Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 7514 del 31/03/2011

Cassazione civile sez. I, 31/03/2011, (ud. 14/02/2011, dep. 31/03/2011), n.7514

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE PRIMA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. LUCCIOLI Maria Gabriella – Presidente –

Dott. BERRUTI Giuseppe Maria – Consigliere –

Dott. CECCHERINI Aldo – Consigliere –

Dott. DI PALMA Salvatore – rel. Consigliere –

Dott. DI VIRGILIO Rosa Maria – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

sentenza

sul ricorso 30024/2007 proposto da:

ITALPREFABBRICATI S.P.A. (p.i. (OMISSIS)), già Italprefabbricati

sas di Alfonso D’Eugenio, in persona dell’Amministratore Unico pro

tempore, elettivamente domiciliata in ROMA, VIA BROFFERIO 6, presso

l’avvocato ROSSI Adriano, che la rappresenta e difende unitamente

all’avvocato DI GIOVANNI LUCIO, giusta procura a margine del ricorso;

– ricorrente –

contro

PREFETTURA – UFFICIO TERRITORIALE DEL GOVERNO DI TERAMO, già

Prefettura di Teramo, in persona del Prefetto pro tempore,

domiciliata in ROMA, VIA DEI PORTOGHESI 12, presso l’AVVOCATURA

GENERALE DELLO STATO, che la rappresenta e difende ope legis;

C.M.L. (c.f. (OMISSIS)), P.

A. (c.f. (OMISSIS)), P.A.R. (c.f.

(OMISSIS)), P.M. (c.f. (OMISSIS)),

elettivamente domiciliati in ROMA, VIA DI SAN DOMENICO 3, presso

l’avvocato PANETTA MASSIMILIANO, rappresentati e difesi dagli

avvocati SUPINO VITTORIO, IEZZI LORENZINA, giusta procura in calce al

controricorso;

– controricorrenti –

contro

COMUNE DI ATRI;

– intimato –

avverso la sentenza n. 458/2007 della CORTE D’APPELLO di L’AQUILA,

depositata il 25/06/2007;

udita la relazione della causa svolta nella Pubblica udienza del

14/02/2011 dal Consigliere Dott. SALVATORE DI PALMA;

udito, per la ricorrente, l’Avvocato A. ROSSI che ha chiesto

l’accoglimento del ricorso;

udito, per i controricorrenti C. + 3, l’Avvocato V. SUPINO

che ha chiesto il rigetto del ricorso;

udito il P.M., in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott.

CESQUI Elisabetta, che ha concluso per il rigetto del ricorso.

Fatto

SVOLGIMENTO DEL PROCESSO

1. – Il Prefetto della Provincia di Teramo, con decreto n. 3159 del 27 giugno 1979 – vista l’istanza con la quale “la Italprefabbricati s.a.s.” aveva chiesto l’occupazione temporanea d’urgenza e la conseguente espropriazione di un immobile sito nel Comune di Atri “occorrente per l’esecuzione dei lavori di ampliamento dell’ opificio industriale di prefabbricati industriali e civili”, ai sensi della L. 25 giugno 1865, n. 2359, art. 71 e del D.P.R. 6 marzo 1978, n. 218, art. 49 (T.U. leggi sugli interventi nel Mezzogiorno), ed accertato che i richiesti lavori di ampliamento rientravano tra le ipotesi considerate dal citato D.P.R. n. 218 del 1978, art. 49 “per cui i relativi lavori sono di pubblica utilità, urgenza e indifferibilità” -, autorizzò, in favore della ditta “Italprefabbricati S.a.S., con sede in (OMISSIS), l’occupazione temporanea d’urgenza per la durata di anni due”, di un immobile di proprietà di P.C..

Lo stesso Prefetto, con successivo Decreto 14 febbraio 1981, n. 448, pronunciò l’espropriazione di tale immobile “a favore della Italprefabbricati S.a.s., con sede in (OMISSIS)”, stabilendo altresì che l’utilizzazione dell’area espropriata per l’ampliamento dell’opificio industriale doveva essere effettuata entro tre anni dalla emanazione del decreto, a pena della restituzione del bene.

1.1. – Con citazione del 2 aprile 1981, P.C. convenne dinanzi al Tribunale di Teramo la s.a.s. Italprefabbricati di Marino D’Eugenio, chiedendo la giusta determinazione dell’indennità di espropriazione in misura pari al valore venale dell’area o, in subordine, secondo i criteri di cui alla L. 15 gennaio 1885, n. 2892 (cosiddetta “legge di Napoli”), oltre rivalutazione ed interessi legali.

Nel contempo, il P. promosse altri due giudizi dinanzi al Tribunale amministrativo regionale degli Abruzzi, volti ad ottenere l’annullamento, rispettivamente, del decreto di esproprio e del provvedimento di concessione edilizia medio tempore rilasciata dal Comune di Atri alla Società Italprefabbicati per la costruzione dell’opificio industriale.

Nel giudizio ordinario, si costituì la s.a.s. Italprefabbricati, chiedendo la reiezione della domanda.

Deceduto P.C., il processo venne proseguito nei confronti della Società convenuta dagli eredi del P., C.M.L. vedova P., A.R., A. e P.M..

