Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 7516 del 25/03/2020

Cassazione civile sez. I, 25/03/2020, (ud. 11/11/2019, dep. 25/03/2020), n.7516

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE PRIMA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. GIANCOLA Maria Cristina – Presidente –

Dott. PERRICONE Angelina Maria – Consigliere –

Dott. SCALIA Laura – Consigliere –

Dott. CATALLOZZI Paolo – Consigliere –

Dott. ANDRONIO Alessandro – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso proposto da:

O.E., nato in (OMISSIS), rappresentato e difeso dall’avv.

Francesco Maria De Giorgi ed elettivamente domiciliato presso il suo

studio in Lecce, via Garibaldi 3;

– ricorrente –

contro

Ministero dell’Interno, ((OMISSIS));

– intimato –

avverso il decreto del TRIBUNALE di LECCE depositato il 29/10/2018;

udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio non

partecipata del 11/11/2019 dal consigliere Dott. Alessandro M.

Andronio.

Fatto

FATTI DI CAUSA

1. Con decreto del 29 ottobre 2018, il Tribunale di Lecce ha rigettato il ricorso proposto dall’interessato avverso il provvedimento di diniego della Commissione territoriale per il riconoscimento della protezione internazionale di Lecce.

2. Avverso il decreto l’interessato ha proposto ricorso per cassazione, deducendo: 1) l’erronea applicazione del principio dell’onere della prova attenuato e il mancato esercizio di poteri istruttori d’ufficio in relazione alla verifica della situazione del paese di provenienza del richiedente; 2) la violazione del D.Lgs. n. 251 del 2007, artt. 3 e 4 per la mancata considerazione della situazione del paese e della regione di provenienza (Esan State), nonostante l’interessato abbia riferito di fenomeni di intolleranza religiosa, di corruzione delle forze dell’ordine, di attività violente di gruppi ribelli; 3) la violazione del D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 7 per la mancata considerazione della persecuzione subita dal richiedente per le sue idee religiose, che avevano provocato il suo licenziamento dal lavoro e l’irruzione di un gruppo armato in casa di sua madre; 4) la violazione del D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 14 in relazione alla protezione sussidiaria, per il mancato riconoscimento dell’esistenza di una minaccia grave alla vita e all’incolumità e la mancata considerazione della situazione del paese di provenienza; 5) la violazione del D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 2 per l’omessa considerazione della persecuzione subita dal richiedente in quanto di religione cristiana; 6) la violazione dell’art. 3 Cost., sotto il profilo del diritto di difesa, non essendo previsto dall’ordinamento un doppio grado di giudizio di merito, ma il solo rimedio del ricorso per cassazione contro la decisione del tribunale; 7) la mancata considerazione della specifica situazione del richiedente, quale emergeva dalle sue dichiarazioni; 8) la violazione del D.Lgs. n. 25 del 2008, art. 35-bis, comma 11, sul rilievo che, in mancanza di videoregistrazione dell’audizione davanti alla Commissione territoriale, il Tribunale avrebbe dovuto fissare l’udienza di comparizione e procedere all’audizione dell’interessato.

3. L’amministrazione intimata non si è costituita.

Diritto

RAGIONI DELLA DECISIONE

1. Il ricorso è infondato e deve essere rigettato.

1.1. Quanto ai motivi 1), 2), 3), 4), 5), 7), deve osservarsi che le doglianze del ricorrente consistono nella mera riproposizione di rilievi già sottoposti dall’interessato al Tribunale in relazione a una situazione di persecuzione alla quale egli sarebbe sottoposto nel suo paese di origine, in quanto si era licenziato dall’ospedale dove lavorava dopo essere stato ingiustamente accusato di un furto ed era espatriato alla ricerca di un nuovo lavoro.

Sul punto, il decreto impugnato reca una motivazione pienamente logica e coerente – e, dunque, insindacabile in sede di legittimità – laddove evidenzia l’assoluta inverosimiglianza della versione dei fatti fornita, priva di credibilità intrinseca. Si rileva, in particolare, che il ricorrente ha riferito circostanze del tutto generiche circa le ragioni per cui si è licenziato e non ha saputo riferire se vi siano state denunce o indagini per il furto del quale sostiene di essere stato accusato, così sostanzialmente ammettendo di essere stato spinto ad emigrare per ragioni economiche. E all’iniziale versione dei fatti il ricorrente aggiunge, con il ricorso per cassazione, l’ulteriore prospettazione – anch’essa del tutto generica – secondo cui sarebbe stato vittima di persecuzione in quanto di religione (OMISSIS).

Dunque, a fronte dei rilievi del richiedente, privi di sufficiente specificità, il Tribunale ha correttamente applicato il principio, costantemente affermato dalla giurisprudenza di questa Corte, secondo cui in tema di protezione internazionale, il disposto del D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 3, comma 1, nell’imporre al richiedente di presentare tutti gli elementi e la documentazione necessari a motivare la domanda, costituisce un aspetto del più generale dovere di collaborazione istruttoria a cui lo stesso è tenuto, ma non fissa una regola di giudizio, sicchè la scelta degli elementi probatori e la valutazione di essi, ai sensi del successivo comma 3, lett. b), rientrano nella sfera di discrezionalità del giudice di merito, il quale non è obbligato a confutare dettagliatamente le singole argomentazioni svolte dalle parti su ciascuna delle risultanze probatorie, nè a compiere l’analitica valutazione di ciascun documento prodotto, ma deve soltanto fornire, mediante un apprezzamento globale della congerie istruttoria raccolta, un’esauriente e convincente motivazione sulla base degli elementi ritenuti più attendibili e pertinenti (ex plurimis, Sez. 1, Ord. n. 21881 del 30/08/2019, Rv. 655165 – 01; Sez. 1, Ord. n. 15794 del 12/06/2019, Rv. 654624 – 01). Ha altresì correttamente evidenziato che non sussistono i presupposti per la protezione sussidiaria, perchè i fatti specificati, quanto al paese di origine e quanto, più in generale, alla situazione personale, non configurano una persecuzione o danno grave, nè un pericolo di persecuzione o di danno ai sensi del D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 14.

