Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 7520 del 01/04/2014


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Civile Sent. Sez. 3 Num. 7520 Anno 2014
Presidente: RUSSO LIBERTINO ALBERTO
Relatore: ROSSETTI MARCO

SENTENZA

sul ricorso 16321-2010 proposto da:
PIUZZI

ANDREA

PZZNDR62TO8H501C,

elettivamente

domiciliato in ROMA, VIA PIETRO DELLA VALLE 2, presso
lo studio dell’avvocato BALDASSARINI DESIDERIO, che
lo rappresenta e difende unitamente all’avvocato
FANTE LUIGI giusta procura in calce;
– ricorrente –

2014
10

contro

SOCIETA’ GESTIONE CREDITI BP S.C.P.A. 01868261205, in
persona del suo legale rappresentante pro tempore,
rappresentata dal suo procuratore speciale rag.

Data pubblicazione: 01/04/2014

GIUSEPPE IACCARINO, la quale non agisce in proprio,
ma, in forza di procura, per conto della BANCA
POPOLARE DI VERONA – SAN GEMINIANO E SAN PROSPERO
SPA, elettivamente domiciliata in ROMA, VIA PIERLUIGI
DA PALESTRINA 63, presso lo studio dell’avvocato

unitamente all’avvocato TRAVERSO GIACOMO giusta
mandato a margine;
ASPRA FINANCE SPA 05576750961, società appartenente
al GRUPPO BANCARIO UNICREDIT e per essa UNICREDIT
CREDIT MANAGEMENT BANK SPA (già UGC BANCA SPA, già
UNICREDITO ITALIANO SPA), società appartenente al
Gruppo Bancario Unicredit quale mandataria in persona
del Sig. GIUSEPPE MANTINI in qualità di Dirigente,
elettivamente domiciliata in ROMA, VIA CASSIODORO 19,
presso lo studio dell’avvocato JANARI LUIGI, che la
rappresenta e difende unitamente all’avvocato PICEDI
BENETTINI EUGENIO giusta procura speciale in calce;
INTESA SAN PAOLO SPA 10810700152, società
incorportante il SAN PAOLO IMI S.P.A. con atto di
fusione, Capogruppo del gruppo bancario Intesa
Sanpaolo s.p.a., in persona del legale rappresentante
pro tempore Dr. GIORGIO DUCCI considerata domiciliata
ex lege in ROMA, presso la CANCELLERIA DELLA CORTE DI
CASSAZIONE, rappresentanta e difesa dagli avvocati
PEDRETTI LUIGI, PARODI LORENZO giusta mandato in

CONTALDI MARIO, che la rappresenta e difende

calce;
– controricorrenti nonchè contro

INTESA GESTIONE CREDITI SPA, VERNAZZA MARCO;
– intimati –

ITALFONDIARIO SPA 00399750587, nella sua qualità di
mandataria della CASTELLO FINANCE S.R.L., in persona
dell’Avv. FRANCESCO MILANESE, elettivamente
domiciliata in ROMA, VIA AUGUSTO RIBOTY 28, presso lo
studio dell’avvocato PAVONI DOMENICO, che la
rappresenta e difende giusta delega in calce;
– ricorrente incidentale contro

PIUZZI ANDREA PZZNDR62TO8H501C, BANCA POPOLARE DI
VERONA SAN GEMINIANO E SAN PROSPERO SPA 03689960239,
UNICREDIT BANCA SPA, VERNAZZA MARCO, INTESA SAN PAOLO
SPA 10810700152;
– intimati –

avverso la sentenza n. 728/2009 della CORTE D’APPELLO
di GENOVA, depositata il 23/06/2009, R.G.N. 967/07;
udita la relazione della causa svolta nella pubblica
udienza del 08/01/2014 dal Consigliere Dott. MARCO
ROSSETTI;
udito l’Avvocato DOMENICO PAVONI;
udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore

3

Nonché da:

Generale Dott. TOMMASO BASILE che ha concluso per il

rigetto di entrambi i ricorsi;

4

R.G.N. 16321/10
Udienza del 8 gennaio 2014

SVOLGIMENTO DEL PROCESSO
1. Nel 2001 la società ROA s.r.l. aveva accumulato un’ingente debito nei
confronti di due istituti di credito: la Banca Popolare di Verona e la Capitalia
s.p.a..

ragione sociale in “Banca Popolare di Verona – S. Geminiano e Prospero”, ed
ha conferito mandato per la riscossione del credito oggetto del presente
giudizio alla “Società gestione Crediti BP” s.p.a..