Nel frattempo, il Consiglio di Stato, con la decisione n. 316 del 28 maggio 1987, in accoglimento dell’appello proposto dai predetti eredi, annullò sia il decreto di espropriazione, sia il provvedimento di concessione edilizia.

1.2. – A seguito di tale sentenza del Giudice amministrativo, i medesimi eredi P., con altra citazione del 3 ottobre 1987, convennero dinanzi allo stesso Tribunale di Teramo la s.a.s.

Italprefabbricati di Marino D’Eugenio, chiedendo la condanna della convenuta alla restituzione dell’immobile illegittimamente espropriato ovvero, in subordine, al risarcimento dei danni, da commisurarsi al valore venale dello stesso immobile, e chiedendo altresì – quanto al giudizio promosso con la citazione del 2 aprile 1981 – la dichiarazione di cessazione della materia del contendere.

Tale citazione, come la precedente del 2 aprile 1981, venne notificata alla s.a.s. Italprefabbricati di Marino D’Eugenio nella sede di (OMISSIS).

In questo nuovo giudizio si costituì la s.a.s. Italprefabbricati di Alfonso D’Eugenio, la quale eccepì preliminarmente il proprio difetto di legittimazione passiva – per non essere nè titolare della concessione edilizia nè proprietaria del terreno che si assumeva illegittimamente appreso e dell’opificio industriale insistente sullo stesso terreno – e chiese la reiezione della domanda, previa autorizzazione a chiamare in causa il Prefetto di Teramo ed il Comune di Atri, dai quali intendeva essere garantita nel caso di accoglimento delle domande proposta dagli eredi P..

Costituitisi i terzi chiamati, il Tribunale di Teramo, con la sentenza n. 281/91 del 15 febbraio 1991 – passata in giudicato, riuniti i due predetti giudizi e disposta la loro separazione ai sensi dell’art. 103 cod. proc. civ., comma 2, dichiarò la cessazione della materia del contendere relativamente alla causa promossa con la citazione del 2 aprile 1981 e la propria incompetenza funzionale relativamente alla causa promossa con la citazione del 3 ottobre 1987, indicando come competente il Tribunale di L’Aquila.

1.3. – Con citazione del 6 dicembre 1991, gli eredi di P. C. riassunsero il giudizio dinanzi al Tribunale di L’Aquila nei confronti di tutte le parti costituite nella precedente fase, riproponendo la domanda di restituzione dell’immobile o, in subordine, quella di risarcimento dei danni.

Anche le parti convenute, costituitesi, ribadirono le loro rispettive posizioni, eccezioni e domande. In particolare, la s.a.s.

Italprefabbricati di Alfonso D’Eugenio insistette nell’eccezione preliminare di difetto della propria legittimazione passiva, per tutte le ragioni esposte nella precedente comparsa di risposta.

Il Tribunale adito – disposta ed espletata consulenza tecnica d’ufficio ed esperita istruzione probatoria documentale -, con la sentenza n. 785/04 del 6 novembre 2004, tra l’altro, accolse la domanda degli eredi P. di restituzione dell’area in questione, condannando la s.p.a. Italprefabbricati – nella quale si era trasformata la s.a.s. Italprefabbricati di Alfonso D’Eugenio – alla restituzione dell’immobile ed al suo ripristino nello stato originario, e respinse la domanda di garanzia proposta dalla Società convenuta nei confronti del Prefetto di Teramo e del Comune di Atri.

2. – Avverso tale sentenza la s.p.a. Italprefabbricati interpose appello dinanzi alla Corte d’appello di L’Aquila, affinchè questa dichiarasse: in via principale: 1) la nullità del giudizio e della sentenza di primo grado, con conseguente rimessione della causa al Tribunale di L’Aquila, ai sensi dell’art. 354 cod. proc. civ., comma 1; 2) inammissibile la domanda di condanna proposta nei suoi confronti dagli eredi P., in quanto formulata per la prima volta nell’udienza di precisazione delle conclusioni; 3) inammissibile o, comunque, infondata la stessa domanda per difetto di legittimazione passiva della Società appellante; 4) in ogni caso, infondate nel merito tutte le domande; in via subordinata: 5) ai sensi dell’art. 2933 cod. civ., comma 2, il diritto degli eredi P. a pretendere soltanto il risarcimento dei danni, in luogo della demolizione dell’opificio industriale e della rimessione in pristino dell’area espropriata; in ogni caso: 6) fondata la domanda di garanzia proposta dalla stessa Società nei confronti del Prefetto di Teramo e del Comune di Atri, riconoscendo la responsabilità degli stessi in ordine ai fatti oggetto del giudizio e condannando i medesimi, in solido o per quanto di ragione, a tener indenne la Società medesima dalle conseguenze pregiudizievoli, oltre al risarcimento dei danni.

Il Prefetto di Teramo ed il Comune di Atri conclusero per la reiezione dell’appello e, in ogni caso, della domanda di garanzia.

Gli eredi di P.C. conclusero, in via principale, per la reiezione dell’appello e, in via subordinata ed incidentale, chiesero la condanna della Società appellante al pagamento della somma di L. 2.844.000.000, pari ad Euro 1.4 68.803,42, a titolo di indennizzo in luogo della restituzione dell’area illegittimamente espropriata.

