Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 7515 del 08/03/2022

Cassazione civile sez. un., 08/03/2022, (ud. 09/11/2021, dep. 08/03/2022), n.7515

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONI UNITE CIVILI

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. SPIRITO Angelo – Primo Presidente f.f. –

Dott. MANNA Felice – Presidente di sez. –

Dott. MANZON Enrico – Consigliere –

Dott. ESPOSITO Lucia – Consigliere –

Dott. GIUSTI Alberto – Consigliere –

Dott. CARRATO Aldo – Consigliere –

Dott. MARULLI Marco – Consigliere –

Dott. SCRIMA Antonietta – rel. Consigliere –

Dott. MANCINO Rossana – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 6140-2021 proposto da:

REGIONE VENETO, in persona del Presidente pro tempore, elettivamente

domiciliata in ROMA, VIA F. CONFALONIERI 5, presso lo studio

dell’avvocato ANDREA MANZI, che la rappresenta e difende unitamente

agli avvocati FRANCO BOTTEON, FRANCESCO ZANLUCCHI, e LUISA LONDEI;

– ricorrente –

contro

IMPRESA FONTANA S.R.L., in proprio e quale capogruppo mandataria

della costituenda ATI con Brussi Costruzioni s.r.l., in persona del

legale rappresentante pro tempore, elettivamente domiciliata in

ROMA, VIA GIOVANNI AMENDOLA 46, presso lo studio dell’avvocato MARIO

ETTORE VERINO, che la rappresenta e difende unitamente agli avvocati

MATTEO ZAMBELLI, ALBERTO GAZ, FRANCO ZAMBELLI, ed ANNAMARIA

TASSETTO;

– controricorrente –

per regolamento di giurisdizione in relazione al giudizio pendente n.

8142/2020 del TRIBUNALE di VENEZIA.

Udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del

9/11/2021 dal Consigliere Dott. ANTONIETTA SCRIMA;

lette le conclusioni scritte del Sostituto Procuratore Generale Dott.

CARDINO ALBERTO, il quale chiede che la Corte voglia dichiarare la

giurisdizione del Giudice Amministrativo, assumendo i provvedimenti

di cui all’art. 382 c.p.c.

Fatto

RILEVATO

che:

la Regione Veneto ha proposto ricorso per regolamento preventivo di giurisdizione, diretto ad ottenere la declaratoria del difetto di giurisdizione del Giudice ordinario in relazione al procedimento RGN 8142/2020 pendente dinanzi al Tribunale Ordinario di Venezia, promosso dalla Impresa Fontana S.r.l., in proprio e quale capogruppo mandataria della costituenda ATI con Brussi Costruzioni s.r.l., nei confronti dell’attuale ricorrente e volto alla condanna di quest’ultima – previo accertamento della responsabilità della medesima per violazione del legittimo affidamento ingenerato nella parte attrice, in relazione ai fatti di causa – al pagamento, in favore della società attrice, di complessivi Euro 1.126.547,08 (dei quali Euro 701.305,08 a titolo di danno emergente ed Euro 425.242,00 a titolo di lucro cessante), ovvero alla maggiore o minore somma risultante in corso di causa ovvero da liquidarsi in via equitativa, oltre interessi e rivalutazione dal di della domanda al soddisfo;

