Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 7514 del 31/03/2014


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Civile Sent. Sez. 2 Num. 7514 Anno 2014
Presidente: GOLDONI UMBERTO
Relatore: BIANCHINI BRUNO

idoneità al transito-

SENTENZA
sul ricorso iscritto al n.r.g. 16664/08 proposto da:

Enio DIOLAITI ( c.f.: DLT NEI 22S09 A665G);
rappresentato e difeso dall’avv. Fiorino Ruggio; elettivamente domiciliato presso lo
studio dell’avv. Paola Volterrani in Roma, viale Bruno Buozzi n. 99 ( studio Criscuolo &
Associati)

-Rúorrenlecontro

Giuseppe COCCHI ( c.f.: CCC GPP 25E09 A665G)

rappresentato e difeso dall’avv. Mario Giuseppe Ridola e dall’avv. Luciano Teneggi,
giusta procura a margine del controricorso; elettivamente domiciliato presso lo studio del
primo in Roma, via Ludovisi n. 35, come da comunicazione del 16 novembre 2012
– Controricorrente —

Avverso la sentenza n. 628/07 della Corte di Appello di Bologna,
pubblicata il 15 maggio 2007;
Udita la relazione della causa svolta nell’udienza pubblica del 6 febbraio 2014 dal

Data pubblicazione: 31/03/2014

Consigliere Dott. Bruno Bianchini;

Udito l’avv. Roberto Izzo, per delega dell’avv. Fiorino Ruggio per la parte
ricorrente, che ha insistito per l’accoglimento del ricorso;

Udito il Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore Generale, dr.

SVOLGIMENTO DEL PROCESSO
1 — Giuseppe Cocchi, assumendo di esser proprietario di un fondo in agro del Comune
di Baricella con sbocco alla via pubblica per il tramite di una corte, di proprietà comune
di Ennio Diolaiti; Teresa Fagioli; Ines Bonora; Giuseppe Cervellati; Dino Franchini;
Elena Bentivogli ; di aver esercitato la servitù di passaggio attraverso detto immobile dal
momento del suo acquisto 1959 — al 1993; che l’accesso alla corte era stato sempre
delimitato da una rete mobile; che aveva sostituito detto manufatto con un cancello; che
i proprietari confinanti avevano, in risposta , posto a ridosso di tale seconda chiusura un
ulteriore chiusura mobile, apponendo però un palo di cemento in mezzo al transito; che
tale condotta costituiva spoglio del possesso dell’indicata servitù, propose ricorso per la
reintegra al Pretore di Bologna che emise il richiesto provvedimento nella fase
interdittale; il Tribunale di Bologna, con sentenza n. 1072/2000, confermò l’ordinanza
interdittiva; la Corte di Appello di Bologna respinse il gravame del Diolaiti; del
Bentivogli e della Venturosi, ritenendo provato, dalle testimonianze versate in atti: a che l’appellato aveva esercitato di fatto il passaggio attraverso tutta l’apertura della rete e
che questo, a seguito della successiva apposizione di un palo di cemento in mezzo alla
sede del transito, ne era risultato ostacolato; b – che il piccolo fossato e la presenza di
piante di sambuci sul confine non avrebbero dimostrato la impraticabilità del
passaggio; c – che la coesistenza di altra servitù convenzionale in favore dei fondi del
Cocchi, ma relativa a diverso mappale, sarebbe stata irrilevante al fine di negare la tutela
richiesta, involgendo un esame da svolgere in sede petitoria

-2

Lucio Capasso, che ha concluso per il rigetto del ricorso .

