Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 7518 del 08/03/2022

Cassazione civile sez. II, 08/03/2022, (ud. 19/10/2021, dep. 08/03/2022), n.7518

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SECONDA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. ORILIA Lorenzo – Presidente –

Dott. BELLINI Ubaldo – rel. Consigliere –

Dott. TEDESCO Giuseppe – Consigliere –

Dott. CASADONTE Annamaria – Consigliere –

Dott. DONGIACOMO Giuseppe – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 6759-2017 proposto da:

C.M., rappresentato e difeso dagli Avv. MODESTINO

ACONE, e PASQUALE ACONE, ed elettivamente domiciliato presso Maria

Teresa Acone, in ROMA, Via BUCCARI 3;

– ricorrente –

contro

S.M.L., rappresentata e difesa dagli Avv. FRANCESCO

ANDREOTTOLA, e LUCIANO FORGIONE, ed elettivamente domiciliata presso

lo studio dell’avv. Anna Russo, in ROMA, Via ANAPO 22;

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 4419/2016 della CORTE d’APPELLO di NAPOLI,

depositata il 15/12/2016;

udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del

19.10.2021 dal Consigliere Dott. UBALDO BELLINI.

 

Fatto

FATTI DI CAUSA

Con ricorso al Pretore di Frigento dell’1.10.1983, S.M.L., proprietaria di fabbricati rurali con annessa corte in contrada (OMISSIS) (in catasto al foglio (OMISSIS)), esponeva che MICHELE C., proprietario dell’immobile confinante, previa demolizione di manufatti precari (uno di muratura adibito a garage e una baracca in legno) non facenti parte del fabbricato principale, si accingeva alla realizzazione di un fabbricato in difformità del progetto depositato presso il Comune di Frigento e relativa concessione edilizia mantenendosi entro la linea di confine della zona aderente al preesistente fabbricato e allargandosi a ventaglio nella proprietà dell’istante, nella parte terminale. Pertanto, la ricorrente proponeva ricorso per denuncia di nuova opera e chiedeva la sospensione cautelare dei lavori e la demolizione delle opere sul terreno di sua proprietà.

Si costituiva C.M., assumendo di avere realizzato le opere in perfetta rispondenza a quanto assentito dalla concessione edilizia e negando usurpazioni ai danni della S..

Il Pretore dichiarava la propria incompetenza per valore indicando competente il Tribunale di Sant’Angelo dei Lombardi.

Con sentenza non definitiva dell’11.4.2004, il Tribunale accoglieva il capo di domanda relativo allo sconfinamento ritenendo, sulla scorta della seconda CTU, che il C. avesse occupato mq 4,44 del suolo di proprietà della S. e lo condannava a restituire il terreno usurpato; negava l’applicazione dell’art. 938 c.c. in mancanza della prova della buona fede del costruttore e stante l’opposizione della S.; rimetteva la causa in istruttoria in ordine alle altre domande.

Avverso detta sentenza proponeva appello il C. chiedendo il rigetto delle domande accolte dal primo Giudice e, in subordine, l’accoglimento della domanda di accessione invertita.

Resisteva la S. chiedendo il rigetto del gravame.

Acquisiti chiarimenti dal CTU ed espletati i mezzi istruttori richiesti, con sentenza n. 4348/2010, la Corte d’Appello di Napoli condannava il C. a rimuovere le sole opere realizzate sulla zona di terreno di mq. 0,88 e a rilasciare detta porzione di suolo a favore della S.; confermava nel resto la sentenza di primo grado e compensava tra le parti le spese del grado.

Contemporaneamente il giudizio proseguiva dinanzi al Tribunale di Sant’Angelo dei Lombardi per la decisione in ordine alle altre lamentate violazioni.

Con sentenza n. 85/2008, il Tribunale di Sant’Angelo dei Lombardi condannava il C. a chiudere tutte le vedute aperte in entrambi i fabbricati di sua proprietà poste a distanza di meno di ml. 10 dalle opposte pareti finestrate dell’attrice e a pagare, a titolo di risarcimento dei danni, la somma di Euro 15.000,00, con gli interessi dalla proposizione del ricorso per denunzia di nuova opera, e a pagare l’80% delle spese del giudizio, oltre alle spese per tutte le CTU. Stabiliva l’obbligo del C. di chiudere tutte le vedute poste a meno di 10 metri dalle pareti finestrate della S., facendo riferimento al D.M. n. 1444 del 1968, art. 9 valevole per i territori compresi in zona sismica.

Avverso detta sentenza proponeva appello il C. chiedendo il rigetto della domanda proposta dalla S. relativa al preteso rispetto della distanza di 10 m per le vedute esistenti nel fabbricato dell’appellante dalla parete finestrata del fabbricato della S. e ciò anche a seguito dell’accoglimento dell’eccezione di usucapione; di rigettare la domanda di risarcimento dei danni ovvero, in subordine, ridurre l’entità della somma determinata dal primo Giudice.