nell’atto di citazione Impresa Fontana S.r.l. in proprio e nella dedotta qualità, aveva rappresentato che nel 2003 Merotto S.p.a., Monti S.p.a. e Tecnoimpresa Fontana S.r.l., in qualità di costituendo soggetto promotore, avevano avanzato alla Regione Veneto una proposta L. n. 109 del 1994, ex art. 37-bis e ss. al fine di realizzare un “Intervento di messa in sicurezza dei torrenti (OMISSIS)”; con nota del 10 ottobre 2007 la Regione Veneto aveva comunicato alla capogruppo Monti S.p.a. che la proposta era stata selezionata in quanto ritenuta tecnicamente più idonea a risolvere le criticità presenti nell’area di intervento nonché maggiormente in sintonia con gli indirizzi della programmazione regionale; la procedura di V.I.A. si era conclusa con la Delib. Giunta Regionale 16 marzo 2012, n. 397 che, preso atto del parere positivo del Commissione V.I.A., aveva espresso giudizio positivo di compatibilità ambientale con prescrizioni; nelle more della procedura Merotto S.p.a. e poi Monti S.p.a. avevano lasciato la costituita ATI e Impresa Fontana S.r.l., già Tecnoimpresa Fontana S.r.l., era subentrata come impresa mandataria e capogruppo; con successiva Delib. 18 novembre 2014, n. 2173 la Giunta regionale aveva dichiarato di pubblico interesse l’iniziativa nominando la costituenda ATI come soggetto promotore; il 7 aprile 2016 era stato pubblicato il bando di gara con relativo disciplinare; alla gara avevano preso parte Impresa Fontana S.r.l. e Brussi Costruzioni S.r.l., subentrata nella costituenda ATI; con nota del 23 dicembre 2016 alla predetta ATI era stata comunicata l’aggiudicazione provvisoria dell’appalto; era seguito uno scambio di note tra l’attrice e la Regione e le risposte inviate da quest’ultima erano, ad avviso dell’attrice, del tutto generiche e superficiali, finché in data 19 giugno 2018 il RUP aveva inviato copia del parere negativo espresso dal NUVV nella seduta del 12 aprile 2018 ed aveva disposto contestualmente la sospensione della procedura sine die; a seguito della presentazione di istanza di accesso agli atti l’attrice aveva visionato alcuni atti ed in particolare era venuta a conoscenza dell’intendimento della Regione Veneto di dar corso all’iter di revisione di cui alla L.R. n. 15 del 2015, art. 44, comma 7-ter con la sottoposizione del progetto all’esame di un Comitato Scientifico per la valutazione della permanenza dell’interesse pubblico alla realizzazione dell’intervento in project financing; con pec del 3 dicembre 2018 l’attrice si era doluta del comportamento della P.A., che aveva deciso di sospendere la procedura, ormai quasi giunta al suo epilogo, invece di statuirne la conclusione, tenuto conto anche del considerevole lasso di tempo intercorso dal suo inizio, in tal modo disattendendo i canoni di buona fede e correttezza negoziale, ed aveva chiesto il ristoro del pregiudizio subito, rappresentato dalle ingenti spese, anche progettuali, sostenute e dalle numerose occasioni contrattuali medio tempore perse; con comunicazione in data 11 ottobre 2019, l’Unità organizzativa Genio Civile di Belluno aveva preannunciato l’avvio del procedimento di rimozione, in autotutela, degli atti della procedura di affidamento; erano quindi seguiti mesi di trattative per una definizione bonaria della controversia rivelatesi del tutto infruttuose, sicché l’attrice aveva adito le vie legali;

la Regione Veneto, che si era costituita eccependo preliminarmente il difetto di giurisdizione del G.O., ha quindi proposto il regolamento di giurisdizione all’esame;

l’Impresa Fontana S.r.l. ha depositato controricorso, concludendo per il rigetto del ricorso per regolamento preventivo di giurisdizione e per la conferma del G.O. adito;

il P.G. ha chiesto dichiararsi la giurisdizione del G.A. con l’assunzione dei provvedimenti ex art. 382 c.p.c.;

sia la ricorrente che la controricorrente hanno depositato memorie ex art. 378 c.p.c..

Diritto

CONSIDERATO

che:

