Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 7519 del 01/04/2014


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Civile Sent. Sez. 3 Num. 7519 Anno 2014
Presidente: RUSSO LIBERTINO ALBERTO
Relatore: ROSSETTI MARCO

SENTENZA

sul ricorso 15241-2010 proposto da:
BANCA MONTE PASCHI SIENA SPA 00884060526 in persona
del Direttore Territoriale Retail di Messina Centro
Est Dott. ANTONINO NATOLI, elettivamente domiciliata
in ROMA, VIA DARDANELLI 13, presso lo studio
dell’avvocato MASSIMO FRONTONI,
2014
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rappresentata e

difesa dall’avvocato PARISI MAURIZIO giusta delega in
atti;
– ricorrente contro

MAROTTA OTTAVIO MRTTTV3OTO1F158D, MAROTTA GIULIA

Data pubblicazione: 01/04/2014

MARIA MRTGMR32P69F158C, domiciliato ex lege in ROMA
presso la CANCELLERIA DELLA CORTE DI CASSAZIONE,
rappresentato e difeso dall’avvocato MAZZEI ANTONINO
con studio in MESSINA, VIA MAFFEI 5 giusto mandato a
margine;

00128430329 in persona dei procuratori Dr.ssa ANNA
GENOVESE e Dr. ANDREA CERETTI, elettivamente
domiciliata in ROMA, VIA PANAMA 88, presso lo studio
dell’avvocato SPADAFORA GIORGIO, che la rappresenta e
difende giusta procura speciale in calce;
ARRIGO

ANTONINO

RRGNNN32A23F158E,

elettivamente

domiciliato in ROMA, VIA SERRADIFALCO 7, presso lo
studio dell’avvocato TONI FAVA, rappresentato e
difeso dall’avvocato PASQUALE MARCIANO’ giusta delega
in atti;
– controricorrenti nonchè contro

UNICREDIT GESTIONE CREDITI SPA BANCA GESTIONE CREDITI
UGC BANCA SPA 02659940239;
– intimati –

avverso la sentenza n. 281/2009 della CORTE D’APPELLO
di MESSINA, depositata il 14/04/2009, R.G.N.
1077/2003;
udita la relazione della causa svolta nella pubblica
udienza del 08/01/2014 dal Consigliere Dott. MARCO

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ALLIANZ (già RIUNIONE ADRIATICA SICURTA’ S.P.A.)

ROSSETTI;
udito l’Avvocato MASSIMO LUCONI per delega;
udito l’Avvocato GIORGIO SPADAFORA;
udito l’Avvocato TONI FAVA per delega;
udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore
Generale Dott. TOMMASO BASILE che ha concluso per

l’accoglimento del ricorso;

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R.G.N. 15241/10
Udienza del 8 gennaio 2014

SVOLGIMENTO DEL PROCESSO
1. Nel 1991 due istituti di credito, la Banca Nazionale del Lavoro s.p.a.
(d’ora innanzi, per brevità, “BNL”) e la Monte dei Paschi di Siena s.p.a.
(d’ora innanzi, per brevità, “Montepaschi”), chiesero ed ottennero dal
Presidente del Tribunale di Messina un decreto ingiuntivo ciascuno, nei

2. Sulla base del decreto ingiuntivo rispettivamente ottenuto, i due istituti di
credito iscrissero ipoteca su vari beni immobili ritenuti del debitore.

3. In seguito a tale iscrizione i sigg.ri Giulia Maria Marotta ed Ottavio
Marotta il 24.4.1991 convennero dinanzi al Tribunale di Messina la BNL e la
Montepaschi, allegando di essere proprietari dei beni sui quali le due società
avevano iscritto ipoteca, per averli acquistati in seguito alla divisione d’una
comunione ereditaria.
Chiedevano perciò che fosse accertata l’invalidità dell’iscrizione ipotecaria.

4. Nelle more del processo, i sigg.ri Giulia Maria Marotta ed Ottavio Marotta
convennero altresì in un separato giudizio sempre dinanzi al Tribunale di
Messina il notaio Antonino Arrigo, allegando che questi aveva rogato l’atto
di divisione della comunione ereditaria ed i successivi adempimenti
pubblicitari, e che pertanto egli avrebbe dovuto tenerli indenni dalle pretese
delle banche creditrici, ove mai la domanda di nullità dell’ipoteca fosse stata
rigettata.

5. Il notaio Antonino Arrigo si costituì chiedendo il rigetto della domanda e,
in subordine, di essere tenuto indenne dal proprio assicuratore della
responsabilità civile, la RAS s.p.a., che provvedeva a chiamare in causa.
Anche la RAS – la quale successivamente ha mutato ragione sociale in
Allianz s.p.a. – si costituì chiedendo il rigetto della domanda principale.

6. Riuniti i due giudizi, con sentenza del 26.6.2003 il Tribunale di Messina
accolse la domanda.

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confronti del comune debitore sig. Giovanni Marotta.