1.2. La Capitalia s.p.a. in corso di causa ha mutato la propria ragione
sociale in “Unicredito Italiano”; ha ceduto il credito oggetto del presente
giudizio alla società “Aspra Finance” s.p.a., la quale ha conferito mandato
per la riscossione del credito oggetto del presente giudizio alla “Unicredit
Credit Management Bank” s.p.a..

2. Le due banche creditrici intimarono il pagamento del debito sia alla ROA
s.r.I., sia al suo fideiussore sig. Marco Vernazza.
Il 28.3.2001 il sig. Marco Vernazza alienò tutti i propri beni al sig. Andrea
Piuzzi.

3. La Banca Popolare di Verona e la Capitalia s.p.a., con separati atti di
citazione, nel 2001 convennero dinanzi al Tribunale di Genova i sigg.ri
Marco Vernazza ed Andrea Piuzzi, chiedendo che fosse dichiarato inefficace
nei loro confronti, ai sensi dell’art. 2901 c.c., l’atto di vendita stipulato tra i
convenuti.
In subordine, chiedevano che ne fosse dichiarata la simulazione assoluta.

4. I due giudizi vennero riuniti.
Nel corso del giudizio vi intervennero volontariamente altri due istituti di
credito: la Intesa Sanpaolo (avente causa della Sanpaolo IMI) e la Intesa
Gestione Crediti, quale mandataria della Intesa BCI.

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1.1. La Banca Popolare di Verona in corso di causa ha mutato la propria

R.G.N. 16321/10
Udienza del 8 gennaio 2014

4.1. La Intesa BCI s.p.a. in corso di causa ha ceduto il credito oggetto del
presente giudizio alla società “Castello Finance”, la quale ha conferito
mandato per la riscossione del credito oggetto del presente giudizio alla
“Italfondiario” s.p.a..

del sig. Marco Vernazza, e chiesero l’accertamento della simulazione
assoluta dell’atto da questi stipulato con il sig. Andrea Piuzzi. In subordine,
ne chiesero la dichiarazione di inefficacia nei loro confronti, ai sensi dell’art.
2901 c.c..

6. Con sentenza 24.7.2006 n. 2766 il Tribunale di Verona accolse le
domande di revocatoria proposte della Banca Popolare di Verona e della
Capitalia, nulla disponendo in merito a quelle proposte dalle due società
intervenute.

7. La Corte d’appello di Genova, con sentenza 23.6.2009 n. 728, rigettò
l’appello del sig. Andrea Piuzzi, ed accolse quello incidentale proposto dalla
Intesa San Paolo.
Nulla dispose in merito all’appello proposto dalla Italfondiario s.p.a., quale
mandataria della società Castello Finance, avente causa della Intesa
Gestione Crediti.

8. La sentenza d’appello è stata impugnata per cassazione da Andrea Piuzzi,
in base ad un solo motivo; e da Italfondiario nella qualità di mandataria
della Castello Finance, a sua volta cessionaria della Intesa Gestione Crediti,
anch’essa in base ad un solo motivo.
MOTIVI DELLA DECISIONE
1. Il ricorso del sig. Andrea Piuzzi.
1.1. Con l’unico motivo di ricorso il sig. Andrea Piuzzi lamenta che la
sentenza impugnata sia affetta da vizio di motivazione, ai sensi dell’art. 360,
n. 5, c.p.c..

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5. Ambedue le società intervenienti allegarono di esser anch’esse creditrici

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Udienza del 8 gennaio 2014

Espone, al riguardo, che la Corte d’appello di Genova ha, da un lato,
omesso di prendere in esame le sue doglianze,

“non degnate d’uno

sguardo” (così il ricorso, pag. 5), limitandosi a richiamare la sentenza di
primo grado; dall’altro omesso di fornire adeguata dimostrazione della
consapevolezza, in capo ad esso ricorrente, della natura pregiudizievole

Soggiunge che gli elementi presi in esame a tale scopo dalla Corte d’appello
(prezzo della vendita; conservazione dell’usufrutto in capo all’alienante;
contestuale alienazione di tutti i propri beni da parte del cofideiussore) non
avevano i requisiti di gravità, precisione e concordanza richiesti dall’art.
2729 c.c..