la ricorrente sostiene che la giurisdizione sulla domanda proposta dalla controparte spetterebbe al G.A. e non al G.O., dovendosi nella specie applicare le norme di cui al D.Lgs. n. 104 del 2010, art. 7 e art. 133, comma 1, lett. e), n. 1, rientrando la controversia in esame tra i casi di giurisdizione esclusiva del G.A. e dovendosi applicare il D.Lgs. n. 104 del 2010, art. 30, comma 6 secondo cui “Di ogni domanda di condanna al risarcimento di danni per lesioni di interessi legittimi o, nelle materie di giurisdizione esclusiva, di diritti soggettivi, conosce esclusivamente il giudice amministrativo”; rappresenta che, nel caso all’esame, non essendovi stata aggiudicazione definitiva, si sarebbe ancora nell’ambito della procedura di affidamento, anzi precisamente si sarebbe in presenza di una causa risarcitoria in cui si lamenterebbe la mancata aggiudicazione del contratto; il caso di specie sarebbe connotato proprio dal rilievo che successivamente all’aggiudicazione provvisoria ma prima di quella definitiva si sarebbe ingenerato nella Fontana S.r.l. un ingiustificato affidamento a vedersi aggiudicare definitivamente il progetto ed addivenire alla stipula del contratto definitivo; ad avviso della ricorrente, sarebbe indubbia la collocazione dell’aggiudicazione provvisoria nel perimetro della fase ad evidenza pubblica e ciò si rifletterebbe sul piano del riparto giurisdizionale; la Regione Veneto richiama i principi già affermati dalla giurisprudenza di legittimità e secondo cui “nelle procedure ad evidenza pubblica, aventi ad oggetto l’affidamento di servizi pubblici, la cognizione di comportamenti ed atti assunti prima dell’aggiudicazione (da intendersi, secondo la ricorrente, definitiva) e nella successiva fase compresa tra l’aggiudicazione e la stipula di singoli contratti spetta alla giurisdizione esclusiva del giudice amministrativo, mentre nella successiva fase contrattuale riguardante l’esecuzione del rapporto la giurisdizione è attribuita al giudice ordinario” (richiama al riguardo Cass., Sez. un., 29/05/2017, 2017, n. 13454 e altre precedenti nonché Cass., Sez. un., 13/02/2018, n. 24411; a conferma richiama, altresì, giurisprudenza amministrativa secondo cui le controversie in materia di responsabilità precontrattuale per mancata aggiudicazione di contratti si pronuncia il GA, ex multis Cons. Stato, IV sez., 8/06/2020, n. 3619; Cons. Stato, Ad. pl., 4/05/2018, n. 55);

osservato che:

nella specie l’Impresa Fontana S.r.l., con l’atto di citazione, non ha inteso contestare la legittimità della comunicazione di avvio del procedimento di rimozione, in autotutela, degli atti di procedura di affidamento e/o di altri atti interlocutori adottati dalla P.A. ad evidenza pubblica né censurare le scelte discrezionali della P.A. ma si è limitata a censurare il comportamento tenuto dalla Regione Veneto che assume essere lesivo dell’affidamento legittimo ingenerato nel privato e contrario ai doveri di buona fede e correttezza;

così precisato il tema all’esame, il Collegio rileva che con le tre ordinanze nn. 6594, 6595 e 6596 del 23/03/2011 queste Sezioni Unite hanno ritenuto rientrante nella giurisdizione del giudice ordinario: a) la controversia avente ad oggetto il risarcimento dei danni lamentati per la lesione dell’affidamento ingenerato dal provvedimento favorevole (nella specie, una concessione edilizia) poi legittimamente annullato in via di autotutela (sent. n. 6594/2011); b) la controversia avente ad oggetto il risarcimento dei danni lamentati per la lesione dell’affidamento riposto nell’attendibilità della attestazione rilasciata dalla pubblica amministrazione (rivelatasi erronea) circa la edificabilità di un’area (chiesta da un privato per valutare la convenienza di acquistare un terreno) e nella legittimità della conseguente concessione edilizia, successivamente annullata (sent. n. 6595/11); c) la controversia avente ad oggetto la domanda autonoma di risarcimento danni proposta da colui che, avendo ottenuto l’aggiudicazione in una gara per l’appalto di un pubblico servizio, successivamente annullata dal giudice amministrativo, deduca la lesione dell’affidamento ingenerato dal provvedimento di aggiudicazione apparentemente legittimo (sent. n. 6596/11);

come evidenziato sempre da queste Sezioni Unite con l’ordinanza 28/04/2020, n. 8236, alla base delle richiamate pronunce vi era, in sostanza, la considerazione che i privati che avevano instaurato i giudizi in cui le medesime sono state emesse non mettevano in discussione l’illegittimità degli atti amministrativi, ampliativi della loro sfera giuridica, annullati in via di autotutela o ope judicis, ma lamentavano la lesione del loro affidamento sulla legittimità degli atti annullati e chiedevano il risarcimento dei danni da loro subiti per aver orientato le proprie scelte negoziali o imprenditoriali confidando, fino all’annullamento di tali atti, nella relativa legittimità;