Si costituiva la S. chiedendo il rigetto del gravame e proponendo appello incidentale con il quale chiedeva la condanna del C. ad arretrare l’intera costruzione alla distanza di 10 metri dalla parete finestrata dell’appellata; in subordine, ordinare la rimozione della saracinesca del garage e la chiusura dell’apertura anche dall’esterno ed elevare l’ammontare del danno alla maggior somma ritenuta di giustizia.

Espletata la prova per testi in relazione all’eccezione di usucapione, con sentenza n. 4419/2016, depositata in data 15.12.2016, la Corte d’Appello di Napoli accoglieva in parte sia l’appello principale che quello incidentale, condannando il C. ad arretrare la nuova costruzione eseguita sulla part. (OMISSIS) alla distanza di metri 10 dall’immobile della S. e a risarcire alla medesima il danno per l’illegittima imposizione del peso dalla domanda giudiziale all’attualità tramite il pagamento della somma già rivalutata di Euro 25.000,00 oltre interessi al tasso legale; condannava il C. al pagamento dei 2/3 delle spese del doppio grado del giudizio, compensando la restante parte.

Avverso detta sentenza propone ricorso per cassazione C.M. sulla base di quattro motivi illustrati da memoria. Resiste S.M.L. con controricorso.

Diritto

RAGIONI DELLA DECISIONE

1. – Con il primo motivo, il ricorrente lamenta la “Violazione degli artt. 99,112,277,279 e 340 c.p.c. e degli artt. 2909 c.c., nonché del D.M. n. 1444 del 1968, art. 9 (art. 360 c.p.c., n. 3)”, osservando che con la sentenza non definitiva del 2004 (che lo condannava alla restituzione di mq. 4,44 di terreno di proprietà della S.), era stata superata la domanda riguardante il rispetto della distanza tra i frontisti fabbricati, avendo il Giudice implicitamente deciso in senso negativo la domanda fondata sul rispetto della distanza legale tra i due fabbricati. Del resto, con la sentenza definitiva, il Tribunale aveva limitato la decisione al rispetto della distanza di vedute, ordinando la chiusura delle finestre violavano detta distanza. Aggiunge il ricorrente che quella che la Corte territoriale aveva ritenuto essere un’omissione di pronuncia da parte del Tribunale, altro non era se non il vincolo del giudicato interno di rigetto implicito della domanda avente ad oggetto il rispetto della distanza tra costruzioni. Di conseguenza, la S. avrebbe dovuto impugnare la sentenza non definitiva o proporre riserva di appello.

1.1. – Il motivo non è fondato.

1.2. – Dall’esame degli atti, consentito dalla natura del vizio dedotto (Cass. 17450 del 2022), risulta che la S. aveva domandato anche l’arretramento della costruzione (v. denuncia di nuova opera e atto di riassunzione). La sentenza non definitiva dell’11.4.2004 dava atto che tra le domande formulate figurava (oltra quella di demolizione di quanto realizzato per effetto dello sconfinamento) anche quella di arretramento. Dalla sentenza non definitiva, dunque, si evince chiaramente che l’esame delle “altre domande” era stato rinviato, mentre a decisione era rimasta limitata alla occupazione del suolo (per l’esame delle altre domande venne anche nominato un C.T.U.).

Pertanto, come correttamente rilevato dalla Corte del gravame, nessun appello doveva proporre l’attrice sulla questione della distanza, per il semplice motivo che la sentenza non definitiva del Tribunale aveva rinviato tale questione all’esito del giudizio.

Dallo stesso svolgimento dei fatti in esame si evince che con la sentenza non definitiva il GOA accoglieva il capo di domanda relativo allo sconfinamento, ritenendo che il C. avesse occupato mq 4,44 del suolo di proprietà della S. e lo condannava a restituire il terreno usurpato; negava l’applicazione dell’art. 938 c.c. in mancanza della prova della buonafede del costruttore e stante l’opposizione della S.; “rimetteva la causa in istruttoria in ordine alle altre domande”, riservando alla pronuncia definitiva la disciplina delle spese (sentenza impugnata pag. 3; nonché pag. 5, con riguardo alle conclusioni rassegnate dalle parti nelle rispettive conclusionali di appello).