1.2. Il motivo è inammissibile, per due indipendenti ragioni.
La prima è che esso non è concluso dalla “chiara indicazione del fatto
controverso” richiesta dall’art. 366 bis c.p.c., applicabile al presente giudizio
ratione temporis, ma

solo dalla indicazione generica della omessa

valutazione di alcuni singoli elementi di prova.
La seconda è che, in ogni caso, attraverso il suo ricorso il sig. Andrea Piuzzi
chiede alla Corte una nuova e diversa valutazione delle prove raccolte nei
gradi di merito, valutazione, come ognun sa, inammissibile in questa sede.

2. Il ricorso di Italfondiario.
2.1. Con l’unico motivo di ricorso la Italfondiario, nella qualità di
rappresentante della Castello Finance, lamenta che la sentenza impugnata
sia incorsa nel vizio di nullità del procedimento, ai sensi dell’art. 360, n. 4,
c.p.c..
Espone, al riguardo, che la propria dante causa Intesa Gestioni Crediti era
intervenuta nel giudizio di primo grado, ai sensi dell’art. 105 c.p.c.,
formulando domanda di simulazione o, in subordine, revocazione dell’atto
stipulato tra i sigg.ri Andrea Piuzzi e Marco Vernazza.
Tale domanda era stata ignorata (né accolta, né rigettata) tanto dal
Tribunale, quanto dalla Corte d’appello.

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I

m/

dell’atto di vendita per i creditori dell’alienante.

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Udienza del 8 gennaio 2014

2.2. Il motivo è inammissibile.
La sentenza impugnata in questa sede è stata depositata il 23.6.2009. La
presente impugnazione pertanto è soggetta alle previsioni di cui all’art. 366
bis c.p.c., le quali esigevano – nel testo applicabile ratione temporis – che il
motivo di ricorso fosse concluso da un quesito di diritto.

poiché questa Corte non può non rimarcare, enmsweRt=7, come ben due
giudici di merito nel presente giudizio non siano stati in grado non si dirà di
individuare le parti ad essi rivoltesi, ma nemmeno di intestare
correttamente le epigrafi delle rispettive sentenze.

2.3. Con la memoria depositata ai sensi dell’art. 378 c.p.c., la Italfondiario
ha sostenuto la tesi della irrilevanza della mancanza del quesito di diritto nel
proprio ricorso, in virtù della macroscopica dimenticanza in cui è incorsa la
Corte d’appello.
Ha invocato, al riguardo, il principio affermato da Sez. 2, Sentenza n.
16941 del 20/06/2008, Rv. 603734), secondo cui nel ricorso per cassazione
proposto ai sensi dell’art. 360, primo comma, n. 4), cod. proc. civ., col
quale si deduca l’esistenza di errores in procedendo, la formulazione del
quesito di diritto di cui all’art. 366 bis cod. proc. civ. è necessaria solo se la
violazione denunciata comporta necessariamente la soluzione di una
questione di diritto; diversamente, ove l’inosservanza delle regole
processuali dia luogo ad un mero errore di fatto, alla Corte di cassazione si
chiede soltanto di riscontrare, attraverso l’esame degli atti di quel processo,
la correttezza dell’attività compiuta, con la conseguenza che la formulazione
del quesito di diritto non è, in tal caso, neppure configurabile.

2.4. Sulla questione prospettata dalla Italfondiario esiste in effetti un
contrasto nella giurisprudenza di legittimità.
Secondo un primo orientamento, la mancanza del questo di diritto di cui
all’art. 366 bis c.p.c. è ininfluente quando la sentenza impugnata sia incorsa
in un mero “errore processuale di fatto”, perché in tal caso il quesito di
diritto non sarebbe nemmeno concepibile [in tal senso, oltre la sentenza

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C’