La Corte adita, con la sentenza n. 458/07 del 25 giugno 2007, rigettò l’appello e confermò la sentenza impugnata.

In particolare, per quanto in questa sede ancora rileva, i Giudici a quibus:

A) quanto al motivo – con il quale la Società appellante deduceva la nullità del giudizio di primo grado e, comunque, l’inammissibilità delle domande proposte nei suoi confronti dagli eredi P., perchè questi avevano convenuto in giudizio la s.a.s.

Italprefabbricati di Marino D’Eugenio, avente sede legale in (OMISSIS), notificando però erroneamente l’atto di citazione alla s.a.s. Italprefabbricati del geom. D.A., avente sede legale in (OMISSIS), hanno respinto tale motivo, osservando che: 1) il decreto di espropriazione è stato emesso “a favore della nominata ditta Italprefabbricati s.a.s. con sede in (OMISSIS)”; 2) “la s.a.s. Italprefabbricati in persona del suo l.r. sig. D.A.” si è costituita dinanzi al Tribunale di Teramo con la comparsa del 15 maggio 1981, senza eccepire alcunchè in ordine alla sua legitimatio ad causam e difendendosi nel merito; 3) la stessa Società ha eccepito il proprio difetto di legittimazione passiva soltanto nella successiva comparsa di costituzione dinanzi allo stesso Tribunale dell’11 marzo 1988, affermando però “La Italprefabbricati s.a.s. di Marino D’Eugenio, ora trasformata in Italprefabbricati s.a.s. del geom. D. A.”, in tal modo riconoscendo che essa era la s.a.s.

Italprefabbricati di Marino D’Eugenio “trasformata” e, comunque, accettando il contraddittorio sul merito delle domande proposte dagli eredi P.;

B) quanto al motivo – con il quale la Società appellante aveva dedotto che il Tribunale di L’Aquila aveva erroneamente omesso di dichiarare l’estinzione del processo per l’invalidità della sua riassunzione a seguito della sentenza di incompetenza pronunciata dal Tribunale di Teramo, in quanto l’atto di citazione in riassunzione era stato notificato all’Avv. Di Giovanni quale difensore della s.a.s. Italprefabbricati di Marino D’Eugenio, mentre tale difensore aveva assunto esclusivamente il patrocinio della s.a.s.

Italprefabbricati del geom. D.A., hanno respinto anche tale motivo, richiamando innanzitutto le precedenti considerazioni svolte in riferimento al primo motivo d’appello, ed osservando che, comunque, anche a voler ritenere la nullità di detta notificazione, tale invalidità non poteva valere ai fini della invocata estinzione del processo, perchè non aveva impedito alla Società di costituirsi in giudizio, con conseguente sanatoria di ogni vizio, ai sensi dell’art. 156 cod. proc. civ., comma 3;

C) quanto al motivo – con il quale la Società appellante aveva dedotto che il Tribunale di L’Aquila aveva inammissibilmente accolto la domanda restitutoria, nonostante che tale domanda fosse stata proposta per la prima volta nei suoi confronti nell’udienza di precisazione delle conclusioni del 12 marzo 2004 e che sulla stessa domanda essa avesse esplicitamente dichiarato di non accettare il contraddittorio, hanno respinto il motivo, osservando: “Alla luce di quanto sin qui detto, risulta l’infondatezza della censura svolta sub n. 3”;

D) quanto al motivo – con il quale la Società appellante aveva dedotto che l’area in questione era stata occupata ed irreversibilmente trasformata in forza del decreto del Prefetto di Teramo n. 3159 del 27 giugno 1979, recante la dichiarazione di pubblica utilità dell’opera, e che tale decreto, non essendo stato impugnato dinanzi al giudice amministrativo, non aveva formato oggetto della pronuncia di annullamento del Consiglio di Stato n. 316 del 1987, con la conseguenza che la vicenda giuridica avrebbe dovuto essere qualificata, a tutto concedere, siccome “occupazione appropriativa” e non “occupazione usurpativa” -, hanno respinto il motivo, osservando: “L’annullamento del decreto di espropriazione di cui alla decisione n. 316/87 del Consiglio di Stato ha privato di validità ogni atto presupposto, per cui la dichiarazione di pubblica utilità invocata dall’appellante è tamquam non esset ….

Irrilevante è, poi ed infatti, … che la suddetta decisione sarebbe stata “pronunciata nei confronti della s.a.s. Italprefabbricati di Marino D’Eugenio e non nei confronti della s.a.s. Italprefabbricati di Alfonso D’Eugenio”, a rilevare essendo che sia stato annullato il decreto di esproprio di cui trattasi, nonchè ogni atto presupposto”;

E) quanto al motivo – con il quale la Società appellante aveva criticato la sentenza di primo grado, nella parte in cui questa aveva respinto la domanda di garanzia dalla stessa Società proposta nei confronti del Prefetto di Teramo e del Comune di Atri -, hanno affermato: “La censura non può essere condivisa, per la ragione che il comportamento colpevole della società oggi appellante costituisce fatto sopravvenuto di per sè idoneo a causare i danni di cui trattasi. Ed invero il ricorso avverso la concessione edilizia ed il decreto di esproprio è stato proposto nel 1981, per cui Italprefabbricati s.a.s., allorchè, nel giugno 1982, ha dato inizio ai lavori, era in condizione di prevedere, usando l’ordinaria diligenza, l’accoglimento del ricorso da parte del G.A. ed avrebbe perciò dovuto, nell’attesa, astenersi dal comportarsi come se decreto e concessione fossero giuridicamente intangibili”.