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Udienza del 8 gennaio 2014

La sentenza venne impugnata sia dalla Montepaschi, sia dalla società
Unicredito Gestione Crediti s.p.a. (d’ora innanzi, per brevità, “UGC”) la
quale dichiarò di agire nella veste di mandataria della BNL.
La Corte d’appello di Messina, con sentenza del 14.4.2009 n. 281, dichiarò
inammissibili gli appelli di ambedue gli istituti di credito.

società appellante non aveva fornito la prova della propria qualità di
rappresentante della BNL.
L’appello della Montepaschi venne invece dichiarato inammissibile perché
tardivo.
Secondo la Corte d’appello, infatti, pur avendo la Montepaschi proposto
l’appello incidentale nel termine di cui all’art. 343 c.p.c., esso era stato
comunque proposto dopo lo spirare del termine di cui all’art. 325 c.p.c.. Né
la Montepaschi avrebbe potuto invocare il beneficio dell’impugnazione
tardiva, di cui all’art. 334 c.p.c., perché quella da essa proposta era una
impugnazione autonoma e non dipendente, diretta a tutelare un interesse
dell’impugnante non scaturito dall’impugnazione principale.

7. La sentenza d’appello è stata impugnata per cassazione dalla
Montepaschi, sulla base di cinque motivi.
Hanno resistito con controricorso i sigg.ri Giulia Maria Marotta ed Ottavio
Marotta, Antonino Arrigo e la RAS s.p.a., ciascuno eccependo
l’inammissibilità e comunque l’infondatezza del ricorso principale.
La UGC, ritualmente intimata, non si è difesa.
MOTIVI DELLA DECISIONE
1. Il primo motivo di ricorso.
1.1. Con primo motivo del suo ricorso la società Montepaschi lamenta che la
sentenza impugnata sia incorsa nel vizio di violazione di legge, ai sensi
dell’art. 360 n. 3 c.p.c..
Le norme violate sono indicate negli artt. 333, 334 e 343 c.p.c..
Il motivo si articola in due profili.

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L’appello principale della UGC venne dichiarato inammissibile perché la

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Udienza del 8 gennaio 2014

1.2. Sotto un primo profilo, la Montepaschi deduce che la Corte d’appello
avrebbe erroneamente ritenuto tardivo il suo appello incidentale, per
violazione del termine c.d. “breve” di cui all’art. 325 c.p.c. (30 giorni dalla
notifica della sentenza di primo grado). Infatti, poiché la sentenza di primo
grado non le era mai stata validamente notificata, il termine breve di cui

1.2. Sotto un secondo profilo, la Montepaschi allega che in ogni caso, anche
a volere ritenere validamente notificatale la sentenza di primo grado, il suo
appello non poteva essere ritenuto tardivo. Infatti la parte cui sia notificato
l’appello principale può proporre la propria impugnazione incidentale nella
comparsa di costituzione e risposta, depositata venti giorni prima della
prima udienza, ai sensi dell’art. 343 c.p.c., termine che nel caso di specie
era stato rispettato.
Pertanto, conclude la Montepaschi, al fine di qualificare come “tempestivo”
l’appello incidentale non rileva il rispetto o meno del termine di cui all’art.
325 c.p.c. (30 giorni dalla notifica della sentenza di primo grado), perché
quel che rileva è unicamente il rispetto del termine di cui all’art. 343 c.p.c.
(costituzione in giudizio venti giorni prima dell’udienza).

1.3. Subordinatamente al rigetto delle doglianze appena esposte, la
Montepaschi chiede a questa Corte di sollevare incidente di legittimità
costituzionale degli art. 333, 334 e 343 c.p.c., con riferimento agli artt. 3 e
24 cost..
Espone, al riguardo, la ricorrente che se si ritenesse l’impugnazione
incidentale tempestiva solo se abbia rispettato i termini di cui agli artt. 325
o 327 c.p.c., come ha fatto la Corte d’appello, verrebbe violato l’art. 3 cost.,
perché gli appellati per i quali il termine per impugnare non sia spirato si
troverebbero in una posizione più svantaggiosa rispetto a quelli per i quali il
suddetto termine sia spirato: questi ultimi, infatti, beneficerebbero del
termine di cui all’art. 334 c.p.c.; i primi invece no.

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all’art. 325 c.p.c. non era mai iniziato a decorrere.

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L’interpretazione della Corte d’appello, inoltre, secondo la ricorrente
contrasterebbe anche con l’art. 24 cost., perché priverebbe l’appellato di un
adeguato termine per preparare la propria difesa.

1.4. L’eccezione di inammissibilità del motivo per inadeguatezza del quesito,

Il quesito formulato a pag. 14 del ricorso coglie infatti esattamente il
punctum pruriens agitato nel motivo, e cioè se sia o meno da ritenere
“tardivo” l’appello incidentale proposto dopo lo scadere del termine di cui
all’art. 325 c.p.c., ma prima dello scadere del termine di cui all’art. 343
c.p.c..

1.5. Nel merito, tuttavia, il motivo è infondato in tutti i suoi profili.
La Corte d’appello ha accertato in fatto che:
(a) la sentenza del Tribunale venne notificata alla Montepaschi il 13.10.2003;
(b) da tale data è iniziato a decorrere per la Montepaschi il termine breve di
cui all’art. 325 c.p.c., spirato il 12.11.2003;
(c)

la Montepaschi ha proposto appello incidentale con comparsa di

costituzione e risposta depositata il 24.1.2004.