Il ricorso della Italfondiario ne è purtroppo privo: ZIED:rdegeStRatpgyr

R.G.N. 16321/10
Udienza del 8 gennaio 2014

citata dal ricorrente, anche Sez. 2, Sentenza n. 19558 del 10/09/2009 (Rv.
610083), e Sez. 1, Sentenza n. 17059 del 05/10/2012 (Rv. 624679)].
Per un diverso orientamento, invece, il motivo di ricorso per cassazione con
cui si denuncia la violazione dell’art. 112 cod. proc. civ. da parte del giudice
di merito, in relazione all’art. 360, comma primo, n. 4), cod. proc. civ., deve

sensi dell’art. 366 bis c.p.c., anche quando l’inosservanza del principio della
corrispondenza tra il chiesto e il pronunciato sia riferibile ad un’erronea
percezione della domanda: sia perché anche tale errore consiste pur sempre
in un error iuris rispetto al quale l’art. 366

bis c.p.c. imponeva di

prospettare il fondamento giuridico; sia perché una diversa interpretazione
condurrebbe di fatto ad una abrogazione parziale dell’art. 366 bis c.p.c. [in
tal senso Sez. 3, Ordinanza n. 4329 del 23/02/2009 (Rv. 606673); Sez. L,
Sentenza n. 4146 del 21/02/2011 (Rv. 616476); Sez. 5, Sentenza n. 10758
del 08/05/2013 (Rv. 627114)].

2.5. Ritiene questa Corte che tra i due orientamenti non possa non essere
preferito il secondo.
L’art. 366 bis c.p.c., infatti, stabiliva con lettera cristallina che il motivo di
ricorso dovesse essere concluso dal quesito di diritto “nei casi di cui all’art.
360, n. 1, 2, 3, 4 c.p.c.”. Questa formula non consente dubbi sul fatto che il
quesito di diritto fosse necessario in tutti i casi previsti dai primi quattro
numeri dell’art. 360 c.p.c., senza eccezione alcuna.
Del resto, introdurre solo per i ricorsi fondati sul n. 4 dell’art. 360 c.p.c. una
deroga all’obbligo del quesito è scelta interpretativa che esporrebbe la
norma al rischio di gravi disparità di trattamento, posto che mai nessuno ha
anche solo dubitato del fatto che quando il ricorso sia proposto per i motivi
di cui ai nn. 1, 2 e 3 dell’art. 360 c.p.c., il quesito andasse formulato anche
se palese e macroscopico fosse stato l’errore commesso dal giudice di
merito.
Aggiungasi che l’orientamento più liberale ritiene superfluo il quesito quando
l’errore commesso dal giudice di merito sia stato palese. Ma il concetto di
“evidenza” dell’errore non è univoco, posto che quel che può parere palese

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r

essere concluso in ogni caso con la formulazione di un quesito di diritto ai

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all’uno, può riuscire non evidente all’altro. Sicché l’orientamento qui in
contestazione finirebbe per introdurre una non auspicabile discrezionalità
nel valutare se un ricorso, pur privo del quesito, possa o debba essere
esaminato nel merito: discrezionalità anch’essa contrastante con la
assolutezza dei termini nei quali era formulato l’art. 366 bis c.p.c..

Genova non esonerava la Italfondiario dalla formulazione del quesito di
diritto, a pena di inammissibilità del ricorso.

3. Le spese.
Le spese del giudizio di legittimità vanno poste a carico dei ricorrenti in
solido, ai sensi dell’art. 385, comma 1, c.p.c., con regresso tra loro nella
misura del 50%.

P.q.m.
la Corte di cassazione, visto l’art. 383, comma primo, c.p.c.:
-) dichiara inammissibile il ricorso principale e quello incidentale;
– ) condanna Andrea Piuzzi e la Italfondiario s.p.a. nella qualità, in solido,
alla rifusione in favore di Intesa Sanpaolo s.p.a. delle spese del presente
grado di giudizio, che si liquidano nella somma di euro 12.200, di cui 200
per spese vive;
– ) condanna Andrea Piuzzi e la Italfondiario s.p.a. nella qualità, in solido,
alla rifusione in favore di Società Gestione Crediti BP s.c.p.a., nella qualità,
delle spese del presente grado di giudizio, che si liquidano nella somma di
euro 12.200, di cui 200 per spese vive;
-) condanna Andrea Piuzzi e la Italfondiario s.p.a. nella qualità, in solido,
alla rifusione in favore di Unicredit Credit Management Bank s.p.a., nella
qualità, delle spese del presente grado di giudizio, che si liquidano nella
somma di euro 12.200, di cui 200 per spese vive.
Così deciso in Roma, nella camera di consiglio della Terza Sezione civile
della Corte di cassazione, addì 8 gennaio 2014.

Pertanto la macroscopicità dell’errore in cui incorse la Corte d’appello di

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