Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 7517 del 28/03/2010

Cassazione civile sez. lav., 29/03/2010, (ud. 02/12/2009, dep. 29/03/2010), n.7517

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE LAVORO

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. VIDIRI Guido – Presidente –

Dott. DE RENZIS Alessandro – Consigliere –

Dott. STILE Paolo – Consigliere –

Dott. NOBILE Vittorio – Consigliere –

Dott. NAPOLETANO Giuseppe – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

sentenza

sul ricorso 14746/2006 proposto da:

C.A., elettivamente domiciliata in ROMA, VIALE

G.MAZZINI 157, presso lo studio dell’avvocato MANGANIELLO Emilio, che

la rappresenta e difende, giusta mandato a margine del ricorso;

– ricorrente –

contro

ELSAG STI S.P.A., ELSAG S.P.A.;

– intimati –

sul ricorso 19158/2006 proposto da:

STI S.P.A., in persona del legale rappresentante pro tempore,

elettivamente domiciliata in ROMA, L.G. FARAVELLI 22, presso lo

studio dell’avvocato MORRICO ENZO, che la rappresenta e difende,

giusta mandato a margine del controricorso e ricorso incidentale;

– controricorrente e ricorrente incidentale –

contro

C.A., ELSAG S.P.A.;

– intimate –

sul ricorso 19159/2006 proposto da:

ELSAG S.P.A., in persona del legale rappresentante pro tempore,

elettivamente domiciliato in ROMA, L.G. FARAVELLI 22, presso lo

studio dell’avvocato MORRICO ENZO, che lo rappresenta e difende,

giusta mandato a margine del controricorso e ricorso incidentale;

– controricorrente e ricorrente incidentale –

contro

C.A., elettivamente domiciliata in ROMA, VIALE G.

MAZZINI 157, presso lo studio dell’avvocato MANGANIELLO EMILIO, che

la rappresenta e difende, giusta mandato a margine del ricorso;

– controricorrente al ricorso incidentale –

e contro

ELSAG STI S.P.A.;

– intimata –

avverso la sentenza n. 324/2005 della CORTE D’APPELLO di ROMA,

depositata il 06/06/2005 r.g.n. 5201/03;

udita la relazione della causa svolta nella Pubblica udienza del

02/12/2009 dal Consigliere Dott. GIUSEPPE NAPOLETANO;

udito l’Avvocato MANGANIELLO EMILIO per C.A.;

udito l’Avvocato COSENTINO VALERIA per delega MORRICO ENZO per ELSAG

S.P.A. e STI S.P.A.;

udito il P.M., in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott.

MATERA Marcello, che ha concluso per il rigetto del ricorso

principale; assorbito il ricorso incidentale.

 

Fatto

SVOLGIMENTO DEL PROCESSO

C.A. conveniva in giudizio, dinanzi al Tribunale di Roma, la Elsag s.p.a. e la Elsag Sti s.p.a. per ottenere, in via principale, la costituzione del rapporto di lavoro, ex art. 2932 c.c., tra essa ricorrente e le predette società a far data dal 26 luglio 2000 o, in subordine, dal 31 marzo 2001 con la qualifica indicata in ricorso e la condanna in solido delle convenute, o ancora in subordine della seconda società, ovvero della prima società, al pagamento delle retribuzioni maturate dalla data di decorrenza del rapporto sino alla data della sentenza. L’adito giudice rigettava la domanda.

La sentenza veniva confermata dalla Corte di Appello di Roma.

Ritenevano, innanzitutto, i giudici di appello che il vantato diritto della C., alla costituzione del rapporto di lavoro nei confronti delle società convenute, non poteva trovare fondamento nell’accordo del 26 luglio 2000, intercorso tra dette società e la Mediaser s.p.a., nei cui confronti la C. aveva ottenuto – con sentenza, passata in giudicato,ma mai “attuata” – la condanna ad essere assunta ed al risarcimento del danno.

Siffatto accordo,infatti, sottolineavano i giudici di secondo grado, era riferibile a “coloro che, già dipendenti della società Mediaser, ne erano stati licenziati”.