1.6. Al cospetto di questi fatti va, innanzitutto, rilevata l’infondatezza del
primo profilo del motivo di ricorso in esame, col quale si lamenta il vizio di
notifica della sentenza di primo grado.
Dall’esame degli atti, consentito dalla natura processuale del vizio
denunciato, si rileva che la sentenza di primo grado, allegata in copia sia nel
fascicolo dei controricorrenti Marotta, sia nel fascicolo della stessa
Montepaschi, fu notificata ad istanza di “sig.a Marotta Giulia + 1” alla
“banca Monte dei Paschi di Siena s.p.a. presso il suo procuratore costituito,
avv. Maurizio Parisi nel domicilio eletto in Messina, via del Vespro n. 43”.
Segue la relazione di notificazione dalla quale si apprende che la consegna
dell’atto è avvenuta “a mani della segretaria Velardi” il 13.10.2003.

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ivvyt,
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sollevata dalla RAS s.p.a., va rigettata.

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La notifica della sentenza di primo grado alla Montepaschi fu dunque valida
ed efficace, e da essa iniziò a decorrere il termine breve per impugnare,
inutilmente spirato il 12.11.2003.

1.7. Essendosi nondimeno la Montepaschi tempestivamente costituita nel

debba essere qualificata come “tempestiva” o “tardiva”.
La questione rileva perché nel primo caso l’appello incidentale della
Montepaschi sopravvivrebbe alla declaratoria di inammissibilità dell’appello
della UGC; nel secondo caso invece l’impugnazione della Montepaschi
perderebbe in ogni caso efficacia per effetto della declaratoria di
inammissibilità dell’appello principale, ai sensi dell’art. 334, comma 2, c.p.c..

1.8. Secondo la società ricorrente, perché un appello incidentale possa
essere qualificato come “tempestivo” dev’essere rispettato un solo termine:
quello dei venti giorni prima dell’udienza, di cui all’art. 343 c.p.c. (così il
ricorso, pp. 11 e 13). Tale conclusione viene ricavata da un sillogismo così
riassumibile:
(a) l’art. 333 c.p.c. stabilisce il principio per cui, dopo che sia stata proposta
la prima impugnazione, tutte le altre debbono assumere la forma
dell’appello incidentale;
(b) l’appello incidentale si propone mediante costituzione in cancelleria venti
giorni prima dell’udienza, ai sensi dell’art. 343 c.p.c.;
(c) ergo, l’appello incidentale rispettoso del termine di cui all’art. 343 c.p.c.
deve ritenersi “tempestivo”, a prescindere dal rispetto dei termini di cui agli
artt. 325 e 327 c.p.c..

1.9. La tesi, per quanto suggestiva, non può essere condivisa.
Infatti il sistema delle impugnazioni previsto dal codice di procedura civile
pone a carico dell’impugnante incidentale l’onere di rispettare due termini:
(a) un termine “esterno”, cosiddetto perché preesistente alla proposizione di
qualsiasi impugnazione, previsto dagli artt. 325 e 327 c.p.c.: si tratta di un
termine di decadenza, cui la legge consente di derogare quando l’interesse

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giudizio d’appello, occorre ora stabilire se la sua impugnazione incidentale

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all’impugnazione incidentale sorga dalla proposizione dell’impugnazione
principale (art. 334 c.p.c.); la ratio di questo termine è garantire la certezza
dei rapporti giuridici, in ossequio al tradizionale principio ne lites paene
immortales fiant;
(b) un termine “interno”, previsto dall’art. 343 c.p.c.; non derogabile in

c.p.c.), e la cui ratio non è la certezza dei rapporti giuridici, ma la
salvaguardia della parità processuale delle parti e del diritto di difesa
dell’appellante principale, rispetto alle doglianze formulate con l’appello
incidentale.

1.10. Questi due termini sono tra loro complementari e non alternativi,
ovvero legati da un nesso di implicazione unilaterale.
Infatti, ove non sia rispettato il termine per il deposito in cancelleria della
comparsa contenente l’appello incidentale, di cui all’art. 343 c.p.c., l’appello
è inammissibile ed a nulla rileverà che per l’appellante non sia ancora
spirato il termine di cui agli artt. 325 o 327 c.p.c.. Peraltro, è proprio questa
(oltre a quella corrispondente dell’art. 371 c.p.c.) l’ipotesi cui si riferisce la
decadenza di cui all’art. 333 c.p.c., che, come si dirà, non comporta tuttavia
la invalidità di un appello comunque tempestivamente proposto.
Non è vera, però, la reciproca: una volta che siano spirati i termini di cui
agli artt. 325 o 327 c.p.c., l’appellato potrà ancora proporre il suo gravame
incidentale, ma soltanto nelle forme dell’impugnazione tardiva di cui all’art.
334 c.p.c..

1.11. Depongono in tal senso i canoni ermeneutici dell’interpretazione
sistematica, dell’interpretazione utile e dell’interpretazione
costituzionalmente orientata.