la giurisprudenza successiva a tali tre ordinanze ha pure evidenziato la coesistenza, all’interno di queste Sezioni Unite, di linee di interpretative non perfettamente univoche: per un verso i principi espressi nelle tre ordinanze del 2011 sono stati ripresi e confermati nelle pronunce nn. 17586/2015, 12799/2017, 15640/2017, 19171/2017, 1654/2018, 4996/2018, 22435/2018, 32365/2018, 4889/2019, 6885/2019 e 12635/2019, nelle quali ricorre l’affermazione che la controversia relativa ai danni subiti dal privato che abbia fatto incolpevole affidamento su di un provvedimento amministrativo ampliativo della propria sfera giuridica, legittimamente annullato, rientra nella giurisdizione del giudice ordinario perché ha ad oggetto la lesione non già di un interesse legittimo pretensivo, bensì di un diritto soggettivo; diritto generalmente qualificato come “diritto alla conservazione dell’integrità del patrimonio”, leso dalle scelte compiute confidando nella legittimità del provvedimento amministrativo poi caducato (v. al riguardo, tra le altre, le sentenze nn. 12799/2017, 1654/2018 e 6885/2019); per altro verso, tuttavia, non sono mancate pronunce che, discostandosi dal già ricordato orientamento, hanno affermato che nelle materie di giurisdizione amministrativa esclusiva l’azione risarcitoria per lesione dell’affidamento riposto nella legittimità dell’atto amministrativo poi annullato rientra nella cognizione del giudice amministrativo (v., in tal senso, Cass., sez. un., n. 8057/2016, in cui si afferma che “l’azione amministrativa illegittima composta da una sequela di atti intrinsecamente connessi – non può essere scissa in differenti posizioni da tutelare, essendo controverso l’agire provvedimentale nel suo complesso, del quale l’affidamento costituisce un riflesso, privo di incidenza sulla giurisdizione”, e Cass., sez. un., n. 13454/2017, in cui si afferma che “la giurisdizione esclusiva prevede la cognizione, da parte del giudice amministrativo, sia delle controversie relative ad interessi legittimi della fase pubblicistica, sia delle controversie di carattere risarcitorio originate dalla caducazione di provvedimenti della fase predetta, realizzandosi quella situazione d’interferenza tra diritti ed interessi, tra momenti di diritto comune e di esplicazione del potere che si pongono a fondamento costituzionale delle aree conferite alla cognizione del giudice amministrativo, riguardo ad atti e comportamenti assunti prima dell’aggiudicazione o nella successiva fase compresa tra l’aggiudicazione e la mancata stipula del contratto”; inoltre Cass., sez. un., n. 13194/2018 ha ritenuto che i principi fissati nelle ordinanze del 2011 non siano applicabili qualora difetti il presupposto della sussistenza di un “provvedimento ampliativo” della sfera giuridica del privato;

nelle pronunce richiamate, viene in discussione, nelle vicende processuali esaminate, l’agire provvedimentale nel suo complesso; la giurisdizione esclusiva del giudice amministrativo si giustifica in ragione del contesto, o dell’ambiente, di stampo pubblicistico, nel quale la complessiva condotta dell’amministrazione si colloca e che connette tale condotta con l’esercizio del potere;

occorre in questa sede verificare se a tale conclusione si possa pervenire anche nel caso – come quello all’esame – in cui non si controverta sulla legittimità di un provvedimento e/o dell’attività provvedimentale bensì sulla liceità del comportamento della P.A. che si assume contrario ai doveri di buona fede e correttezza;

la questione appena enucleata è stata esaminata funditus dalla già richiamata ordinanza di queste Sezioni Unite n. 8236/20, nel cui solco si è sostanzialmente inserita anche Cass., sez. un., 11/05/2021, n. 12438;

