizione, il giudice del rinvio si pronunci sui su citati motivi di gravame.
Il motivo di ricorso è inammissibile.
Le questioni dedotte in sé sono assorbite dall’accoglimento del terzo motivo di ricorso,
che devolve nuovamente alla corte d’appello l’individuazione dei soggetti responsabili
insieme al PSDI, delle obbligazioni residue verso la banca.
Il motivo proposto comunque non contiene alcuna individuazione dell’ipotesi di
ricorso per cassazione prospettata, ovvero non precisa se con esso si intenda denunziare
un vizio di violazione e falsa applicazione di legge, ex art. 360 primo comma n. 3 c.p.c. o
piuttosto di nullità della sentenza per omessa pronunzia, ex art. 360 primo comma n. 4
14

senso Cass. n. 25054 del 2013 e Cass. n. 14039 del 2013).

c.p.c., e soprattutto non sottopone alla corte alcun quesito di diritto, a chiusura del
• motivo stesso, come è obbligatoriamente previsto essendo il ricorso soggetto, ratione
temporis, all’applicazione dell’art. 366 bis c.p.c.
A seguito dell’accoglimento del terzo e quarto motivo di ricorso, la causa viene rinviata
alla Corte d’appello di Roma in diversa composizione affinché decida la controversia
(provvedendo anche sulle spese del giudizio di cassazione) attenendosi ai seguenti

“L’art. 6-bis della legge 3 giugno 1999, n. 157, (aggiunto dal di 30 dicembre 2005, n. 273,
convertito con modificazioni nella legge 23 febbraio 2006, n. 51), nel prevedere l’esonero degli
amministratori dei partiti e movimenti politici dalla responsabilità per le obbligazioni contratte in nome e
per conto di tali organizzazioni, salvo che abbiano agito con dolo o colpa grave, introduce un regime
speciale e di stretta intelpretazione, rispetto alla regola generale della responsabilità personale e solidale
disciplinata dall’art. 38 cod. civ. per le associazioni non riconosciute. La “ratio” della norma risiede
nella volontà del legislatore di non far gravare sull’operatività dei partiti politici le preoccupazioni di
carattere personale che potrebbero condizionare l’azione di coloro attraverso i quali essi agiscono, e si
giustifica solo in rfitimento ai soggetti ai quali fa stabilmente capo la gestione del partito; ne consegue che
l’esonero dalla responsabilità opera solo per le obbligazioni assunte, in nome e per conto del partito, da
chi operi in una veste tale da poter essere considerato amministratore in base allo statuto dell’ente, mentre
continua a rispondere a norma dell’art. 38 cit. chi assume obbligazioni essendo privo di tale veste
statutarid’
“Qualora il giudice ritenga di dover tener conto ai fini della decisione di una normativa sopravvenuta
e immediatamente applicabile che non sia stato oggetto di discussione con le parti, deve sollecitare su di
essa il contraddittorio, anche al fine di consentire alla parte interessata di chiedere l’ammissione dei
mezzi istruttori resi necessari dall’ampliamento del thema decidendum determinato dalla normativa
stessa”.

P.Q.M.

La Corte dichiara inammissibile il ricorso nei confronti di Cariglia Antonio. Rigetta i
primi due motivi di ricorso, dichiara inammissibile il quinto, accoglie il terzo e il quarto
15

principi di diritto :

motivo di ricorso, cassa l’impugnata sentenza e rinvia la causa alla Corte d’Appello di
• Roma, in diversa composizione, alla quale demanda di provvedere anche in ordine alle
spese del giudizio di legittimità
Così deciso nella camera di consiglio della Corte di cassazione in Roma il 9 gennaio

2014

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