Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 7518 del 29/03/2010

Cassazione civile sez. lav., 29/03/2010, (ud. 15/12/2009, dep. 29/03/2010), n.7518

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE LAVORO

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. ROSELLI Federico – Presidente –

Dott. LAMORGESE Antonio – Consigliere –

Dott. STILE Paolo – rel. Consigliere –

Dott. TOFFOLI Saverio – Consigliere –

Dott. NAPOLETANO Giuseppe – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

sentenza

sul ricorso 29950/2006 proposto da:

FABBRICA MOTORI AUTOMOBILISTICI – F.M.A. S.R.L., in persona del

legale rappresentante pro tempore, elettivamente domiciliata in

ROMA, VIA FARAVELLI 22, presso lo studio dell’avvocato DE LUCA

TAMAJO RAFFAELE, BOURSIER NIUTTA, che la rappresentano e difendono

unitamente all’avvocato FONTANA GIORGIO, giusta delega a margine del

ricorso;

– ricorrente –

contro

C.D., elettivamente domiciliato in ROMA, VIA BISSOLATI

N. 76, presso lo studio dell’avvocato STUDIO: TOSETTO-WEIGMANN E

ASSOCIATI, rappresentato e difeso dagli avvocati CARDILLO ORESTE,

GIOVANNETTI ALESSANDRA, giusta delega a margine del controricorso;

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 54 82/2 005 della CORTE D’APPELLO di NAPOLI,

depositata il 07/11/2005 R.G.N. 116/05;

udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del

15/12/2009 dal Consigliere Dott. PAOLO STILE;

udito l’Avvocato DE MARINIS NICOLA per delega RAFFAELE DE LUCA TAMAJO

e FONTANA GIORGIO;

udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott.

FUZIO Riccardo, che chiede il rigetto del ricorso.

 

Fatto

SVOLGIMENTO DEL PROCESSO

Con ricorso depositato in data 3 maggio 2001, C.D. si rivolgeva al Tribunale di Avellino, in funzione di giudice del lavoro, esponendo di avere lavorato alle dipendenze della F.M.A. -Fabbrica di Motori Automobilistici – dal (OMISSIS), quale operaio di (OMISSIS) livello.

Aggiungeva che le associazioni sindacali avevano proclamato una giornata di sciopero dalle ore 22 del (OMISSIS) alle ore 22 del giorno successivo ed in tale occasione egli aveva sostato dalle ore 22 del (OMISSIS) sino alle ore 24, unitamente ad un folto gruppo di scioperanti, fuori dai cancelli aziendali e ad una certa distanza da essi.

Soggiungeva che la società, con lettera (OMISSIS), gli aveva contestato la partecipazione ad azioni violente nel corso della giornata di sciopero, indirizzate in particolare verso il collega N.A., impedendogli l’ingresso e tentando di percuoterlo.

Precisava che, disattendendo le giustificazioni rassegnate, l’azienda lo aveva licenziato con provvedimento 13/11/00, impugnato in via d’urgenza dinanzi al Tribunale di Avellino, conclusosi con accoglimento delle istanze in detta sede rassegnate.

Esposte tali premesse, ribadiva le censure in ordine alla genericità della lettera di contestazione, posta in essere in violazione della L. n. 300 del 1970, art. 7, ed alla illegittimità della condotta datoriale, confluita in un provvedimento espulsivo privo di giusta causa e giustificato motivo, ritenuto comunque sproporzionato alla presunta mancanza ascrittagli, e concludeva per la declaratoria di illegittimità del licenziamento irrogatogli e per il ripristino del rapporto di lavoro, ai sensi della L. n. 300 del 1970, art. 18, con tutte le conseguenze risarcitorie ivi previste.

Instaurato il contraddittorio, si costituiva la società resistendo al ricorso di cui chiedeva la reiezione.

Espletata attività istruttoria mediante l’audizione di testi e l’acquisizione di documenti, con sentenza 7/1/04 il Tribunale accoglieva le domande, ordinando la reintegra del ricorrente nel posto di lavoro, con condanna della società al risarcimento del danno commisurato alla retribuzione globale di fatto dal di del licenziamento sino all’effettivo soddisfo.

Avverso tale decisione, con ricorso depositato in data 7/1/05, proponeva appello la società, che censurava l’impugnata sentenza, essenzialmente ponendo in rilievo che le mancanze ascritte alla controparte erano riferibili, come inequivocabilmente emerse in sede istruttoria, ad un complessivo comportamento del dipendente di assoluta gravità e tale da scuotere irrimediabilmente il vincolo fiduciario che qualifica il rapporto di lavoro. Sulla scorta di tali argomentazioni, concludeva per la riforma dell’impugnata sentenza con rigetto delle domande proposte in prime cure dal C..

Questi, costituitosi, resisteva al gravame deducendone l’infondatezza e chiedendone la reiezione.

Con sentenza del 20 settembre – 7 novembre 2005, l’adita Corte di Appello di Napoli rigettava l’impugnazione.