2 — Per la cassazione di tale sentenza ha proposto ricorso il solo Enio Diolaiti facendo
valere tre motivi di annullamento; ha resistito con controricorso Giuseppe Cocchi

MOTIVI DELLA DECISIONE
I – Con il primo mezzo viene denunziato un vizio di motivazione perché la Corte del

sarebbero stati ritenuti attinenti all’eventuale giudizio petitorio; assume la parte
ricorrente che tale netta distinzione in termini probatori non sarebbe sostenibile, alla
luce della sentenza n. 25/1992 della Corte Costituzionale che ebbe a dichiarare la
illegittimità costituzionale dell’art. 705 cpc nella parte in cui detta norma subordinava la
proposizione del giudizio petitorio alla definizione della controversia possessoria ed
all’esecuzione della relativa decisione, anche quando da tale esecuzione potesse derivare
al resistente un pregiudizio irreparabile, con la conseguenza che, in tale evenienza, il
resistente in possessorio avrebbe potuto opporre le proprie ragioni petitorie nell’ambito
di quel giudizio, a condizione che tale eccezione fosse finalizzata al solo rigetto della
domanda avversaria.

I.a — Traendo spunto da ciò la parte ricorrente sostiene che dal rogito notar Filiberti del
18 novembre 1959, tra il Cocchi — venditore- e più acquirenti di porzioni immobiliari, si
sarebbe costituita una servitù di attingimento di acqua da un pozzo sito nell’area
cortiliva (anche) del ricorrente ma a favore di un terreno identificato con un mappale
diverso da quello dal quale il Cocchi pretendeva di esercitare il passaggio, rendendo
manifesta l’intenzione di quest’ultimo non già di ottenere tutela di un’inesistente
situazione possessoria bensì di creare una diversa servitù.

— Il motivo non è fondato
Non è innanzi tutto condivisibile il richiamo alla sentenza della Corte delle Leggi, sia

perché non si è in presenza di quella situazione di irreversibile danno che avrebbe
permesso di infrangere il divieto di cui all’art. 705 cpc; sia perché la coesistenza di una
servitù basata sul titolo non confliggeva con l’esercizio di fatto di analogo diritto

– A4-

merito avrebbe omesso di considerare una serie di documenti che erroneamente

parziario, sia infine perchè, come più volte statuito da questa Corte ( Cass. Sez. II n
9285/2006; Cass. Sez. II n. 15753/2004) la pronunzia n. 25/1992 sopra citata ha l’unico
effetto di superare il divieto del convenuto in possessorio di agire in petitorio “finché il
primo giudizio non è finito o la decisione non sia stata eseguita” , senza per contro

convenuto, di sollevare difese di natura petitoria , preclusione che invece è una
caratteristica propria, anzi la stessa ragione d’essere, del sistema di protezione delle
situazioni possessorie.

I.a.2 — Ne consegue la corretta esclusione operata dalla Corte bolognese della
valutabilità di quel documento

I.b — Lamenta il ricorrente anche la pretermessione — da parte del giudice di primo
grado come di quello di secondo- dell’esame di foto dei luoghi, di planimetrie e relazioni
di perizia di parte, dalle quali sarebbe agevolmente emerso che lo sviluppo della
vegetazione a confine non avrebbe permesso il transito dal mappale 42 ( non interessato
dal rogito Filiberti) a quello del ricorrente (mappale 47 sub 0) e comunque sarebbe stato
d’ostacolo al ritenere che l’uso di quel passaggio avesse assunto le caratteristiche del
possesso tutelabile con l’azione di spoglio

I.b.1— Il profilo messo in evidenza non è suscettibile di diverso scrutinio in questa sede
perché , da un lato, la valutazione delle riproduzioni fotografiche è stata operata dalla
Corte bolognese e, dall’altro, perchè era rimesso al giudizio valutativo del giudice di
merito — sorretto, nel caso di specie, da congrua motivazione- vagliare quale delle
emergenze istruttorie potesse essere utilizzata a sostegno della propria decisione; in
disparte sta poi l’evidente inammissibilità della formulazione del mezzo, laddove, in
sostanza, sotto la dichiarata esistenza di un vizio di motivazione, si fà in realtà valere un
c.d. vizio di sussunzione, in cui si invera la falsa applicazione della lettera della legge ex
art. 360, I comma n.3 cpc, relativo alle norme sul possesso e sulla sua tutela ( artt. 1140
,-“42~414if