3. – Avverso tale sentenza la s.p.a. Italprefabbricati ha proposto ricorso per cassazione, deducendo sette motivi di censura, illustrati con memorie.

Resistono, con controricorso illustrato con memorie, C. M.L. vedova P., P.A.R., A. e M..

Resiste, altresì, con controricorso, la Prefettura-Ufficio territoriale del Governo di Teramo.

Il Comune di Atri, benchè ritualmente intimato, non si è costituito nè ha svolto attività difensiva.

Diritto

MOTIVI DELLA DECISIONE

1. – Con il primo (con cui deduce: “Error in procedendo e violazione e falsa applicazione dell’art. 112 c.p.c., in relazione all’art. 354 c.p.c. – art. 360 c.p.c., n. 4”) e con il secondo motivo (con cui deduce: “Error in procedendo e violazione e falsa applicazione degli artt. 50 e 301 c.p.c. – art. 360 c.p.c., n. 4”) – i quali possono essere esaminati congiuntamente, avuto riguardo alla loro connessione, la ricorrente critica la sentenza impugnata (cfr., supra, Svolgimento del processo, n. 2, lettere A e B), sostenendo che i Giudici a quibus: a) erroneamente interpretando l’eccezione sollevata dalla s.a.s. Italprefabbricati del geom. D. A. – da intendersi come eccezione non già di difetto di legittimazione passiva, bensì di nullità del giudizio di primo grado, ai sensi dell’art. 354 cod. proc. civ., comma 1 – hanno omesso di pronunciare sull’eccezione da essa effettivamente sollevata, ciò in quanto – anche a voler ritenere che la s.a.s. Italprefabbricati del geom. D.A. sia il soggetto passivamente legittimato sotto il profilo sostanziale rispetto alle domande proposte dagli eredi P. – sta di fatto che tale Società non è mai stata chiamata in giudizio, essendolo stata, invece, la s.a.s.

Italprefabbricati di Marino D’Eugenio; b) avrebbero dovuto dichiarare l’estinzione del processo riassunto, in ragione del fatto che come nella causa promossa dinanzi al Tribunale di Teramo – poi dichiaratosi incompetente a conoscerla -, così nella causa promossa in riassunzione dinanzi al Tribunale di L’Aquila gli eredi P. non hanno chiamato in giudizio la s.a.s.

Italprefabbricati di Marino D’Eugenio, in quanto hanno notificato l’atto di citazione in riassunzione all’Avv. Di Giovanni, difensore dinanzi al Tribunale di Teramo della s.a.s. Italprefabbricati del geom. D.A., con la conseguenza che la s. a. s.

Italprefabbricati di Marino D’Eugenio, rimasta contumace dinanzi sia al Tribunale di Teramo sia al Tribunale di L’Aquila, non ha potuto sanare, con la sua costituzione, il vizio della citazione e della sua notificazione.

Con il terzo (con cui deduce: “Error in procedendo e violazione dell’art. 112 c.p.c., in relazione agli artt. 189 e 183 c.p.c. – art. 360 c.p.c., n. 4”), il quarto (con cui deduce: “Violazione e falsa applicazione degli artt. 189 e 183 c.p.c., in relazione all’art. 354 c.p.c. – art. 360 c.p.c., n. 4 e/o 3”) ed il quinto motivo (con cui deduce: “Omessa o insufficiente motivazione su un punto decisivo della controversia – art. 360 c.p.c., n. 5”) – i quali possono essere parimenti esaminati in modo congiunto, avuto riguardo alla loro stretta connessione -, la ricorrente critica ancora la sentenza impugnata (cfr., supra, Svolgimento del processo, n. 2, lettera C), anche sotto il profilo della sua motivazione, sostenendo che i Giudici a quibus hanno omesso di pronunciare sulla eccezione di nuova domanda da essa sollevata con riguardo alla domanda formulata dagli eredi P. nell’udienza del 12 marzo 2004, di precisazione delle conclusioni del processo riassunto, là dove tali eredi, pur avendo chiamato in giudizio la s.a.s. Italprefabbricati di Marino D’Eugenio, hanno invece mutato la domanda originaria proponendola nei confronti della s.a.s. Italprefabbricati del geom. A. D., non tenendo inoltre conto del fatto processuale che questa ha espressamente rifiutato il contraddittorio su qualsiasi domanda nuova proposta nei suoi confronti.

Con il sesto motivo (con cui deduce: “Violazione e falsa applicazione dei principi generali in materia di occupazione c.d. usurpativa e di occupazione c.d. acquisitiva in relazione agli artt. 938 e 922 c.c., art. 360 c.p.c., n. 3”), la ricorrente critica inoltre la sentenza impugnata (cfr., supra, Svolgimento del processo, n. 2, lettera D), ribadendo, contrariamente a quanto ritenuto dai Giudici a quibus, che il decreto del Prefetto di Teramo n. 3159 del 27 giugno 1979 recante la dichiarazione di pubblica utilità dell’opera, non essendo stato impugnato dinanzi al giudice amministrativo, non aveva formato oggetto della pronuncia di annullamento del Consiglio di Stato n. 316 del 1987, con la conseguenza che la vicenda giuridica in questione avrebbe dovuto essere qualificata, a tutto concedere, siccome occupazione appropriativa e non occupazione usurpativa, e con l’ulteriore conseguenza che non poteva essere pronunciata la condanna alla restituzione dell’area espropriata, previa sua rimessione in pristino.