A sostegno della decisione osservava che l’esame del materiale probatorio acquisito, pur evidenziando profili di responsabilità a carico del C., non consentiva di pervenire ad un giudizio di fondatezza circa la legittimità della sanzione espulsiva, per la carenza del requisito di proporzionalità rispetto alla mancanza addebitata.

Per la cassazione di tale pronuncia ricorre la S.p.A F.M.A. Fabbrica Motori Automobilistici con due motivi, ulteriormente illustrati da memoria ex art. 378 c.p.c..

Resiste C.D. con controricorso.

Diritto

MOTIVI DELLA DECISIONE

Con il primo motivo di ricorso la società Fabbrica Motori Automobilistici censura la sentenza della Corte territoriale per aver affermato l’insussistenza della giusta causa con riferimento a comportamenti che lo stesso Giudice di appello aveva ritenuto non solo provati ma considerati illegittimi, essendosi concretizzati nell’aver impedito con la forza fisica l’ingresso in azienda di un collega di lavoro in occasione di uno sciopero.

Una tale ricostruzione – ad avviso della ricorrente – violerebbe la disposizione di cui all’art. 2119 c.c., secondo il quale la giusta causa di recesso si configura ogni volta che si sia al cospetto di fatti che impediscano la prosecuzione del rapporto di lavoro, giacchè radicalmente lesivi del vincolo fiduciario che pur deve sussistere fra le parti del rapporto di lavoro.

Nella fattispecie, il comportamento del lavoratore avrebbe, peraltro, prodotto una evidente violazione della libertà sindacale negativa di altri dipendenti, essendosi risolto in un impedimento fisico, conseguito mediante un’azione certamente illecita ai danni di coloro che intendevano recarsi regolarmente al lavoro.

Con il secondo motivo, deducendosi, ancora, la violazione e falsa applicazione dell’art. 2119 c.c., si censura la ritenuta non proporzionalità della sanzione adottata dall’azienda rispetto ai fatti accertati, con critiche specifiche alle motivazioni addotte dalla Corte partenopea, anche sotto il profilo della loro contraddittorietà.

Il ricorso, pur valutato nelle sue diverse articolazioni, è infondato.

Va preliminarmente osservato che, secondo il maggioritario orientamento di questa Corte, cui va prestata adesione, in tema di licenziamento individuale per giusta causa o per giustificato motivo soggettivo (che ha natura ontologicamente disciplinare e al cui procedimento sono applicabili le garanzie procedurali in materia di pubblicità della normativa, di contestazione preventiva dell’addebito e di difesa del lavoratore), ai sensi dell’art. 2119 c.c., o della L. n. 604 del 1966, art. 3, il giudizio di proporzionalità o adeguatezza della sanzione dell’illecito commesso – istituzionalmente rimesso al giudice di merito – si sostanzia nella valutazione della gravità dell’inadempimento imputato al lavoratore in relazione al concreto rapporto e a tutte le circostanze del caso, dovendo tenersi al riguardo in considerazione la circostanza che l’inadempimento, ove provato dal datore di lavoro in assolvimento dell’onere su di lui incombente citata L. n. 604 del 1966, ex art. 5, deve essere valutato tenendo conto della specificazione in senso accentuativo a tutela del lavoratore rispetto alla regola generale della “non scarsa importanza” di cui all’art. 1455 c.c., sicchè l’irrogazione della massima sanzione disciplinare risulta giustificata solamente in presenza di un notevole inadempimento degli obblighi contrattuali ovvero addirittura tale da non consentire la prosecuzione neppure provvisoria – durante il periodo di preavviso – del rapporto (ex plurimis, Cass. 24 luglio 2006 n. 16864; Cass. 16 maggio 2006 n. 11430; Cass. 14 gennaio 2003 n. 444).

Pertanto, l’esito favorevole di un giudizio avente ad oggetto l’impugnazione di un licenziamento disciplinare che si assume ingiustificato, è determinato dall’esclusione dell’inadempimento imputato al lavoratore (anche determinata dal mancato assolvimento dell’onere della prova posto a carico del datore di lavoro dalla L. n. 604 del 1966, art. 5), ovvero, ove risultino accertate mancanze imputabili al lavoratore, che queste siano valutate, con riferimento al concreto rapporto e a tutti gli elementi del caso, non di gravità tale da giustificare la massima sanzione disciplinare.

Invero, nel formulare la sua decisione, la Corte territoriale ha osservato che una accurata disamina del materiale probatorio acquisito al pregresso grado ed alla diversa fase del giudizio, pur evidenziando innegabili profili di responsabilità a carico del C., diversamente da quanto argomentato dal giudice di prima istanza, non consentiva di pervenire ad un giudizio di fondatezza circa la legittimità della sanzione espulsiva, per la carenza del requisito di proporzionalità rispetto alla mancanza addebitata.