con la richiamata ordinanza del 2020 è stato evidenziato che i sopra menzionati e coevi arresti del 2011 nn. 6594, 6595 e 6596 ponendosi in palese discontinuità con il precedente orientamento, che riteneva sufficiente, al fine del radicamento della giurisdizione esclusiva del giudice amministrativo, il mero collegamento della controversia con le materie indicate dalla legge e, in tal modo, risolveva l’operazione di riparto della giurisdizione nella mera definizione dell’area coperta dalle materie delineate dal legislatore hanno affermato che: A) la giurisdizione amministrativa presuppone l’esistenza di una controversia sul legittimo esercizio di un potere autoritativo ed è preordinata ad apprestare tutela (cautelare, cognitoria ed esecutiva) contro l’agire pubblicistico della pubblica amministrazione; B) l’attribuzione al giudice amministrativo del potere di condannare l’amministrazione al risarcimento del danno conseguente al modo in cui essa ha esercitato il potere tende a rendere piena ed effettiva la tutela del cittadino nei confronti della pubblica amministrazione, concentrando innanzi al giudice amministrativo non solo la fase del controllo di legittimità dell’azione amministrativa, ma anche quella del risarcimento del danno; tale attribuzione, tuttavia, non individua una nuova materia attribuita alla giurisdizione del giudice amministrativo (quest’ultima affermazione risale a Corte Cost. n. 204/2005 p. 3.4.1); C) l’attribuzione al giudice amministrativo della tutela risarcitoria costituisce, quindi, uno strumento ulteriore, complementare rispetto alla tradizionale tutela demolitoria, per rendere giustizia al cittadino nei confronti della pubblica amministrazione; D) il presupposto perché si possa predicare la sussistenza della giurisdizione amministrativa, tuttavia, è che il danno di cui si chiede il risarcimento nei confronti della pubblica amministrazione sia causalmente collegato all’illegittimità del provvedimento amministrativo; in altri termini, che la causa petendi dell’azione di danno sia l’illegittimità del provvedimento della pubblica amministrazione; E) esula, quindi, dalla giurisdizione amministrativa la domanda con cui il destinatario di un provvedimento illegittimo ampliativo della sua sfera giuridica chieda il risarcimento del danno subito a causa della emanazione e del successivo annullamento (ad opera del giudice o della stessa pubblica amministrazione, in via di autotutela) di tale provvedimento; la causa petendi di detta domanda, infatti, non è l’illegittimità del provvedimento amministrativo, bensì la lesione dell’affidamento dell’attore nella legittimità del medesimo;