Con il settimo motivo (con cui deduce: “Omessa o insufficiente o contraddittoria motivazione su di un punto decisivo della controversia – art. 360 c.p.c., n. 5”), la ricorrente critica infine la sentenza impugnata (cfr., supra, Svolgimento del processo, n. 2, lettera E), sostenendo che i Giudici a quibus: a) hanno individuato la data di inizio dei lavori di costruzione-ampliamento dell’opificio industriale da parte della s.a.s. Italprefabbricati del geom.

D.A. nel giugno 1982, senza tenere conto che dalle relazioni dei consulenti tecnici d’ufficio la data dell’inizio dei lavori era stata fatta risalire al 1979 o al 1980; b) non hanno spiegato perchè la ricorrente “avrebbe dovuto astenersi dal comportarsi come se decreto e concessione fossero giuridicamente intangibili”; non hanno tenuto conto della circostanza che i lavori avevano avuto inizio nel 1980, prima che P.C. adisse il Giudice amministrativo; non hanno spiegato le ragioni per cui hanno escluso la responsabilità del Prefetto di Teramo e del Comune di Atri, nonostante che questi avessero, rispettivamente, emesso il decreto di esproprio e rilasciato la concessione edilizia.

2. – Il ricorso non merita accoglimento.

2.1. – I primi due motivi sono infondati.

Quanto al primo motivo – con il quale la ricorrente, mediante il richiamo dell’art. 112 cod. proc. civ., denuncia l’omissione di pronuncia della Corte aquilana che, erroneamente interpretando l’eccezione, sollevata dalla stessa ricorrente nel giudizio d’appello, siccome di difetto di legittimazione passiva della s.a.s.

Italprefabbricati del geom. D.A., anzichè di nullità del giudizio di primo grado, per non essere mai stata chiamata in giudizio tale Società, essendolo stata invece la s.a.s.

Italprefabbricati di Marino D’Eugenio, avrebbe appunto omesso di pronunciare sulla eccezione effettivamente sollevata e, conseguentemente, di rimettere la causa al Tribunale di L’Aquila, ai sensi dell’art. 354 cod. proc. civ., comma 1, lo stesso è privo di fondamento.

Deve premettersi che dall’esame diretto degli atti – consentito a questa Corte in ragione dell’error in procedendo denunciato – emerge che: 1) il decreto di espropriazione, n. 448 del 14 febbraio 1981, dell’immobile di P.C., dante causa degli odierni controricorrenti, è stato pronunciato dal Prefetto di Teramo “a favore della Italprefabbricati s.a.s., con sede in (OMISSIS)”, cioè in favore della s.a.s. Italprefabbricati del geom. D. A., che aveva appunto pacificamente sede in (OMISSIS), la s.a.s. Italprefabbricati di Marino D’Eugenio avendo invece, all’epoca, pacificamente sede in (OMISSIS); 2) l’atto di citazione degli eredi P. in data 3 ottobre 1987 e l’atto di riassunzione del 6 dicembre 1991 – che, a seguito della sentenza del Tribunale di Teramo n. 281/91 del 15 febbraio 1991, con la quale è stata definitivamente dichiarata la cessazione della materia del contendere relativamente alla causa promossa da P.C. con la citazione del 2 aprile 1981, e l’incompetenza dello stesso Tribunale a conoscere la causa promossa con la citazione del 3 ottobre 1987 in favore del Tribunale di L’Aquila, sono i soli rilevanti in questa sede, pur contenendo l’indicazione, come convenuta, della s.a.s. Italprefabbricati di Marino D’Eugenio, sono stati notificati nella sede di (OMISSIS), nella sede cioè della s.a.s. Italprefabbricati del geom. D.A..

Ciò premesso, i Giudici a quibus – dando atto del motivo d’appello che sottolineava, con riferimento all’atto di citazione del 3 ottobre 1987 ed all’atto di riassunzione del 6 dicembre 1991, la contraddizione tra l’individuazione della convenuta nella s.a.s.

Italprefabbricati di Marino D’Eugenio e la notificazione di detti atti in (OMISSIS), sede della s.a.s. Italprefabbricati del geom. D.A. – hanno sinteticamente affermato: “In definitiva, la società oggi appellante s.a.s. Italprefabbricati del geom. D.A. è il soggetto a cui favore è stato emesso il decreto di espropriazione de quo; il soggetto che gli attori intendevano evocare in giudizio; il soggetto al quale la citazione è stata notificata; è il soggetto che si è costituito in giudizio nel 1981 senza neanche eccepire il proprio difetto di legittimazione passiva, perchè l’ha fatto solo nel 1988, peraltro riconoscendo ch’essa era la “Italprefabbricati s.a.s. di Marino D’Eugenio (…) trasformata” ed accettando altresì il contraddittorio”.

