Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 7514 del 25/03/2020

Cassazione civile sez. I, 25/03/2020, (ud. 11/11/2019, dep. 25/03/2020), n.7514

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE PRIMA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. GIANCOLA Maria Cristina – Presidente –

Dott. PERRICONE Angelina Maria – Consigliere –

Dott. SCALIA Laura – Consigliere –

Dott. CATALLOZZI Paolo – Consigliere –

Dott. ANDRONIO Alessandro – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso proposto da:

M.A.P.C., nata in (OMISSIS), rappresentata e

difesa dall’avv. Odovilio Lombardo ed elettivamente domiciliata

presso il suo studio in Forlì, via Cignani 19;

– ricorrente –

contro

Ministero dell’Interno, ((OMISSIS));

– resistente –

avverso il decreto del TRIBUNALE di BOLOGNA depositato il 26/09/2018;

udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio non

partecipata del 11/11/2019 dal consigliere Dott. Alessandro M.

Andronio.

Fatto

FATTI DI CAUSA

1. Con decreto n. 3312/2018 del 26 settembre 2018, il Tribunale di Bologna ha rigettato il ricorso proposto dall’interessata avverso il provvedimento di diniego della Commissione territoriale per il riconoscimento della protezione internazionale di Bologna, sezione distaccata di Forlì-Cesena.

2. Avverso il provvedimento l’interessata ha proposto ricorso per cassazione: 1) la violazione del D.Lgs. n. 286 del 1998, art. 5, comma 6 e del D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 14 per il mancato riconoscimento dell’esistenza di una minaccia grave alla vita e all’incolumità e la mancata considerazione della situazione del paese di provenienza, ai fini della protezione sussidiaria e di quella umanitaria; 2) vizi della motivazione in relazione alla mancata considerazione del fatto che nel paese di provenienza esiste una situazione di uso eccessivo della forza contro gli oppositori nell’ambito di proteste politiche, nonchè di violazione di diritti umani connessi alle elezioni.

3. L’amministrazione intimata si è costituita al solo scopo di partecipare all’eventuale discussione della causa, senza formulare deduzioni.

Diritto

RAGIONI DELLA DECISIONE

1. Il ricorso è inammissibile.

Le doglianze della ricorrente consistono in larga parte nella mera riproposizione di rilievi già sottoposti al Tribunale in relazione a una situazione di persecuzione e minaccia alla quale ella sarebbe sottoposta nel suo paese di origine, in quanto vittima di un’organizzazione di tipo paramilitare per la proprietà della terra, che le avrebbe bruciato la casa e l’avrebbero minacciata, nonchè vittima del marito, da cui è separata, che l’avrebbe picchiata. Sul punto, il decreto impugnato reca una motivazione pienamente logica e coerente – e, dunque, insindacabile in sede di legittimità – laddove evidenzia l’assoluta inverosimiglianza della versione dei fatti fornita dall’interessata. Si rileva, in particolare, che la ricorrente: ha reso di fronte alla Commissione e al Tribunale due versioni divergenti sulle ragioni per le quali aveva lasciato il paese; ha reso versioni divergenti circa l’appartenenza di lei e del marito all’associazione per la difesa della proprietà della terra che poi l’avrebbe minacciata; ha reso versioni divergenti anche in relazione alle vicende relative alla proprietà della casa e alle minacce ricevute, nonchè al ruolo del marito in relazione alle stesse.