La posizione creditrice della C., quindi, secondo detti giudici, non potendo “essere assimilata a quella di un prestatore di lavoro che avesse instaurato un rapporto di lavoro, non essendo lo stesso mai venuto in essere” rimaneva dall’ambito di operatività del suddetto accordo.

Escludevano, poi, i giudici di appello, la sussistenza di una obbligazione delle società appellate in virtù del precitato accordo, non tanto perchè non era configurabile un trasferimento d’azienda tra la società Mediaser e quelle convenute, quanto piuttosto perchè l’art. 2112 c.c., “è invocabile solo per i diritti e gli obblighi dei lavoratori il cui contratto di lavoro o rapporto di lavoro sussiste alla data del trasferimento” e, nella specie il rapporto di lavoro con la società Mediaser non si era mai costituito.

Nè, precisavano i giudici dell’impugnazione, “avrebbe potuto trovare applicazione l’art. 2560 c.c., non essendo stato nè dedotto nè tanto meno provato che il credito risultasse dai libri contabili della Mediaser Italia s.r.l. o che le società appellate ne fossero comunque a conoscenza al momento dell’acquisizione dell’appalto, non essendo le stesse, parti nel giudizio promosso dalla C., oltre tutto conclusosi solo pochi giorni prima dell’accordo del 26-7-2000”.

Avverso tale sentenza la C. propone ricorso per cassazione assistito da tre censure.

Le società intimate resistono con distinti controricorsi, proponendo, ciascuna, ricorso incidentale condizionato fondato su di un unico analogo motivo.

Resiste, con controricorso ai ricorsi incidentali la C..

Le parti depositano memorie illustrative.

Diritto

MOTIVI DELLA DECISIONE

Rileva, preliminarmente, la Corte che i ricorsi vanno riuniti riguardando la impugnazione della stessa sentenza.

Con il primo motivo la C. denuncia, formulando il quesito di diritto di cui all’art. 366 bis c.p.c., così come introdotto dal D.Lgs. 2 febbraio 2006, n. 40, violazione e falsa applicazione degli artt. 2112, 2558 e 2908 c.c. e art. 111 c.p.c., comma 4, per non aver affermato il diritto della ricorrente – pacificamente addetta al complesso aziendale ceduto dalla Mediaser alla Elsag Sti S.p.a. e destinataria di sentenza definitiva di condanna della Mediaser alla sua assunzione – alla continuazione del rapporto di lavoro con la società Elsag Sti S.p.a. con conseguente illegittimità del recesso L. n. 300 del 1970, ex art. 18.

Allega, al riguardo, che erra la Corte territoriale nel ritenere mai costituito il rapporto di lavoro con la società Mediaser in quanto ciò contrasta con la sentenza definitiva che ha condannato detta società ad assumere essa ricorrente.

Sostiene che la sentenza de qua non può essere equiparata ad una sentenza, di mero accertamento, che dichiara il diritto all’assunzione.

Sottolinea, poi, l’irrilevanza, del richiamo, operato dai giudici di appello, alla dichiarazione d’inammissibilità, di cui alla sentenza passata in giudicato, della domanda ex art. 2932 c.c., in quanto si era, in quella sede, sostenuta la perfetta “assimilazione della sentenza di condanna alla assunzione rispetto alla sentenza ex art. 2932 c.c.”.

Afferma, inoltre, la ricorrente che “qualora, come nel caso di specie, il recesso e/o l’interruzione del rapporto non sia legittima e, comunque, sia contestata è evidente che l’applicabilità dell’art. 2112 c.c., è indiscutibile, proprio perchè funzionale all’eliminazione della illegittima interruzione del rapporto”.

Allega, ancora, che pur ammettendo che la sentenza passata in giudicato non abbia effetti costitutivi, comunque ai sensi dell’art. 2558 c.c., le resistenti dovevano ritenersi succedute nel contratto collettivo aziendale a favore di terzo invocato da essa ricorrente e nel conseguente obbligo all’assunzione. Al contrario, assume la C., la sentenza impugnata, richiamandosi all’art. 2560 c.c., anzichè all’art. 2558 c.c., ha violato tale disposizione. Assume, infine, che deve ritenersi, quantomeno violato l’art. 111 c.p.c., comma 4, in quanto dall’affermazione della sussistenza di una ipotesi di trasferimento “doveva affermarsi la successione della Elsag Sti S.p.a. nell’obbligo dell’assunzione” di cui alla sentenza passata in giudicato, con conseguente obbligo della Elsag Sti S.p.a. al risarcimento del danno.