E’ dunque evidente che la Corte aquilana ha superato in modo radicale la contraddizione denunciata, ritenendo – in forza della complessiva considerazione degli evidenziati e concorrenti elementi – che il P. ed i suoi eredi hanno inteso chiamare in giudizio la s.a.s. Italprefabbricati del geom. D.A. quale titolare dell’immobile espropriato e, conseguentemente, hanno notificato detti atti introduttivi nella sede della stessa Società in (OMISSIS).

Le osservazioni che precedono rendono parimenti evidente che i Giudici a quibus non sono incorsi nel denunciato vizio di omessa pronuncia, in quanto essi – affermando la coerenza tra soggetto chiamato in giudizio e soggetto al quale sono stati notificati i più volte menzionati atti introduttivi – hanno nel contempo riconosciuto la validità di tale notificazione e, perciò, escluso la presenza del vizio di “nullità della notificazione della citazione introduttiva” che, ai sensi dell’art. 354 cod. proc. civ., comma 1, legittima il giudice di appello a rimettere la causa al giudice di primo grado.

Quanto al secondo motivo – con il quale la ricorrente sostiene che la Corte aquilana avrebbe dovuto dichiarare l’estinzione del processo riassunto con l’atto del 6 dicembre 1991, in ragione del fatto che gli eredi P. non avevano chiamato in giudizio la s.a.s.

Italprefabbricati di Marino D’Eugenio, in quanto avevano notificato l’atto di citazione in riassunzione all’Avv. Di Giovanni, difensore dinanzi al Tribunale di Teramo della s.a.s. Italprefabbricati del geom. D.A., valgono, per affermarne l’infondatezza, le medesime osservazioni svolte in riferimento al primo motivo:

infatti, posto che il soggetto chiamato in giudizio nel processo promosso dinanzi al Tribunale di Teramo (poi dichiaratosi incompetente) è la s.a.s. Italprefabbricati del geom. D. A., l’atto di riassunzione doveva necessariamente essere notificato al difensore di quest’ultima, costituitosi dinanzi allo stesso Tribunale di Teramo, ai sensi del combinato disposto degli artt. 125 disp. att.cod. proc. civ., comma 3, e art. 170 cod. proc. civ., comma 1.

2.2. – I motivi dal terzo al quinto sono parimenti privi di fondamento.

Con essi, la ricorrente sostiene che i Giudici a quibus hanno omesso di pronunciare sulla eccezione di nuova domanda dalla stessa sollevata con riguardo alla domanda formulata dagli eredi P. nell’udienza del 12 marzo 2004, di precisazione delle conclusioni del processo riassunto, là dove tali eredi, pur avendo chiamato in giudizio la s.a.s. Italprefabbricati di Marino D’Eugenio, avevano invece proposto la domanda originaria nei confronti della s.a.s.

Italprefabbricati del geom. D.A., e non hanno inoltre tenuto conto del fatto processuale che la s.a.s. Italprefabbricati del geom. D.A. aveva espressamente rifiutato il contraddittorio su qualsiasi domanda nuova proposta nei suoi confronti.

Innanzitutto, la Corte aquilana – contrariamente a quanto dedotto dalla ricorrente – ha espressamente affermato, in riferimento al contenuto del motivo d’appello corrispondente ai motivi del ricorso per cassazione in esame: “Alla luce di quanto sin qui detto, risulta l’infondatezza della censura svolta sub n. 3”. Ne consegue che il denunciato vizio di omessa pronuncia è palesemente insussistente.

Inoltre, in riferimento agli altri vizi, anche di motivazione, denunciati con i motivi in esame, deve comunque aggiungersi che, con detto sintetico richiamo, i Giudici dell’appello hanno chiaramente inteso riferirsi alla precedente affermazione, secondo la quale la Società chiamata in giudizio con la citazione del 3 ottobre 1987 e con la comparsa di riassunzione del 6 dicembre 1991 doveva individuarsi nella s.a.s. Italprefabbricati del geom. D. A., ed hanno quindi ritenuto – sia pure implicitamente – che la domanda principale di restituzione dell’immobile espropriato e quella, subordinata, di risarcimento del danno non potevano qualificarsi siccome nuove, perchè erano state proposte, fin da detti atti introduttivi, nei confronti della stessa s.a.s.

Italprefabbricati del geom. D.A..

2.3. – Il sesto motivo del ricorso è privo di fondamento, anche se la motivazione in diritto della sentenza impugnata sul punto deve essere corretta ai sensi dell’art. 384 cod. proc. civ., comma 4, essendo il corrispondente dispositivo conforme al diritto.

Con tale motivo la ricorrente sostiene che il decreto del Prefetto di Teramo n. 3159 del 27 giugno 1979 recante la dichiarazione di pubblica utilità dell’opera, non essendo stato impugnato dinanzi al giudice amministrativo, non aveva formato oggetto della pronuncia di annullamento del Consiglio di Stato n. 316 del 1987, con la conseguenza che la vicenda giuridica in questione avrebbe dovuto essere qualificata come occupazione appropriativa e non come occupazione usurpativa, con l’ulteriore conseguenza che non avrebbe potuto essere pronunciata la condanna alla restituzione dell’area espropriata, previa sua rimessione in pristino.