Tali considerazioni rendono inammissibili entrambi i motivi di doglianza. A fronte dei generici rilievi della richiedente, il Tribunale ha correttamente applicato il principio, costantemente affermato dalla giurisprudenza di questa Corte, secondo cui in tema di protezione internazionale, il disposto del D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 3, comma 1, nell’imporre al richiedente di presentare tutti gli elementi e la documentazione necessari a motivare la domanda, costituisce un aspetto del più generale dovere di collaborazione istruttoria a cui lo stesso è tenuto, ma non fissa una regola di giudizio, sicchè la scelta degli elementi probatori e la valutazione di essi, ai sensi del successivo comma 3, lett. b), rientrano nella sfera di discrezionalità del giudice di merito, il quale non è obbligato a confutare dettagliatamente le singole argomentazioni svolte dalle parti su ciascuna delle risultanze probatorie, nè a compiere l’analitica valutazione di ciascun documento prodotto, ma deve soltanto fornire, mediante un apprezzamento globale della congerie istruttoria raccolta, un’esauriente e convincente motivazione sulla base degli elementi ritenuti più attendibili e pertinenti (ex plurimis, Sez. 1, Ord. n. 21881 del 30/08/2019, Rv. 655165 – 01; Sez. 1, Ord. n. 15794 del 12/06/2019, Rv. 654624 – 01).

Ha altresì correttamente evidenziato che non sussistono i presupposti per la protezione sussidiaria, perchè i fatti specificati, quanto al paese di origine e quanto, più in generale, alla situazione personale, non configurano una persecuzione o danno grave, nè un pericolo di persecuzione o di danno ai sensi del D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 14.

Quanto alla protezione umanitaria, va osservato che, secondo la giurisprudenza di questa Corte, il riconoscimento del diritto al permesso di soggiorno per motivi umanitari di cui al D.Lgs. n. 286 del 1998, art. 5, comma 6, al cittadino straniero che abbia realizzato un grado adeguato di integrazione sociale in Italia, deve fondarsi su una effettiva valutazione comparativa della situazione soggettiva ed oggettiva del richiedente con riferimento al Paese d’origine, al fine di verificare se il rimpatrio possa determinare la privazione della titolarità e dell’esercizio dei diritti umani, al di sotto del nucleo ineliminabile costitutivo dello statuto della dignità personale, in correlazione con la situazione di integrazione raggiunta nel paese d’accoglienza (ex multis, Sez. 1, n. 4455 del 23/02/2018, Rv. 647298 – 01). E deve ricordarsi, inoltre, che l’orizzontalità dei diritti umani fondamentali comporta che, ai fini del riconoscimento della protezione, occorre operare la valutazione comparativa della situazione soggettiva e oggettiva del richiedente con riferimento al Paese di origine, in raffronto alla situazione d’integrazione raggiunta nel paese di accoglienza, senza che abbia rilievo l’esame del livello di integrazione raggiunto in Italia, isolatamente ed astrattamente considerato (Sez. U, n. 29459 del 13/11/2019, Rv. 656062 – 02). Tale valutazione è stata compiutamente effettuata dal Tribunale, che – come visto – ha ritenuto non credibile la versione fornita dall’interessata; cosicchè non può essere ritenuto sussistente alcun pericolo di trattamenti inumani. Il Tribunale ha anche verificato l’insussistenza di una situazione generalizzata di pericolo nel paese di origine – pur in presenza di alcune violazioni dei diritti umani – spingendo il suo sindacato ben oltre la generica prospettazione dell’interessata, sulla base di documentazione proveniente da organizzazioni internazionali e associazioni umanitarie, presa in considerazione d’ufficio, giungendo ad accertare che ella non presenta profili di vulnerabilità nel suo paese di origine.

2. Nulla è dovuto per le spese dalla ricorrente soccombente, non avendo la controparte costituita formulato deduzioni.

Va dato atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte del ricorrente, ai sensi del D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13, comma 1 quater, nel testo introdotto dalla L. 24 dicembre 2012, n. 228, art. 1, comma 17, di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato, in misura pari a quello, ove dovuto, per il ricorso, a norma dello stesso art. 13, comma 1-bis.

PQM

La Corte dichiara l’inammissibilità del ricorso.

Ai sensi del D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13, comma 1 quater, nel testo introdotto dalla L. 24 dicembre 2012, n. 228, art. 1, comma 17, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato, pari a quello, ove dovuto, per il ricorso, a norma dello stesso art. 13, comma 1-bis.

Così deciso in Roma, il 11 novembre 2019.

Depositato in Cancelleria il 25 marzo 2020

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