Con la seconda censura la ricorrente deduce violazione e falsa applicazione dell’art. 116 c.p.c., artt. 2110 e 2560 c.c. “per aver ritenuto non provata la conoscenza del credito all’assunzione della ricorrente in virtù della sentenza del Tribunale di Roma 4/7- 1/8/2000, n. 4228, da parte delle resistenti nonostante l’espressa formale costituzione in mora, spedita e ricevuta dalla Mediaser in data antecedente alla successione dell’appalto da parte della Elsag Sti S.p.a., e tempestivamente depositata in atti”.

In particolare, la ricorrente lamenta che la Corte territoriale non ha tenuto conto, nell’escludere l’applicazione dell’art. 2560 c.c., ed in violazione dell’art. 116 c.p.c., che la conoscenza del credito risulta provata dalla predetta formale costituzione in mora.

Con il terzo motivo la C., denuncia violazione e falsa applicazione degli artt. 1362, 1363, 1366 e 1369 c.c., “per non avere applicato il criterio dell’interpretazione del contratto collettivo in coerenza con i principi giuridici dell’istituto su cui incide (nel caso, il trasferimento d’azienda) e comunque per non aver applicato il criterio dell’interpretazione letterale. Detto criterio avrebbe condotto ad affermare che il termine proveniente non può essere equiparato ad ex dipendente, ma deve essere inteso nel senso di lavoratore proveniente da quel complesso aziendale oggetto del trasferimento d’azienda, e che la comune intenzione delle parti era nel senso che l’iscrizione alle liste di mobilità costituiva criterio di selezione prioritario e non esclusivo e non integrante il fatto costitutivo del diritto all’assunzione, configurato esclusivamente dalla provenienza dal complesso aziendale.

Con un unico, analogo, motivo del ricorso incidentale condizionato le società resistenti deducono violazione e falsa applicazione degli artt. 2112 e 2697 c.c., nonchè omessa, insufficiente contraddittoria motivazione su un punto decisivo della controversia.

Prospettano che la Corte territoriale ha, erroneamente, ritenuto che sia configurabile la fattispecie del trasferimento d’azienda anche nella ipotesi di successione nell’esecuzione di un servizio di appalto in assenza di qualsivoglia rapporto contrattuale tra cedente e cessionario.

Nè la Corte del merito ha tenuto conto,sostengono le società resistenti, nell’affermare la sostanziale identità del complesso organizzato di beni impiegati per l’esecuzione dell’appalto, della discontinuità fra l’attività svolta da Mediaser e quella posta in essere da esse resistenti.

Il ricorso principale, cui motivi vanno esaminati congiuntamente per la stretta connessione logico-giuridica, è infondato.

Osserva, preliminarmente il Collegio che l’art. 366 bis c.p.c., così come introdotto dal D.Lgs. n. 40 del 2006, art. 6, in relazione al quale la ricorrente pone i quesiti di diritto, trova applicazione solo per i ricorsi per cassazione proposti avverso decisioni pubblicate a decorrere dal 2 marzo 2006 ,mentre, nella specie, la decisione impugnata è stata pubblicata in data anteriore. Pertanto questa Corte rimane dispensata, nella presente controversia, dall’applicare la norma di rito in parola, pur tenendo conto, ai fini di una migliore intelligibilità dei motivi, del contenuto dei quesiti posti quale sintesi logico-giuridica delle questioni sottoposte al vaglio di questo giudice di legittimità.

Tanto premesso, rileva, in primo luogo, la Corte che risulta del tutto irrilevante, ai fini decisori, la tesi della ricorrente che ha patrocinato la fondatezza della sua domanda sulla base del passaggio in giudicato della decisione del Tribunale di Roma.