Al riguardo, deve premettersi che: a) come risulta dal testo del su menzionato decreto di espropriazione n. 448 del 14 febbraio 1981 – l’espropriazione de qua è stata pronunciata ai sensi del D.P.R. 6 marzo 1978, n. 218, art. 49 (T.U. leggi sugli interventi nel Mezzogiorno) – che reca la rubrica “Infrastrutture industriali ed espropriazione per pubblica utilità”, il quale, al comma 2, prevede:

“Fino al 31 dicembre 1980, le opere occorrenti per il primo impianto di stabilimenti industriali tecnicamente organizzati e delle costruzioni annesse, e per l’ampliamento, la trasformazione, la ricostruzione, la riattivazione e l’ammodernamento degli stabilimenti già esistenti, nei territori di cui all’art. 1, sono dichiarate di pubblica utilità, urgenti ed indifferibili a tutti gli effetti di legge” (D.P.R. n. 218 del 1978, art. 49, risulta abrogato, con effetto dal 30 giugno 2003, ai sensi del D.P.R. 8 giugno 2001, n. 327, art. 58, comma 1, n. 109,); b) detto decreto di espropriazione è stato annullato dal Consiglio di Stato con la più volte menzionata sentenza n. 316 del 28 maggio 1987; c) a seguito di tale pronuncia, gli eredi di P.C. hanno promosso e proseguito, con la citazione del 3 ottobre 1987 e con la comparsa di riassunzione del 6 dicembre 1991, il giudizio per la condanna della s.a.s. Italprefabbricati del geom. D.A. alla restituzione dell’immobile illegittimamente espropriato o, in subordine, al risarcimento dei danni; d) la Corte aquilana, con la decisione impugnata, ha confermato la sentenza del Tribunale di L’Aquila, di condanna dell’odierna ricorrente alla restituzione dell’immobile e al suo ripristino nello stato originario.

Ciò premesso, va sottolineato che questa Corte ha da tempo chiarito – anche con riferimento a fattispecie analoghe a quella in esame – che l’appartenenza dell’opera realizzata in situazione di illegittimità al demanio necessario o al patrimonio indisponibile di un ente pubblico è elemento essenziale per l’applicazione dell’istituto dell’occupazione espropriativa (cfr., ex plurimis, le sentenze nn. 4738 del 1997, 8777 del 2004 e 23798 del 2006).

In particolare, segnatamente con le menzionate sentenze nn. 8777 del 2004 e 23798 del 2006, è stato precisato che: a) è limitatamente a dette categorie di opere pubbliche – e per esse soltanto – che può porsi il problema di definirne il regime dominicale, risolto da questa Corte con il noto principio dell’occupazione espropriativa a favore dell’amministrazione che le ha realizzate; principio giustificato dalla Corte costituzionale proprio in base al precetto dell’art. 42 Cost., che, nel conflitto tra l’interesse del proprietario del suolo ad ottenerne la restituzione e quello della Pubblica Amministrazione alla conservazione dell’opera pubblica, attribuisce prevalenza a quest’ultimo, realizzando sul versante pubblicistico un modo di acquisto dalla proprietà allo scopo precipuo di assicurarne la funzione sociale (Corte Costituzionale, sentenze nn. 188 del 1995, 384 del 1990); b) è significativo, al riguardo, che fin dalle note decisioni che hanno definito presupposti e confini dell’istituto dell’occupazione espropriativa, le sezioni unite di questa Corte (cfr. le sentenze nn. 3940 del 1988, 3963 e 4619 del 1989) hanno evidenziato la distinzione dell’occupazione espropriativa dal fenomeno, indiscriminato e generico, dell’apprensione sine titulo di un bene immobile altrui per qualsivoglia ragione e fine (pur se di interesse collettivo), affermando che l’occupazione espropriativa è necessariamente caratterizzata, quale suo indefettibile punto di partenza, da una dichiarazione di pubblica utilità dell’opera e, quale suo indefettibile punto di arrivo, dalla realizzazione dell’opera pubblica, perciò necessariamente appartenente all’una o all’altra delle categorie dianzi menzionate e strettamente sottoposta al relativo regime pubblicistico, regime che impedisce alla stessa amministrazione la dismissione e la restituzione del suolo all’originario proprietario; c) conseguentemente, esulano da tale schema applicativo non soltanto le costruzioni che, pur assolvendo a finalità di pubblico interesse, restano – come nella specie il capannone industriale realizzato sull’area dei controricorrenti – di appartenenza privata, ma anche quelle che, pur essendo state realizzate dalla Pubblica Amministrazione, per soddisfare interessi necessariamente pubblici, non sono precedute dalla prescritta dichiarazione di pubblica utilità (cosiddetta occupazione usurpativa), indispensabile per attribuire loro la qualifica di bene demaniale o patrimoniale indisponibile.

Nella specie, le opere occorrenti per l'”ampliamento dell’opificio industriale di prefabbricati industriali e civili”, pur assolvendo alle finalità di pubblico interesse prefigurate dal menzionato del D.P.R. n. 218 del 1978, art. 49, non costituiscono opere “intrinsecamente pubbliche” nel senso ora chiarito e, perciò, restano di appartenenza esclusivamente privata (della s.a.s.