1.3. – Si rileva dunque corretta la sentenza, là dove la Corte di merito accoglieva il primo motivo dell’appello incidentale, ritenendo che il Tribunale avesse limitato la sua decisione alle vedute, senza pronunciarsi sulla domanda della S., che aveva ad oggetto l’arretramento del nuovo fabbricato; e che non rilevava il fatto che la S. non avesse appellato la sentenza non definitiva del Tribunale del 6.5.2004, di condanna del C. alla rimozione delle opere realizzate su suolo dell’attrice e a restituirle il terreno usurpatole. Nella fattispecie, la S., pendente il giudizio di primo grado, non avrebbe potuto proporre gravame lamentando l’omessa pronuncia sulla domanda tesa a ottenere il rispetto delle distanze tra fabbricati che doveva costituire, al pari della questione delle vedute, oggetto della sentenza definitiva. Pertanto, poiché il Tribunale, in sede di sentenza definitiva, si era pronunciato solo sulle distanze delle vedute e non su quelle legali tra costruzioni, del tutto lecitamente il motivo era stato formulato in tale sede. Aggiungeva la Corte, poi, che l’adozione da parte del Comune di Frigento di strumenti urbanistici contrastanti con la L. n. 1150 del 1942, art. 41 quinquies come introdotto dalla L. n. 765 del 1967, art. 17 comportava l’obbligo di disapplicare le disposizioni illegittime e di applicare direttamente la disposizione di cui al D.M. n. 1444 del 1968, art. 9 (rispetto dei 10 metri anziché dei 6 metri tra pareti finestrate dei fabbricati) che, per inserzione automatica, costituisce parte integrante dello strumento urbanistico (Cass. sez. un. 11023 del 2004; Cass. n. 23533 del 2011).

2. – Con il secondo motivo, il ricorrente lamenta l'”Omesso esame circa un fatto decisivo per il giudizio che è stato oggetto di discussione tra le parti (art. 360 c.p.c., n. 5)”. La Corte d’Appello avrebbe omesso di esaminare il rapporto tra la domanda fondata sulla violazione delle distanze tra le costruzioni e quella fondata sull’invasione di una parte del suolo occupato dal fabbricato.

2.1. – Il motivo è infondato.

2.2. – Costituisce principio consolidato che il novellato paradigma dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5 (nella nuova formulazione adottata dal D.L. n. 83 del 2012, convertito dalla L. n. 134 del 2012, ed applicabile ratione temporis) consenta di denunciare in cassazione (oltre all’anomalia motivazionale che si tramuta in violazione di legge costituzionalmente rilevante) solo il vizio dell’omesso esame di un fatto storico, principale o secondario, la cui esistenza risulti dal testo della sentenza o dagli atti processuali, che abbia costituito oggetto di discussione tra le parti e abbia carattere decisivo, vale a dire che, ove esaminato, avrebbe determinato un esito diverso della controversia (Cass. sez. un. 8053 del 2014; conf. Cass. n. 14014 del 2017; Cass. n. 9253 del 2017).

Nel caso di specie, la Corte d’appello ha esaminato il rapporto tra le due domande, con ciò escludendo il giudicato implicito.

3. – Con il terzo motivo, il ricorrente eccepisce la “Violazione dell’art. 1226 c.c., art. 2043 c.c. e ss., art. 2056 c.c., in riferimento agli artt. 934 c.c. e ss. e al D.M. n. 1444 del 1968, art. 9 (art. 360 c.p.c., n. 3)”.

3.1. – Con il quarto motivo, il ricorrente deduce l'”Omesso esame circa un fatto decisivo per il giudizio che è stato oggetto di discussione tra le parti (art. 360 c.p.c., n. 5). Il precedente motivo viene proposto anche sub specie della violazione dell’art. 360 c.p.c., n. 5″.

3.2. – Consequenziale al rigetto dei primi due motivi, tra loro legati per l’assoluta identità, è il rigetto anche degli ulteriori motivi. Peraltro il ricorrente non ha contestato le modalità di liquidazione del danno o la sua quantificazione, essendosi limitato a richiedere una riduzione in ragione dell’auspicato accoglimento dei precedenti motivi.

4. – Il ricorso va, pertanto, rigettato. Le spese seguono la soccombenza e si liquidano come da dispositivo. Va emessa altresì la dichiarazione ex D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater.

P.Q.M.

La Corte rigetta il ricorso. Condanna il ricorrente al pagamento in favore della controricorrente delle spese del presente grado di giudizio, che liquida in complessivi Euro 3.500,00 oltre ad Euro 200,00 per rimborso spese vive, ed al rimborso forfettario spese generali, in misura del 15%, ed accessori di legge. Ex D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater sussistono i presupposti per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello per il ricorso, a norma dell’art. 13, comma 1 bis se dovuto.

Così deciso in Roma, nella camera di consiglio della sezione seconda civile della Corte Suprema di Cassazione, il 19 ottobre 2021.

Depositato in Cancelleria il 8 marzo 2022

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