Sul punto, il Giudice di appello non ha tralasciato di considerare che le deposizioni testimoniali, cui l’appellante aveva fatto riferimento, erano risultate idonee a definire a carico del dipendente lo svolgimento di una condotta che non appariva riconducibile tout court, alla mera “persuasione anche vivace ed alla dissuasione nei confronti dei non scioperanti”; così come non ha trascurato di evidenziare che lo stesso N. aveva riferito di essere stato spinto da alcuni lavoratori, di essere riuscito ad entrare in fabbrica grazie alle forze dell’ordine e di essere stato condotto in sala medica perchè era molto spaventato. E proprio tenendo conto di tali circostanze la Corte partenopea ha coerentemente ritenuto che la condotta del C. non fosse riconducibile, cosi come asserito dal Giudice di prima istanza, al legittimo esercizio dello sciopero garantito costituzionalmente.

Pertanto, in tale prospettiva, la condotta assunta dall’appellato, in quanto diretta ad impedire l’ingresso in fabbrica di altri lavoratori, che non intendevano aderire alla agitazione proclamata, non poteva non definirsi illegittima, in quanto tesa alla compressione dell’altrui diritto all’espletamento della prestazione lavorativa, pur garantito dall’art. 4 Cost., così come al diritto della parte datoriale alla prosecuzione della attività aziendale che persiste anche durante lo svolgimento di uno sciopero.

Esposte tali premesse, la Corte di merito ha, tuttavia, rilevato che la pur censurabile condotta posta in essere dal C., non appariva idonea a giustificare l’irrogazione della massima sanzione disciplinare. A sostegno di tale assunto, ha considerato che il comportamento del dipendente, come definito alla luce delle deposizioni testimoniali raccolte, non era sfociato in atti di materiale violenza ai danni del compagno di lavoro, il quale risultava fosse stato strattonato e fatto arretrare rispetto all’ingresso della fabbrica che egli aveva già varcato, senza che, tuttavia, fosse stato fatto segno di ulteriore violenza fisica o di percosse.

Nè d’altro canto era emerso che lo strattonamento fosse stato di tale intensità da porre a rischio la sua incolumità fisica per effetto di urti o di caduta al suolo.

Ha osservato, pertanto, la Corte che, in ragione del principio generale di ragionevolezza e di proporzionalità che presiede alla nozione di giusta causa di licenziamento, il fatto addebitato al resistente, pur connotato da profili di indubbia responsabilità, non si presentasse di tale gravità da scuotere irrimediabilmente il vincolo fiduciario sotteso al rapporto di lavoro, sia in considerazione di profili oggettivi connessi alla condotta materiale che non era sfociata in plateali atti di violenza nei confronti di altri dipendenti, sia per l’elemento intenzionale che aveva sorretto la condotta del lavoratore, plausibilmente condizionato dall’incandescente clima che improntava le relazioni sindacali all’epoca dei fatti. Così argomentando la propria decisione, il Giudice di appello si è uniformato all’orientamento di questa Corte secondo cui, per stabilire l’esistenza della giusta causa di licenziamento occorre in concreto accertare se – in relazione alla qualità del rapporto intercorso fra le parti, alla posizione che in esso abbia rivestito il lavoratore, alla qualità ed al grado di fiducia che quel rapporto comportava – la specifica mancanza commessa dal dipendente considerata non solo nel suo contenuto obiettivo, ma anche nella sua portata soggettiva, specie con riferimento alle particolari circostanze e condizioni in cui è posta in essere, ai suoi modi, ai suoi effetti, ed all’intensità dell’elemento psicologico, risulti idonea a ledere in modo grave, così farla venir meno, la fiducia che il datore di lavoro ripone nel proprio dipendente e tale quindi, da esigere sanzioni non minore di quelle massime, definitivamente espulsive (ex plurimis, Cass. 15 febbraio 2008 n. 3865).

Ad ulteriore sostegno della correttezza della offerta soluzione, la Corte territoriale ha tenuto a precisare che detta soluzione risultava confortata dal confronto tra la vicenda esaminata e l’apparato sanzionatorio previsto dal c.c.n.l. metalmeccanici applicato al rapporto di lavoro.

Ha in proposito richiamato l’art. 25 del contratto che sanziona con il licenziamento infrazioni connotate da livelli di gravità ben maggiori rispetto a quella commessa dall’appellato (ad esempio la rissa in azienda, che comporta lo scontro fra due opposte fazioni con il ricorso a vie di fatto, ovvero il danneggiamento volontario al materiale dell’azienda…).

Risultando la impugnata decisione congruamente e logicamente motivata e priva di vizi che possano inficiarne la correttezza, il ricorso va rigettato.

L’indubbia illiceità del comportamento del C. induce a compensare le spese di questo giudizio.

P.Q.M.

La Corte rigetta il ricorso e compensa le spese di questo giudizio.

Così deciso in Roma, il 15 dicembre 2009.

Depositato in Cancelleria il 29 marzo 2010

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