superando, con esame analitico, le obiezioni sostenute da parte della dottrina in relazione ai richiamati arresti, queste Sezioni Unite hanno ritenuto, con la pronuncia 8236/2020, di ribadire il rilievo già espresso con le ordinanze n. 17586/2015 e n. 1162/2015, secondo cui i principi affermati con le tre ordinanze nn. 6594, 6595 e 6596 del 2011, rese con riferimento alla disciplina dettata dal D.Lgs. n. 80 del 1998, non hanno perso attualità a causa dell’entrata in vigore del codice del processo amministrativo di cui al D.Lgs. n. 104 del 2010; sul punto queste Sezioni Unite hanno evidenziato che non incidono sulla tenuta di detti principi, infatti, né l’art. 7 c.p.a., coma 1 là dove devolve “alla giurisdizione amministrativa le controversie, nelle quali si faccia questione di interessi legittimi e, nelle particolari materie indicate dalla legge, di diritti soggettivi, concernenti l’esercizio o il mancato esercizio del potere amministrativo, riguardanti provvedimenti, atti, accordi o comportamenti riconducibili anche mediatamente all’esercizio di tale potere, posti in essere da pubbliche amministrazioni”; né l’art. 30 c.p.a., comma 2 là dove stabilisce che al giudice amministrativo, nei casi di giurisdizione esclusiva, “può altresì essere chiesto il risarcimento del danno da lesione di diritti soggettivi”, norme, queste, entrambe richiamate dall’attuale ricorrente; e ciò in base alle seguenti condivisibili considerazioni: I) quanto al disposto dell’art. 7, comma 1 c.p.a., va considerato che, anche secondo tale disposizione, la giurisdizione amministrativa – pure quella su diritti, ove si versi in materia di giurisdizione esclusiva postula che sia in questione “l’esercizio o il mancato esercizio del potere amministrativo” e che, anche quando la controversia riguardi meri comportamenti, deve pur sempre trattarsi, secondo una formulazione normativa ricalcata sul dispositivo della sentenza della Corte costituzionale n. 191/2006, di comportamenti “riconducibili anche mediatamente all’esercizio di tale potere”; nel caso in cui secondo la domanda dell’attore (al cui oggetto l’art. 386 c.p.c. ancora la decisione sulla giurisdizione) – il comportamento della pubblica amministrazione abbia leso l’affidamento del privato, perché non conforme ai canoni di correttezza e buona fede, non sussiste alcun collegamento, nemmeno mediato, tra il comportamento dell’amministrazione e l’esercizio del potere; il comportamento dell’amministrazione rilevante ai fini dell’affidamento del privato, infatti, si pone – e va valutato – su un piano diverso rispetto da quello della scansione degli atti procedimentali che conducono al provvedimento con cui viene esercitato il potere amministrativo; tale comportamento si colloca in una dimensione relazionale complessiva tra l’amministrazione ed il privato, nel cui ambito un atto provvedimentale di esercizio del potere amministrativo potrebbe mancare del tutto (nel caso oggetto del presente giudizio il provvedimento di annullamento in autotutela degli atti della procedura di affidamento non risulta essere stato adottato dalla Regione, v. memoria controricorrente p. 5 e memoria ricorrente p. 1) o, addirittura, essere legittimo, così da risultare “un frammento legittimo di un mosaico connotato da una condotta complessivamente superficiale, violati va dei più elementari obblighi di trasparenza, di attenzione, di diligenza, al cospetto dei quali si stagliano i corrispondenti diritti soggettivi di stampo privatistico” (v. Cons. Stato n. 5/2018); II) quanto, invece, al disposto dell’art. 30, comma 2 c.p.a., va sottolineato che la giurisdizione esclusiva del giudice amministrativo nasce per concentrare la tutela davanti ad un unico giudice, quello amministrativo, in particolari materie, indicate dalla legge, caratterizzate per lo stretto intreccio che si determina, a fronte dei provvedimenti autoritativi della P.A., tra interessi legittimi e diritti soggettivi; se, quindi, come sottolineato dalla Corte costituzionale, il sistema della giustizia amministrativa si è complessivamente evoluto nel senso che esso “da giurisdizione sull’atto, sempre più spesso si configura quale giurisdizione sul rapporto amministrativo” (Corte Cost. n. 179/2016, p. 3.1), va tuttavia ribadito che, anche nelle materie di giurisdizione esclusiva del giudice amministrativo, la giurisdizione amministrativa su diritti presuppone che questi ultimi risultino coinvolti nell’esplicazione della funzione pubblica, esercitata mediante provvedimenti o mediante accordi integrativi o sostitutivi del provvedimento; quanto precede è stato chiarito dalla medesima Corte costituzionale nella sentenza n. 204/2004, p. 3.4.2, là dove, con riferimento alla materia dei pubblici servizi, si giudica costituzionalmente illegittimo il riferimento a “tutte le controversie”, sul rilievo che la “materia” così individuata “prescinde del tutto dalla natura delle situazioni soggettive in essa coinvolte: sicché, inammissibilmente, la giurisdizione esclusiva si radica sul dato, puramente oggettivo, del normale coinvolgimento in tali controversie di quel generico pubblico interesse che è naturaliter presente nel settore dei pubblici servizi”; per poi concludere che tale materia “può essere oggetto di giurisdizione esclusiva del giudice amministrativo se in essa la pubblica amministrazione agisce esercitando il suo potere autoritativo ovvero, attesa la facoltà, riconosciutale dalla legge, di adottare strumenti negoziali in sostituzione del potere autoritativo, se si vale di tale facoltà (la quale, tuttavia, presuppone l’esistenza del potere autoritativo: L. n. 241 del 1990, art. 11)”; in continuità con tale affermazione la stessa Corte costituzionale, nella sentenza n. 191/2006, ha ritenuto conforme a Costituzione la devoluzione alla giurisdizione esclusiva del giudice amministrativo delle controversie relative a “comportamenti” collegati all’esercizio, pur se illegittimo, di un pubblico potere, definendo tali comportamenti come quelli che “costituiscono esecuzione di atti o provvedimenti amministrativi… e sono quindi riconducibili all’esercizio del pubblico potere dell’amministrazione”;