1.11.1. Sotto il primo profilo (interpretazione sistematica) si è visto come gli
artt. 325 e 327 c.p.c. da un lato, e l’art. 343 c.p.c., dall’altro, hanno
rationes diverse: i primi due garantiscono la certezza dei rapporti giuridici, il
secondo il diritto di difesa. Questa eterogeneità dei fini impedisce di ritenere

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alcun modo (salva ovviamente la rimessione in termini di cui all’art. 153

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i termini di cui agli artt. 325-327 c.p.c. “assorbiti” dalla previsione di cui
all’art. 343 c.p.c., perché l’esigenza di una sollecita definizione dei giudizi
non viene meno sol perché sia stato proposto un appello principale. Anche
in questo caso, infatti, è necessario che le altre parti non appellanti
prendano con solerzia le proprie decisioni: ed il decorso dei termini di cui

coazione indiretta sulle parti non appellanti, affinché sappiano che se
vogliono evitare il rischio che la loro impugnazione incidentale sia dichiarata
inefficace a causa dell’inammissibilità della principale, dovranno proporla
tempestivamente. A seguire la tesi della ricorrente, invece, anche una
impugnazione incidentale proposta dopo lo spirare dei trenta giorni dalla
notifica della sentenza di primo grado sarebbe da ritenersi “tempestiva”,
con la conseguenza che essa andrebbe esaminata anche nel caso di
inammissibilità dell’impugnazione principale: interpretazione, per quanto
detto, incoerente con la ratio degli artt. 325-327 c.p.c..

1.11.2. Sotto il secondo profilo (interpretazione utile) la tesi della ricorrente
non può essere condivisa, perché renderebbe inutile la previsione di cui
all’art. 334 c.p.c..
Secondo la ricorrente infatti,

“al fine di qualificare l’impugnazione

incidentale quale tempestiva o tardiva, occorre fare esclusivo riferimento al
momento della ricezione della notifica dell’impugnazione principale, e non a
quello della proposizione dell’impugnazione incidentale” (così il ricorso, p.
10, terzo capoverso).
Sicché – parrebbe di capire – secondo la ricorrente in un processo con
pluralità di parti, una volta notificata la sentenza dalla parte vittoriosa a
tutte le altre, basterebbe che una di queste proponga l’impugnazione
incidentale nel termine di cui all’art. 325 c.p.c., perché tutte le altre
impugnazioni possano ritenersi tempestive.
Quella appena riassunta è tuttavia una tesi illogica, che condurrebbe ad una
interpretatio abrogans l’art. 334 c.p.c..
Si consideri, infatti che una volta proposta dall’appellante principale una
impugnazione tempestiva, tutte le altre impugnazioni incidentali sarebbero –

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e(/

agli artt. 325-327 c.p.c. è funzionale giustappunto ad esercitare una

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secondo la tesi della Montepaschi – per ciò solo tempestive anch’esse. Non
potrebbe, dunque, mai verificarsi alcun caso in cui l’impugnazione principale
sia tempestiva, ma per l’appellante principale sia spirato il termine per
impugnare: non potrebbe, dunque, mai avverarsi la fattispecie processuale
astratta delineata dall’art. 334 c.p.c..

preferire quella che garantisca alla norma di produrre effetti, piuttosto che
quella che la priverebbe di ogni utilità, la tesi della ricorrente non può
essere condivisa.

1.11.3. Sotto il terzo profilo (interpretazione costituzionalmente orientata)
la tesi della ricorrente non può essere condivisa, perché – imponendo di
considerare tempestive e quindi esaminabili nel merito le impugnazioni
incidentali anche quando la principale sia dichiarata inammissibile rallenterebbe i tempi dei giudizi, in violazione del generale precetto di
ragionevole durata di cui all’art. 111 cost..

1.12. E’ doveroso aggiungere che le conclusioni sin qui esposte:
(a) sono indirettamente confermate da vari precedenti da questa Corte;
(b) sono condivise dalla dottrina prevalente e più autorevole;
(c)

non sono contraddette dai precedenti invocati dalla Montepaschi nel

proprio ricorso.

1.12.1. Che l’appello incidentale debba qualificarsi tardivo se proposto dopo
lo spirare dei termini di cui agli artt. 325 o 327 c.p.c., a nulla rilevando che
l’appellante incidentale si sia costituito nei termini di cui all’art. 343 c.p.c., è
principio desumibile indirettamente – tra le decisioni più recenti – da Sez. 3,
Sentenza n. 21745 del 11/10/2006, Rv. 592772, secondo cui le
impugnazioni incidentali “possono essere proposte, in sede di appello, con la
comparsa di risposta [tempestivamente depositata] purché risulti rispettato
il termine ordinario di trenta giorni dalla notificazione della sentenza di
primo grado”. Il principio era stato già condiviso negli stessi esatti termini,
in precedenza, da Sez. 2, Sentenza n. 6242 del 04/06/1993, Rv. 482677;