estendere i suoi effetti nel giudizio possessorio, ponendo nel nulla il divieto, per il

e 1168 cod. civ.) , rendendo, a tacer d’altro, necessaria la formulazione di apposito
quesito di diritto ex art. 366 bis cpc.
I.c — Sostiene il ricorrente che neppure sarebbe stato considerato il carteggio intercorso
tra gli originari resistenti in spoglio ed il Comune di Baricella in risposta alla arbitraria

così da far escludere che lo stesso avesse esercitato, prima della apposizione della
diversa chiusura da parte dei vicini del medesimo, un possesso pacifico del diritto di
transito.
— Il suesposto profilo di censura appare inammissibile in quanto non emerge,
dalla lettura della sentenza — partitamente: dei foll 6/7 della stessa, dove venivano
riportati i motivi di appello- in deroga al canone di specificità del motivo, rappresentato
dal principio di autosufficienza, ove tale deduzione difensiva fosse stata posta a corredo
di un motivo di appello, così che essa deve ritenersi articolata per la prima volta in sede
di legittimità.
II Con il secondo motivo si assume l’omessa motivazione sulla non necessità di
procedere dell’interrogatorio formale ed alla prova per testi articolate sin dal primo
grado, anche perché le prove orali poste a base della decisione sarebbero consistite nelle
dichiarazioni degli “informatori” rese nella fase interdittale che non avrebbero il
medesimo peso probatorio delle testimonianze ordinarie, laddove si proceda oltre nella
fase del c.d. merito possessorio; sotto diversa ma concorrente ottica , si denuncia la
violazione del disposto dell’art. 345, III comma cpc

II.b — Entrambi i profili sono infondati perché la Corte di appello , anche con rinvio
alle ragioni di rigetto esposte dal Tribunale in apposita ordinanza, non reclamata ai sensi
dell’art. 178 cpc, ribadì , da un lato, la superfluità delle circostanze dedotte — in quanto
già costituenti oggetto di interrogazione alle medesime persone nella fase interdittale- e,
dall’altra, la loro inammissibilità, riguardando profili petitori, dunque con decisione di
merito, estesa anche alla rilevanza dell’interpello; non risulta poi che il diniego di

iniziativa dello stesso Cocchi di sostituire la vecchia rete con un cancello a due battenti,

escussione di testimoni e di audizione della parte in interrogatorio formale, abbia
formato oggetto di motivo di appello, in cui furono riproposte semplicemente le
disattese richieste istruttorie — per come emerge dalla lettura delle conclusioni in sede di
gravame, trascritte a foll 2/4 della sentenza di appello-

ricorrente, vale a dire la ontologica inidoneità delle dichiarazioni rese nella fase
interdittale a costituire base del convincimento del giudice nella successiva fase del
merito possessorio: invero nel procedimento possessorio, le deposizioni rese nella fase
sommaria del giudizio, ove siano state assunte in contraddittorio tra le parti, sotto il vincolo
del giuramento ( o, ratione tempon’s, dell’impegno a dire la verità) e sulla base delle indicazioni
fornite dalle parti nei rispettivi atti introduttivi, sono da considerare come provenienti da
veri e propri testimoni, mentre devono essere qualificati come “informatori” – le cui
dichiarazioni sono comunque utilizzabili ai fini della decisione anche quali indizi
liberamente valutabili – coloro che abbiano reso sommarie informazioni ai sensi dell’art.
669se’ie’ ,

comma II, cpc, ai fini dell’eventuale adozione del decreto inaudita altera parte ( così