Italprefabbricati del geom. D.A.), con la conseguenza che a tale fattispecie non è applicabile l’istituto della occupazione espropriativa, con l’ulteriore conseguenza che, venuto meno ex tunc l’unico titolo d’acquisto della proprietà dell’immobile – per effetto dell’annullamento in sede giurisdizionale del decreto di espropriazione -, detta Società è obbligata alla restituzione dello stesso immobile all’originario proprietario illegittimamente espropriato.

Deve, pertanto, concludersi che la illegittima occupazione di un fondo privato – ai fini della realizzazione delle “opere occorrenti per il primo impianto di stabilimenti industriali tecnicamente organizzati e delle costruzioni annesse, e per l’ampliamento, la trasformazione, la ricostruzione, la riattivazione e l’ammodernamento degli stabilimenti già esistenti” nei territori meridionali, ai sensi del D.P.R. n. 218 del 1978, art. 49 – la quale consegua all’annullamento, da parte del giudice amministrativo, del decreto di espropriazione pronunciato ai sensi della menzionata disposizione comporta l’obbligo dell’espropriante alla restituzione dell’immobile al proprietario, in tutti i casi – quale quello di specie – in cui non sia configurabile una vicenda di occupazione cosiddetta espropriativa, il cui fondamento sta nella conservazione alla mano pubblica di un’opera destinata a soddisfare un interesse della Pubblica Amministrazione e, quindi, un’opera intrinsecamente pubblica.

2.4. – Il settimo motivo del ricorso è inammissibile.

Con esso, la ricorrente critica la sentenza impugnata deducendo esclusivamente vizi della motivazione: in particolare, là dove la Corte aquilana, nel rigettare l’appello della Società odierna ricorrente, ha confermato la decisione del Tribunale di L’Aquila, nella parte in cui ha respinto la domanda di manleva proposta dalla s.a.s. Italprefabbricati del geom. D.A. nei confronti del Prefetto di Teramo e del Comune di Atri.

E’ noto che, per costante orientamento di questa Corte, l’art. 366 bis cod. proc. civ., nel prescrivere le modalità di formulazione dei motivi del ricorso in cassazione, comporta, ai fini della declaratoria di inammissibilità del ricorso medesimo, una diversa valutazione da parte del giudice di legittimità a seconda che si sia in presenza dei motivi previsti dall’art. dell’art. 360 cod. proc. civ., comma 1, nn. 1, 2, 3 e 4, ovvero del motivo previsto dal n. 5 dello stesso art. 360, comma 1: nel primo caso, ciascuna censura deve tradursi, all’esito della sua illustrazione, in un quesito di diritto, la cui enunciazione (e formalità espressiva) va orientata, come attestato dall’art. 384 cod. proc. civ., all’enunciazione del principio di diritto ovvero a dieta giurisprudenziali su questioni di diritto di particolare importanza; nel secondo caso (vizi della motivazione), la censura – il cui oggetto riguarda il solo iter argomentativo della decisione impugnata – deve tradursi, all’esito della sua illustrazione, in una esposizione, sia pure libera da rigidità formali, chiara e sintetica del fatto controverso, in relazione al quale la motivazione si assume omessa o contraddittoria, ovvero delle ragioni per le quali la dedotta insufficienza rende inidonea la motivazione a giustificare la decisione (cfr., ex plurimis, le sentenze nn. 16528 del 2008, pronunciata a sezioni unite, 4556 e 27680 del 2009).

Orbene, nella specie, nessuna delle molteplici censure – che denunciano una serie di omissioni o di insufficienze della motivazione – contiene il predetto “momento di sintesi”, cioè l’esposizione chiara e sintetica tale da evidenziare sia ciascun fatto controverso in relazione al quale la motivazione si assume omessa, sia le ragioni per cui la denunciata insufficienza determina l’inidoneità della motivazione a sorreggere la decisione. Le censure dedotte, infatti – anche a voler prescindere dalla considerazione che sono sostanzialmente volte ad una nuova valutazione degli elementi probatori meramente diversa da quella effettuata dalla Corte aquilana – si risolvono in una mera elencazione di fatti affermati apoditticamente come decisivi ai fini dell’accoglimento della domanda di manleva (ad esempio, data della costruzione dei capannoni industriali, data della relativa concessione edilizia, inedificabilità dell’area espropriata in mancanza del piano per gli insediamenti produttivi) e in una pluralità di argomentazioni che non risultano collegate chiaramente a tali fatti.

3. – Le spese seguono la soccombenza della ricorrente nei confronti sia degli eredi di P.C. sia della Prefettura-Ufficio territoriale del Governo di Teramo e vengono liquidate nel dispositivo.

PQM

Rigetta il ricorso e condanna la ricorrente alle spese, che liquida in complessivi Euro 10.200,00 in favore degli eredi di P. C. – C.M.L. vedova P., A.R., A. e P.M., ivi compresi Euro 200,00 per esborsi, oltre alle spese generali ed agli accessori di legge, e in complessivi Euro 5.500,00 in favore della Prefettura-Ufficio territoriale del Governo di Teramo, oltre alle spese prenotate a debito.

Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio della Sezione Prima Civile, il 14 febbraio 2011.

Depositato in Cancelleria il 31 marzo 2011

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