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E poiché tra due interpretazioni alternative, l’interprete ha l’obbligo di

e

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Sez. 3, Sentenza n. 2433 del 14/03/1988, Rv. 458200; ed in modo implicito
ma inequivoco da Sez. L, Sentenza n. 1602 del 08/03/1984, Rv. 433679 e
Sez. 1, Sentenza n. 1302 del 12/05/1973, Rv. 363907.
Indiretta conferma del principio si rinviene altresì nel decisum di Sez. 3,
Sentenza n. 3056 del 08/02/2011, Rv. 616679, secondo cui l’inammissibilità

incidentale, se questo è stato proposto (oltre che tempestivamente ai sensi
dell’art. 371 cod. proc. civ.) anche nei termini per impugnare previsti dagli
artt. 325, 326 e 327 cod. proc. civ.: dal che si desume come una
impugnazione incidentale proposta quando siano scaduti i termini di cui agli
artt. 325-327 c.p.c. non potrebbe mai essere ritenuta “tempestiva”.
Infine, il principio qui affermato risulta condiviso dalle Sezioni Unite di
questa Corte, allorché – nella motivazione della sentenza pronunciata da Sez.
U, Sentenza n. 11678 del 05/12/1990, Rv. 470046 – affermarono che
“tanto se siano tardivi nel senso di cui all’art. 334, ovvero tempestivi nel

senso che sono stati proposti con il rispetto dei termini abbreviato o annuale,
appello e ricorso per cassazione incidentali devono osservare il termine di
cui agli art. 343 e 371, con la conseguenza che è ammissibile solo
l’impugnazione tardiva che abbia ottemperato a tali ultime disposizioni, ma
non lo è l’impugnazione tempestiva a norma degli art. 325 e 327, che
peraltro non abbia rispettato il termine di cui agli art. 343 e 371”:
motivazione cristallina nel lasciare intendere che l’appellante incidentale, se
vuole che la propria impugnazione sia qualificata come “tempestiva”, deve
rispettare non solo il termine di cui all’art. 343 c.p.c., ma anche quelli di cui
agli artt. 325-327 c.p.c. (in senso conforme, più di recente, si è pronunciata
anche Sez. 3, Sentenza n. 1701 del 23/01/2009, Rv. 606406).

1.12.3. L’orientamento appena ricordato non è affatto contraddetto dai
precedenti invocati dalla ricorrente a p. 9-10 del proprio ricorso, ed in
particolare da Sez. 3, Sentenza n. 9862 del 05/10/1998, Rv. 519423.
Nelle massime estratte da questa, come da altre decisioni, si legge in effetti
che nel caso di appello incidentale i “termini previsti dall’art 343 c.p.c. (…)
si sostituiscono ai termini stabiliti in linea generale dagli artt. 325 e 327

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del ricorso principale per cassazione non priva di efficacia il ricorso

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c.p.c., rendendo irrilevante, a tali fini, la mancata notificazione della
sentenza” (sono parole di Sez. 1, Sentenza n. 2381 del 22/04/1981, Rv.
413141, riprese da Sez. 1, Sentenza n. 4558 del 06/08/1979, Rv. 401062).
Tuttavia, ove si sposti l’attenzione dalla massima alla concreta fattispecie
processuale ed alla effettiva ratio decidendi, ci si avvede che nel caso deciso

l’appellante incidentale, costituitosi tardivamente in violazione dell’art. 343
c.p.c., potesse invocare l’ammissibilità del proprio gravame per il solo fatto
che non fosse ancora decorso il termine di cui all’art. 327 c.p.c.: e fu solo
nel risolvere questo problema, che la Corte affermò la “irrilevanza” del
termine di cui all’art. 327 c.p.c. ai fini della ammissibilità dell’appello
incidentale. “Irrilevanza”, dunque, ma solo nel senso che esso non esclude
la concorrente operatività delle forme e dei termini prescritti dall’art. 343
c.p.c. (o, mutatis mutandis, dall’art. 371 c.p.c.), da rispettare comunque,
non già in quello, sostenuto dalla ricorrente, secondo cui la sua pendenza
renderebbe in re ipsa tempestiva l’impugnazione incidentale. Quale era
peraltro la fattispecie processuale decisa da Cass. 9862/98, invocata dalla
Montepaschi.
Le considerazioni che precedono valgono, infine, per il terzo ed ultimo
precedente di questa Corte la cui massima solo apparentemente avalla la
tesi sostenuta dalla Montepaschi, e cioè Sez. 3, Sentenza n. 10124 del
30/04/2009, Rv. 608201.
Anche nella motivazione di quest’ultima sentenza si legge infatti che
l’appello incidentale va proposto nelle forme e nei termini di cui all’art. 343
c.p.c. “a prescindere dall’avvenuta notifica della sentenza di primo grado”:
in quella vicenda processuale, infatti, la Corte era chiamata a stabilire non
già – come nel presente caso – se dovesse ritenersi tempestivo o tardivo
l’appello incidentale proposto dopo lo spirare del termine di cui all’art. 325
c.p.c., ma a stabilire se l’appello incidentale potesse essere proposto una
volta spirato il termine di cui all’art. 325 c.p.c.: questione cui la Corte diede
ovviamente risposta affermativa, ed in questo senso va inteso l’inciso
secondo cui l’appello incidentale (ovviamente tardivo) è consentito
prescindere dalla notifica della sentenza”.