Invero, in punto di fatto, – come emerge dagli atti di causa e specificamente dal contenuto del ricorso della C. – la ricorrente principale è stata dipendente della Saepius s.p.a sino al 3 settembre 1993 – data in cui era stata licenziata per cessazione dell’attività – e che la Mediser s.p.a. – cui era succeduta la Mediser Italia s.r.l. per atto di cessione di azienda del (OMISSIS) – si era impegnata ad assumerla insieme ad altri 36 lavoratori.

Orbene, nell’affermare il suo diritto a vedersi reintegrare, in ragione di quanto disposto dall’art. 2112 c.c., la ricorrente principale avrebbe dovuto provare – nel rispetto dei principi sull’onere della prova alla cui osservanza era assoggettata ai sensi dell’art. 2697 c.c. – che vi era stata una cessione di azienda tra la Saepius s.p.a. e la Mediser s.p.a., e, poi, altri negozi di cessione di azienda tra la s.p.a. Mediser e la s.r.l. Mediser ed ancora con le altre società evocate in giudizio.

Avrebbe, la ricorrente, dovuto provare ancora che tali cessioni riguardavano l’intero complesso aziendale o solo un ramo di azienda comprensiva della forza lavoro funzionale all’esercizio dell’attività aziendale che la cessionaria si apprestava a svolgere.

E sempre nella stessa direzione la C. avrebbe dovuto dimostrare con esattezza quale fosse l’effettiva destinataria della pronunzia del Tribunale di Roma, se cioè fosse la s.p.a. Mediser o la s.r.l Mediser ed – una volta chiarito tutto ciò – avrebbe, infine, dovuto attestare che, contrariamente a quanto asserito nella impugnata sentenza, essa C. fosse da considerarsi dipendente della società cedente e se detta società, prima di cedere il complesso aziendale (o una sua parte), non avesse risolto i rapporti di lavoro con gli altri suoi dipendenti.

Situazione questa che avrebbe avuto una immediata ricaduta in ogni caso anche sulla C., in quanto la stessa non avrebbe potuto rivendicare un diritto – quello alla continuazione del rapporto lavorativo – non spettante agli altri lavoratori suoi colleghi destinatari di provvedimenti di risoluzione del loro rapporto lavorativo.

In altri termini, non è sufficiente, ai fini decisori, sostenere, come ha fatto la C. nel ricorso, una equiparazione, nella fattispecie in esame, tra la sentenza costitutiva del rapporto lavorativo a quella di condanna alla costituzione del rapporto lavorativo di cui alla sentenza passata in giudicato del Tribunale di Roma.

Difettando tutto ciò, deve escludersi ai fini decisori la intercorrenza, nella fattispecie in esame, di qualsiasi rapporto di lavoro legittimante l’accoglimento della domanda della C., potendo vantare quest’ultima solo un diritto all’assunzione rispetto al quale la predetta promittente è rimasta inadempiente.

Sotto altro versante, al fine di confortare la soluzione cui si è pervenuto, va evidenziato, come emerge dalla sentenza impugnata, che la C. è stata dipendente della Saepius sino al 3 settembre 1993 – data in cui era stata licenziata per cessazione dell’attività e che la Mediser s.p.a., cui era succeduta la Mediser Italia per atto di cessione di azienda del (OMISSIS), si era impegnata ad assumere insieme ad altri 36 lavoratori.

Relativamente alla dedotta violazione dell’art. 2558 c.c., è sufficiente poi richiamare, in senso contrario, la giurisprudenza di questa Corte secondo la quale, nel caso di trasferimento di azienda, la regola di cui all’art. 2558 c.c., dell’automatico subentro del cessionario in tutti i rapporti contrattuali a prestazioni corrispettive non aventi carattere personale si applica soltanto ai cosiddetti “contratti di azienda” (aventi ad oggetto il godimento di beni aziendali non appartenenti all’imprenditore e da lui acquisiti per lo svolgimento della attività imprenditoriale) e ai cosiddetti “contratti di impresa” (non aventi ad oggetto diretto beni aziendali, ma attinenti alla organizzazione dell’impresa stessa, come i contratti di somministrazione con i fornitori, i contratti di assicurazione, i contratti di appalto e simili), semprechè non siano soggetti a specifica diversa disciplina, come i contratti di lavoro, di consorzio e di edizione, rispettivamente regolati dall’art. 2112 c.c., art. 2610 c.c. e della L. 22 aprile 1941, n. 633, art. 132 (Cfr. Cass. 2 marzo 2002 n. 3045 in una fattispecie in cui è stata cassata la sentenza impugnata che aveva ritenuto applicabile l’indicata regola del subentro ad un accordo sindacale e Cass. 29 gennaio 2003 n. 1278).