e’ stato, quindi, affermato che, perché sussista la giurisdizione del giudice amministrativo, in definitiva, è necessario, pertanto, anche nelle materie di giurisdizione esclusiva, che la controversia inerisca ad una situazione di potere dell’amministrazione; occorre, cioè, che la causa petendi si radichi nelle modalità di esercizio del potere amministrativo, il che non accade quando la causa del danno di cui il privato chiede il risarcimento risieda non nel cattivo esercizio del potere amministrativo, bensì, come già detto, in un comportamento (nel cui ambito l’atto di esercizio del potere amministrativo – provvedimentale o adottato secondo moduli convenzionali – rileva come mero fatto storico) la cui illiceità venga dedotta prescindendo dal modo in cui il potere è stato (o non è stato) esercitato e venga prospettata come violazione di regole comportamentali di buona fede e correttezza alla cui osservanza è tenuto qualunque soggetto, sia esso pubblico o privato;

in conclusione, riprendendo ancora una volta l’insegnamento della Corte costituzionale, è stato statuito che per radicare la giurisdizione, anche esclusiva, del giudice amministrativo “e’ richiesto che la P.A. agisca, in tali ambiti predefiniti (le “particolare materie” devolute alla giurisdizione esclusiva del giudice amministrativo), come autorità e cioè attraverso la spendita di poteri amministrativi che possono essere esercitati sia mediante atti unilaterali e autoritativi sia mediante moduli consensuali ai sensi della L. 7 agosto 1990, n. 241, art. 11…, sia infine mediante comportamenti, purché questi ultimi siano posti in essere nell’esercizio di un potere pubblico e non consistano, invece, in meri comportamenti materiali avulsi da tale esercizio. In tale ultimo caso, infatti, la cognizione delle controversie nascenti da siffatti comportamenti spetta alla giurisdizione del giudice ordinario” (v. Corte Cost. n. 35/2010 p. 2.2);

queste Sezioni Unite, con la l’ordinanza più volte richiamata n. 8236/20, hanno altresì precisato che l’affidamento, la cui lesione ha dato origine alle controversie che le ordinanze nn. 6594, 6595 e 6596 del 2011 hanno attribuito alla giurisdizione del giudice ordinario e a cui si fa riferimento anche nelle successive pronunce che alle stesse si sono uniformate, è una situazione autonoma, tutelata in sé e non nel suo collegamento con l’interesse pubblico, come affidamento incolpevole di natura civilistica, che si sostanzia, secondo una felice sintesi dottrinale, nella fiducia, nella delusione della fiducia e nel danno subito a causa della condotta dettata dalla fiducia mal riposta, trattandosi, in definitiva, di un’aspettativa di coerenza e non contraddittorietà del comportamento dell’amministrazione fondata sulla buone fede, ed hanno, inoltre, statuito che la situazione soggettiva del privato lesa a cui si riferiscono i principi affermati nelle ordinanze nn. 6594, 6595 e 6596 del 2011 e in quelle successive conformi si identifica nell’affidamento della parte privata nella correttezza della condotta della pubblica amministrazione;