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“a

da Cass. 2381/81, cit., la Corte di cassazione era chiamata a stabilire se

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1.13. L’orientamento qui condiviso, infine, da tempo è condiviso dalla
migliore dottrina, registrandosi rispetto ad esso una sola – se pur autorevole
– voce contraria, per di più risalente agli anni Quaranta del secolo scorso.
Per contro, tutti gli altri autori che si sono occupati del problema, hanno

produce l’effetto di fissare all’appellato incidentale termini per
l’impugnazione che si sostituiscono a quelli acceleratori di cui agli artt. 325327 c.p.c.. Di conseguenza, assai correttamente si scrisse già molti anni or
sono, in un celebrato testo, che “i/ gravame incidentale proposto entro il
termine di cui agli artt. 325 e 327 c.p.c. è tempestivo perché è un gravame
principale presentato in via incidentale a norma dell’art. 333; quello
proposto oltre questo termine è, indipendentemente dalla domanda di chi
l’ha proposto, tardivo, e come tale, dipende dall’ammissibilità di quello
principale”.

1.14. Si applichino ora i princìpi sin qui esposti al caso di specie.
Come già accennato, dalla sentenza impugnata si apprende che le parti
vittoriose in primo grado, sigg.ri Giulia Maria ed Ottavio Marotta,
notificarono la sentenza del Tribunale alla Montepaschi il 13.10.2003.
Da questa data iniziò dunque a decorrere per la Montepaschi il termine
breve di cui all’art. 325 c.p.c., che scadde il 12.11.2003.
Delle due parti soccombenti (Unicredito e Montepaschi), più lesta ad
impugnare fu la società Unicredito Gestione Crediti, che notificò il proprio
gravame alla Montepaschi il 10.11.2003, assumendo così la veste di
appellante principale.
In virtù di quanto prima esposto, l’appello incidentale della Montepaschi si
sarebbe potuto ritenere dunque tempestivo soltanto se proposto entro il
12.11.2003.
Occorre tuttavia ora soggiungere che, a tale data, non solo l’appellante
principale Unicredito non si era costituita in giudizio, ma nemmeno era
scaduto il termine per farlo.

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concordato nel ritenere che la proposizione dell’impugnazione principale non

R.G.N. 15241/10
Udienza del 8 gennaio 2014

Di conseguenza, non essendosi costituito l’appellante principale, mancava
effettivamente per l’appellante incidentale la possibilità di costituirsi
secondo il modello previsto dall’art. 343 c.p.c.; ma tanto, a ben vedere, non
avrebbe tuttavia impedito alla ricorrente di proporre ugualmente la sua
impugnazione incidentale destinata ad essere considerata tempestiva, onde

c.p.c., per il caso in cui volontariamente o involontariamente l’appellato
principale (omettendo di costituirsi in giudizio o determinandone comunque
le relative condizioni) avesse poi dato luogo ad una causa di inammissibilità
o improcedibilità della propria impugnazione.
A tal fine, infatti, onde scongiurare il rischio in questione, essa avrebbe
potuto alternativamente: (a) procedere alla iscrizione a ruolo della causa
depositando la propria comparsa di risposta con appello incidentale entro la
scadenza del termine di cui all’art. 325 c.p.c., ovvero (b) proporre
comunque la sua impugnazione con citazione notificata entro lo stesso
termine: impugnazione certamente ammissibile e destinata ad essere
riunita e considerata a sua volta “incidentale” rispetto alla prima.
Ciò, in quanto la norma di cui all’art. 333 c.p.c., che impone il rispetto delle
forme di cui agli art. 343 e 371 c.p.c., introduce una sanzione di
“decadenza” ma solo per la diversa fattispecie, di cui si è dato prima conto,
nella quale l’impugnazione incidentale venga invece proposta al di fuori dei
predetti modelli processuali, cioè senza il rispetto anche dei relativi termini,
ancorché siano tuttora pendenti quelli di cui agli art. 325 e 327 c.p.c..

1.15. Per quanto fin qui detto, dal momento che, come si è visto, il sistema
processuale appresta idonei strumenti per scongiurare il paventato
pregiudizio in danno dell’appellante incidentale nella fattispecie

de qua,

vanno ritenuti manifestamente infondati i dubbi di legittimità costituzionale
prospettati dalla ricorrente, sia con riferimento al principio di uguaglianza di
cui all’art. 3 cost., posto che l’appellante incidentale viene a trovarsi in una
posizione processuale diversa rispetto alla parte che più sollecitamente
abbia impugnato la sentenza, ma ugualmente tutelata nella facoltà di
proporre un appello “tempestivo”; sia appunto con riferimento agli art. 24 e

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evitare la eventuale sanzione di inefficacia di cui all’art 334, secondo comma,

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Udienza del 8 gennaio 2014

111 cost., in considerazione della ripetuta ampiezza della tutela
giurisdizionale assicurata attraverso i mezzi processuali previsti dal codice.
Né può argomentarsi in senso contrario sul rilievo che la notifica
dell’impugnazione principale eseguita l’ultimo giorno utile per
l’impugnazione incidentale renda di fatto sostanzialmente preclusa o

tempestività; soccorrendo infatti in proposito il principio:

diligentibus iura

succurrunt, secondo cui è solo imputabile all’appellato il ritardo nel non
avere a sua volta proposto comunque la propria preventivata impugnazione.