La rilevata insussistenza di una rapporto di lavoro tra la società Mediaser e la ricorrente giustifica, poi, la coerente applicazione, da parte dei giudici di appello, della regola, sancita da questa Corte di legittimità, secondo la quale la disciplina posta dall’art. 2112 c.c., comma 2, come novellato dalla L. 29 dicembre 1990, n. 428, art. 47 (di attuazione della direttiva del Consiglio delle Comunità europee n. 77/187 del 14 febbraio 1977), presuppone, al pari di quella prevista dai commi 1 e 3 della medesima disposizione, quanto alla garanzia della continuazione del rapporto e dei trattamenti economici e normativi applicabili, la vigenza del rapporto di lavoro e, quindi, non è riferibile ai crediti maturati nel corso di rapporti di lavoro cessati ed esauriti anteriormente al trasferimento d’azienda, così come, peraltro, espressamente prevede l’art. 3, punto 1, della citata direttiva, salva in ogni caso l’applicabilità dell’art. 2560 c.c., che contempla, in generale, la responsabilità dell’acquirente per i debiti dell’azienda ceduta (tra i quali rientrano anche i crediti dei lavoratori a prescindere, in tal caso, dall’eventuale risoluzione del rapporto prima della cessione), ove risultino dai libri contabili obbligatori (Cass. 12 dicembre 1997 n. 12899).

Non è, quindi, pertinente la denunciata violazione dell’art. 111 c.p.c., comma 4.

E’, inoltre, conseguentemente, fuori luogo il richiamo, operato dai giudici di secondo grado, alla disciplina di cui all’art. 2560 c.c., per escludere la responsabilità delle attuali resistenti dal debito del risarcimento del danno correlato al mancato adempimento dell’obbligo all’assunzione, di cui alla sentenza passata in giudicato, emessa nei confronti della Mediaser. D’altro canto, non è contestato il rilievo della Corte territoriale secondo il quale non è stato “nè dedotto nè tanto meno provato che il credito (di cui trattasi) risultasse dai libri contabili obbligatori della Mediaser Italia s.r.l.”.

Nè può rilevare, ai fini della conoscenza di siffatto debito da parte delle società intimate, la invocata “messa in mora” trattandosi di atto non destinato a tali ultime società, ma alla Mediaser e di cui la ricorrente, in violazione del principio di autosufficienza, non riporta il testo nel ricorso, nonostante lamenti la non corretta valutazione dello stesso.

La censura di erronea interpretazione del contratto collettivo cade a fronte della mancata trascrizione nel ricorso, in violazione del citato principio di autosufficienza, del testo della clausola di cui si denuncia la non corretta esegesi.

Ed infine la stessa formulazione del ricorso della C., nel quale sì articola un petitum incentrato su una pluralità di richieste i cui elementi fondati si configurano alternativi e in certa misura inconciliabili tra essi, concretizza un ulteriore elemento che porta a non dare ingresso in questa sede di legittimità alle censure spiegate dalla ricorrete principale.

Sulla base delle esposte considerazioni il ricorso principale va rigettato e quelli incidentali condizionati vanno dichiarati assorbiti.

Le spese del giudizio di legittimità seguono la soccombenza.

P.Q.M.

La Corte rigetta il ricorso principale, dichiara assorbiti i ricorsi incidentali condizionati. Condanna la ricorrente al pagamento delle spese del giudizio di legittimità liquidate in Euro 29,00 oltre Euro 2000,00 per onorario ed oltre spese, I.V.A. e C.P.A..

Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio, il 2 dicembre 2009.

Depositato in Cancelleria il 29 marzo 2010

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