Quanto alla protezione umanitaria – oggetto di generici richiami nel ricorso per cassazione – va osservato che, secondo la giurisprudenza di questa Corte, il riconoscimento del diritto al permesso di soggiorno per motivi umanitari di cui al D.Lgs. n. 286 del 1998, art. 5, comma 6, al cittadino straniero che abbia realizzato un grado adeguato di integrazione sociale in Italia, deve fondarsi su una effettiva valutazione comparativa della situazione soggettiva ed oggettiva del richiedente con riferimento al Paese d’origine, al fine di verificare se il rimpatrio possa determinare la privazione della titolarità e dell’esercizio dei diritti umani, al di sotto del nucleo ineliminabile costitutivo dello statuto della dignità personale, in correlazione con la situazione di integrazione raggiunta nel paese d’accoglienza (ex multis, Sez. 1, n. 4455 del 23/02/2018, Rv. 647298 – 01). E deve ricordarsi, inoltre, che l’orizzontalità dei diritti umani fondamentali comporta che, ai fini del riconoscimento della protezione, occorre operare la valutazione comparativa della situazione soggettiva e oggettiva del richiedente con riferimento al Paese di origine, in raffronto alla situazione d’integrazione raggiunta nel paese di accoglienza, senza che abbia rilievo l’esame del livello di integrazione raggiunto in Italia, isolatamente ed astrattamente considerato (Sez. U, n. 29459 del 13/11/2019, Rv. 656062 – 02). Tale valutazione comparativa è stata compiutamente effettuata dal Tribunale, che – come visto – ha ritenuto non credibile la versione fornita dall’interessato; cosicchè non può essere ritenuto sussistente alcun pericolo di trattamenti inumani. Il Tribunale ha anche verificato l’insussistenza di una situazione generalizzata di pericolo nel paese di origine, spingendo il suo sindacato ben oltre la prospettazione dell’interessato, sulla base di documentazione proveniente da organizzazioni internazionali e associazioni umanitarie, presa in considerazione d’ufficio, giungendo ad accertare che egli non presenta profili di vulnerabilità nel suo paese di origine. In particolare, nel provvedimento impugnato si evidenzia l’insussistenza di conflitti o persecuzioni religiose nelle aree di riferimento.

1.2. Deve essere ritenuta manifestamente infondata la questione di legittimità costituzionale proposta con il sesto motivo di doglianza, con cui si dubita del sistema di tutela giurisdizionale in riferimento all’art. 3 Cost., non essendo previsto dall’ordinamento un doppio grado di giudizio di merito. E’ sufficiente qui ricordare che questa Corte ha già affermato la manifesta insussistenza di un contrasto con gli artt. 3,24,111 Cost. del regime di non reclamabilità del decreto che definisce il procedimento per l’ottenimento della protezione internazionale, non esistendo una copertura costituzionale del principio del doppio grado di giurisdizione di merito, per di più a fronte delle particolari esigenze di celerità del procedimento in oggetto, ed essendo comunque previsto il ricorso per cassazione (ex multis, Sez. 1, n. 27700 del 30/10/2018, Rv. 651122).

1.3. Infine, deve ritenersi insussistente la violazione del D.Lgs. n. 25 del 2008, art. 35-bis, commi 10 e 11, lamentata con l’ottavo motivo di doglianza. La disposizione in questione stabilisce, infatti, che, in mancanza di videoregistrazione dell’audizione davanti alla Commissione territoriale, il Tribunale sia tenuto a fissare l’udienza di comparizione; cosa avvenuta nel caso di specie (udienza del 25 settembre 2018). Non sussiste, invece, alcun obbligo di procedere, in tale udienza, all’audizione dell’interessato, il quale sarà sentito in giudizio solo qualora il giudice nel caso concreto ravvisi la necessità di chiarimenti (ex multis, Sez. 1, n. 17717 del 05/07/2018, Rv. 649521); necessità che non vi è nel caso di specie, in quanto le ragioni che hanno spinto il richiedente a lasciare il suo paese sono già state compiutamente esaminate dalla Commissione territoriale, mentre la difesa non ha evidenziato lacune o profili problematici tali da rendere necessaria una nuova audizione.

2. Nulla è dovuto per le spese dal ricorrente soccombente, non essendosi costituita la controparte.

Va dato atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte del ricorrente, ai sensi del D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13, comma 1 quater, nel testo introdotto dalla L. 24 dicembre 2012, n. 228, art. 1, comma 17, di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato, in misura pari a quello, ove dovuto, per il ricorso, a norma dello stesso art. 13, comma 1 bis.

PQM

La Corte rigetta il ricorso.

Ai sensi del D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13, comma 1 quater, nel testo introdotto dalla L. 24 dicembre 2012, n. 228, art. 1, comma 17, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato, pari a quello, ove dovuto, per il ricorso, a norma dello stesso art. 13, comma 1-bis.

Così deciso in Roma, il 11 novembre 2019.

Depositato in Cancelleria il 25 marzo 2020

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