1.16. La sentenza impugnata è dunque corretta nella parte in cui ha
ritenuto “tardivo” l’appello proposto dalla Montepaschi, in base al seguente
principio di diritto:
La parte, alla quale sia stato notificato l’appello principale, ove
intenda proporre appello incidentale tempestivo, deve comunque
osservare i termini di cui agli art. 325 e 327 c.p.c.; sicché, nel caso
in cui l’appello principale sia stato notificato in prossimità della
scadenza dei termini medesimi, allo scopo di evitare la eventuale
sanzione di inefficacia di cui all’art 334, secondo comma, c.p.c., per
il caso in cui volontariamente o involontariamente l’appellato
principale (omettendo di costituirsi in giudizio o determinandone
comunque le relative condizioni) dia poi luogo ad una causa di
inammissibilità o improcedibilità della propria impugnazione, può
alternativamente: (a) procedere alla iscrizione a ruolo della causa
depositando la propria comparsa di risposta con appello incidentale
entro la scadenza del termine di cui all’art. 325 c.p.c., ovvero (b)
proporre la sua impugnazione con citazione notificata entro lo
stesso termine.
Tali rilievi escludono la manifesta fondatezza del dubbio di
legittimità costituzionale, in relazione agli art. 3, 24 e 111 Cost.,
delle norme di cui agli art. 325, 327, 333, 334 c.p.c., nella parte in
cui non consentirebbero una impugnazione incidentale tempestiva

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fortemente comprima la possibilità di conseguire il risultato della sua

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Udienza del 8 gennaio 2014

nel caso di notifica di quella principale a ridosso della scadenza dei
termini.

2. Il secondo motivo di ricorso.
2.1. Col secondo motivo di ricorso la Montepaschi lamenta che la sentenza

c.p.c..
La norma violata sarebbe l’art. 334 c.p.c..
Espone la ricorrente, al riguardo, che la Corte d’appello ha ritenuto
inapplicabile all’appello incidentale da essa proposto l’art. 334 c.p.c., sul
presupposto che esso aveva ad oggetto un capo autonomo della sentenza, e
non dipendente dall’impugnazione principale.
Tale statuizione sarebbe tuttavia erronea, perché la giurisprudenza di
legittimità ammette oggi l’impugnazione incidentale tardiva anche quando
sia rivolta contro parti diverse dell’impugnante principale.

2.2. Il motivo è inammissibile per difetto di interesse.
La Montepaschi è nel vero allorché afferma che l’impugnazione incidentale
tardiva è consentita non solo quando abbia ad oggetto il medesimo capo
della sentenza impugnato dall’appellante principale, ma anche quando
investa un capo autonomo, ovvero sia rivolta nei confronti di parte diversa
dall’appellante principale.
A questo approdo la giurisprudenza di legittimità è pervenuta per effetto dei
due fondamentali arresti pronunciati dapprima da Sez. U, Sentenza n.
4640 del 07/11/1989, Rv. 464074 (che ha ampliato l’ambito oggettivo
dell’impugnazione incidentale tardiva, consentendola avverso qualsiasi capo
della sentenza, anche se diverso da quello investito dall’impugnazione
principale); e quindi da Sez. U, Sentenza n. 24627 del 27/11/2007, Rv.
600589, che ha ampliato l’ambito soggettivo dell’impugnazione incidentale
tardiva, consentendola anche contro parti diverse dall’impugnante principale.

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QPL/

impugnata sia viziata da violazione di legge, ai sensi dell’art. 360, n. 3,

R.G.N. 15241/10
Udienza del 8 gennaio 2014

2.3. Tuttavia nel caso di specie, come si dirà tra breve, corretta fu la
pronuncia d’appello circa l’inammissibilità dell’appello principale proposto
dalla UGC.
Pertanto, anche a ritenere ammissibile, ai sensi dell’art. 334 c.p.c.,
l’impugnazione incidentale tardiva proposta dalla Montepaschi, questa non

perso efficacia a causa della pronuncia di inammissibilità dell’appello
principale.

3. Il terzo motivo di ricorso.
3.1. Col terzo motivo la Montepaschi lamenta il vizio di violazione di legge,
ai sensi dell’art. 360, n. 3, c.p.c..
La norma violata è indicata nell’art. 111 c.p.c..
Espone, al riguardo, la ricorrente che nel corso del giudizio la BNL aveva
ceduto ad altra società il credito posto a fondamento del decreto ingiuntivo
in base al quale era stata iscritta l’ipoteca oggetto del contendere.
Tuttavia, trattandosi di cessione a titolo particolare, essa non aveva fatto
venir meno la legitimatio ad causam della BNL e, per essa, della sua
mandataria UGC, giusta la previsione dell’art. 111 c.p.c..