Cass. Sez. II n. 24705/2006): ne consegue che, non specificando le formalità di
assunzione delle dichiarazioni poi utilizzate in sentenza, parte ricorrente non fornisce
alla Corte un indispensabile criterio di valutazione circa il peso argomentativo che da
esse si sarebbe potuto trarre, al fine di metterlo a raffronto con quello da attribuire alle
testimonianze che avrebbe potuto escutere secondo quanto disposto dagli artt. 244 e
segg. cpc.
II.c — Inammissibile è la lamentata non applicazione del disposto dell’art. 345 , III
comma cpc , essendo la controversia introdotta prima del 30 aprile 1995 e quindi
venendo disciplinata dalla su richiamata disposizione nella formulazione anteriore
all’entrata in vigore della legge 353/1990 -e successive modificazioni- che, al secondo
comma, ammetteva espressamente le prove in appello, a condizione che fossero

Il.b.1 — E’ comunque confutabile il presupposto argomentativo dal quale parte il

‘`nuove” (ed in disparte la scarsa congruenza del profilo denunciato con la tesi della
omessa valutazione di prove già articolate).
III — Con il terzo motivo viene denunziata la insufficiente o contraddittoria
motivazione in ordine alla valutazione delle prove per testi, poste a base della decisione

travisamento delle dichiarazioni rese da un teste circa l’amovibilità o meno della rete — e
questo appare essere un vizio revocatorio- e, per altro verso, si assume la possibilità di
una diversa interpretazione delle deposizioni testimoniali, stante la ritenuta non
credibilità dei testi, che non può essere suscettibile di diverso scrutinio perché
involgente profili di merito ed avendo il giudice del gravame dato ragione delle proprie
scelte interpretative con argomentazioni congrue rispetto alle premesse.
IV — Con ultima annotazione parte ricorrente chiede che questa Corte adotti tutti i
provvedimenti necessari per rendere effettivo il proprio diritto di difesa, dal momento
che lo smarrimento del fascicolo di ufficio di primo grado lo avrebbe privato della
possibilità di quei riferimenti testuali , necessari al fine di non incorrere nel vizio di non
autosufficienza del ricorso.
IV.a — La sollecitazione di cui sopra è irricevibile: a — perché la stessa Corte del merito
ha più volte sollecitato la competente cancelleria alle ricerche, senza esito ( v. fol 7
controricorso) b — perché non si specifica in qual modo la perdita del fascicolo di
ufficio sarebbe stata di pregiudizio per l’attività della difesa, anche considerando che,
sempre parte controricorrente, ha affermato essersi proceduto alla ricostruzione
dell’incarto; c — perché l’unico provvedimento specifico di cui si lamenta la scomparsa
ed il peso argomentativo sarebbe costituito da un’ordinanza di rigetto delle prove resa
dal Tribunale in data 29 gennaio 1999, richiamata a fol 9 della sentenza di appello ( per
affermarsene la immutabilità, non essendo stata oggetto di reclamo) il che farebbe
supporre, che fosse compresa negli atti “ricostruiti” , dal momento che era stata valutata
dal giudice dell’appello; d — perché, al postutto, costituiva un onere per la parte
451- 7 –

della Corte territoriale: il mezzo è inammissibile in quanto con lo stesso si censura un

ricorrente di provvedere ad effettuare tempestiva copia dei provvedimenti di ufficio (
arg: Sezioni Unite n. 3033/2013 su analogo onere per la parte appellante di estrazione
di copia dei documenti prodotti di controparte – non costituitasi in secondo grado,
dopo aver ritirato il proprio fascicolo- sui quali avesse voluto basare le proprie difese)

P.Q.M.
La Corte
Rigetta il ricorso e condanna la parte ricorrente al pagamento delle spese che liquida in
euro 3.200,00 di cui euro 200,00 per esborsi.
Così deciso in Roma il 6 febbraio 2014, nella camera di consiglio della 2^ Sezione Civile
della Corte di Cassazione.

V — Le spese seguono la soccombenza e vanno poste a carico del ricorrente

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