queste medesime Sezioni Unite hanno pure sottolineato che al modello di P.A. che si è delineato negli ultimi tempi non possono, evidentemente, non essere confacenti anche quei doveri generali di correttezza e buona fede di matrice civilistica la cui violazione fonda una responsabilità da lesione dell’affidamento del privato che prescinde dalla valutazione di legittimità o illegittimità (ed anche dalla stessa esistenza) di un atto di esercizio del potere amministrativo ed hanno, in aggiunta, individuato la natura della responsabilità che sorge in capo alla pubblica amministrazione per effetto della lesione dell’affidamento del privato, ritenendo che detta responsabilità vada ricondotta al paradigma della responsabilità da contatto sociale qualificato, valorizzando – generalizzandone gli esiti oltre il mero ambito dell’attività contrattuale della P.A. – l’orientamento che connota la responsabilità da lesione dell’affidamento del privato entrato in relazione con la pubblica amministrazione come responsabilità da contatto sociale qualificato dallo status della P.A. quale soggetto tenuto all’osservanza della legge come fonte della legittimità dei propri atti; il contatto o, recte, il rapporto tra il privato e la pubblica amministrazione deve essere inteso come il fatto idoneo a produrre obbligazioni “in conformità dell’ordinamento giuridico” (art. 1173 c.c.) dal quale derivano, a carico delle parti, non obblighi di prestazione, bensì reciproci obblighi di buona fede, di protezione e di informazione, giusta gli artt. 1175 (correttezza), 1176 (diligenza) e 1337 (buona fede) c.c.;

conclusivamente queste Sezioni Unite, con la menzionata ordinanza n. 8236/2020 hanno affermato che i principi enunciati dalle ordinanze nn. 6594, 6595 e 6596 del 2011 valgono non soltanto nel caso di domande di risarcimento del danno da lesione dell’affidamento derivante dalla emanazione e dal successivo annullamento di un atto amministrativo, ma anche nel caso in cui nessun provvedimento amministrativo sia stato emanato, cosicché, in definitiva, il privato abbia riposto il proprio affidamento in un comportamento mero dell’amministrazione; In questo caso, infatti, i detti principi valgono con maggior forza, perché, l’amministrazione non ha posto in essere alcun atto di esercizio del potere amministrativo; il rapporto tra la stessa ed il privato si gioca, allora, interamente sul piano del comportamento (cd. “dimensione relazionale complessiva tra l’amministrazione ed il privato”), nemmeno esistendo un provvedimento a cui astrattamente imputare la lesione di un interesse legittimo ed hanno affermato il principio così ufficialmente massimato: “Spetta alla giurisdizione dell’autorità giudiziaria ordinaria la controversia relativa ad una pretesa risarcitoria fondata sulla lesione dell’affidamento del privato nell’emanazione di un provvedimento amministrativo a causa di una condotta della pubblica amministrazione che si assume difforme dai canoni di correttezza e buona fede, atteso che la responsabilità della P.A. per il danno prodotto al privato quale conseguenza della violazione dell’affidamento dal medesimo riposto nella correttezza dell’azione amministrativa sorge da un rapporto tra soggetti (la pubblica amministrazione ed il privato che con questa sia entrato in relazione) inquadrabile nella responsabilità di tipo contrattuale, secondo lo schema della responsabilità relazionale o da “contatto sociale qualificato”, inteso come fatto idoneo a produrre obbligazioni ex art. 1173 c.c., e ciò non solo nel caso in cui tale danno derivi dalla emanazione e dal successivo annullamento di un atto ampliativo illegittimo, ma anche nel caso in cui nessun provvedimento amministrativo sia stato emanato, cosicché il privato abbia riposto il proprio affidamento in un mero comportamento dell’amministrazione”;

rilevato che:

il presente giudizio ha ad oggetto – come già evidenziato – una pretesa risarcitoria fondata sulla deduzione di una lesione dell’affidamento della società attrice nella correttezza del comportamento della P.A., causata da una condotta della Regione Veneto che l’Impresa Fontana S.p.a. assume difforme dai canoni di correttezza e buona fede in sede precontrattuale, condotta priva di collegamento, anche solo mediato, con l’esercizio del potere amministrativo o all’illegittimità dell’atto amministrativo;

ritenuto che:

alla luce di quanto sopra evidenziato e in continuità con l’orientamento della giurisprudenza di legittimità ampiamente sopra riportato, vada dichiarata la giurisdizione del Giudice ordinario;

al predetto Giudice vada demandato di provvedere anche sulle spese del regolamento in esame.

P.Q.M.

La Corte dichiara la giurisdizione del Giudice ordinario; demanda al predetto Giudice di provvedere anche sulle spese del presente regolamento.

Così deciso in Roma, il 9 novembre 2021.

Depositato in Cancelleria il 8 marzo 2022

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