3.2. Il motivo è inammissibile.
La Corte d’appello di Messina ha dichiarato inammissibile l’appello della UGC
non già perché, essendo avvenuta la cessione del credito da parte della BNL,
questa (ed i suoi mandatari) avessero per ciò solo perso la legittimazione ad
agire e contraddire nel presente giudizio.
L’inammissibilità del gravame principale venne motivata dalla Corte
d’appello in base al rilievo che il mandato conferito dalla BNL alla UGC non
comprendeva il potere di agire nel presente giudizio di cognizione, in quanto
ne costituiva oggetto unicamente il potere di prendere parte alle “procedure
esecutive”.
Il terzo motivo di ricorso censura pertanto una ratio decidendi diversa da
quella effettivamente posta dalla Corte d’appello a base della propria
decisione.

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r

ne trarrebbe alcun vantaggio, in quanto comunque il suo appello avrebbe

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Udienza del 8 gennaio 2014

4. Il quarto motivo di ricorso.
4.1. Col quarto motivo di ricorso la Montepaschi lamenta il vizio di
violazione di legge, ai sensi dell’art. 360, n. 3, c.p.c..
La norma violata è ravvisata nell’art. 285 c.p.c..

grado era avvenuta in modo viziato, e da essa non si poteva far decorrere a
carico della Montepaschi il termine breve di cui all’art. 325 c.p.c..
Duplice, secondo la ricorrente, fu il vizio della notifica della sentenza. Da un
lato, essa avvenne “alla parte presso il procuratore costituito”, e non a
quest’ultimo; dall’altro, mancava nell’atto l’indicazione della parte ad istanza
della quale fu eseguita la notifica.

4.2. Il motivo è infondato.
Il primo profilo di censura non tiene conto del consolidato principio secondo
cui la notifica della sentenza in forma esecutiva alla parte presso il
procuratore costituito è equivalente a quella eseguita al procuratore stesso
ed è, pertanto, idonea a far decorrere il termine breve d’impugnazione per il
destinatario (ex plurimis, Sez. L, Sentenza n. 8071 del 02/04/2009, Rv.
607606).
Il secondo profilo di censura è smentito dall’esame degli atti, consentito
dalla natura del vizio denunciato, dai quali si rileva che sull’ultima pagina
della copia della sentenza notificata, allegata proprio al fascicolo della
Montepaschi, vi è la tradizionale stampigliatura nella quale l’ufficiale
giudiziario afferma di avere proceduto alla notifica “ad istanza come in atti”;
e poco prima, in calce alla formula esecutiva, si legge che la stessa venne
rilasciata “a richiesta dell’avv. Mazzei nel’interesse di Marotta Giulia + /”.
Dunque alcun dubbio avrebbe mai potuto nutrire la Montepaschi circa la
provenienza soggettiva della notifica.

5. Il quinto motivo di ricorso.

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e

Espone la ricorrente, al riguardo, che la notifica della sentenza di primo

R.G.N. 15241/10
Udienza del 8 gennaio 2014

5.1. Col quinto motivo di ricorso la Montepaschi lamenta la “omessa
pronuncia” della Corte d’appello sui motivi concernenti il merito dell’appello
dichiarato inammissibile.

5.2. Il motivo è ovviamente inammissibile, in quanto l’assorbimento
ad

ingressum litis impediens non costituisce una “omessa pronuncia”.

6. Le spese.
Le spese del giudizio di legittimità vanno poste a carico del ricorrente, ai
sensi dell’art. 385, comma 1, c.p.c., nei confronti di tutti gli intimati, in base
al tradizionale principio secondo cui il rimborso delle spese processuali
sostenute dal terzo chiamato in causa dal convenuto deve essere posto a
carico dell’attore, ove la chiamata in causa si sia resa necessaria in
relazione alle tesi sostenute dall’attore stesso e queste siano risultate
infondate, a nulla rilevando che l’attore non abbia proposto nei confronti del
terzo alcuna domanda

(ex multis,

Sez. 1, Sentenza n. 7431 del

14/05/2012, Rv. 622605).
P.q.m.
la Corte di cassazione, visto l’art. 383, comma primo, c.p.c.:
-) rigetta il ricorso;
-) condanna la Banca Monte dei Paschi di Siena s.p.a. alla rifusione in favore
di Ottavio Marotta e Giulia Maria Marotta, in solido, delle spese del presente
grado di giudizio, che si liquidano nella somma di euro 12.200, di cui 200
per spese vive;
-) condanna la Banca Monte dei Paschi di Siena s.p.a. alla rifusione in favore
di Antonino Arrigo delle spese del presente grado di giudizio, che si
liquidano nella somma di euro 12.200, di cui 200 per spese vive;
-) condanna la Banca Monte dei Paschi di Siena s.p.a. alla rifusione in favore
della Allianz s.p.a. delle spese del presente grado di giudizio, che si
liquidano nella somma di euro 12.200, di cui 200 per spese vive.
Così deciso in Roma, nella camera di consiglio della Terza Sezione civile
della Corte di cassazione, addì 8 gennaio 2014.

e-

dell’esame del merito a causa dell’accoglimento d’una pregiudiziale

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