Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 7514 del 23/03/2017


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Cassazione civile, sez. lav., 23/03/2017, (ud. 30/11/2016, dep.23/03/2017),  n. 7514

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE LAVORO

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. MAMMONE Giovanni – Presidente –

Dott. D’ANTONIO Enrica – Consigliere –

Dott. BERRINO Umberto – Consigliere –

Dott. DORONZO Adriana – Consigliere –

Dott. RIVERSO Roberto – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

SENTENZA

sul ricorso 26217-2012 proposto da:

GENOVA RETI GAS S.R.L. c.f. (OMISSIS), in persona del legale

rappresentante pro tempore, elettivamente domiciliata in ROMA, VIA

CAIO MARIO 7, presso lo studio dell’avvocato MARIA TERESA

BARBANTINI, che la rappresenta e difende unitamente all’avvocato

ENRICO SIBOLDI, giusta delega in atti;

– ricorrente –

contro

I.N.P.S. ISTITUTO NAZIONALE DELLA PREVIDENZA SOCIALE C.F. (OMISSIS)

in persona del suo Presidente e legale rappresentante pro tempore,

in proprio e quale mandatario della S.C.C.I. S.P.A. Società di

Cartolarizzazione dei Crediti I.N.P.S. C.F. (OMISSIS), elettivamente

domiciliati in ROMA, VIA CESARE BECCARIA N. 29, presso l’Avvocatura

Centrale dell’Istituto, rappresentati e difesi dagli avvocati CARLA

D’ALOISIO, ANTONINO SGROI, LELIO MARITATO, giusta delega in atti;

– controricorrenti –

nonchè contro

EQUITALIA NORD S.P.A. (già Equitalia Sestri S.p.A);

– intimata –

avverso la sentenza n. 390/2012 della CORTE D’APPELLO di GENOVA,

depositata il 10/05/2012 R.G.N. 749/2011;

udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del

30/11/2016 dal Consigliere Dott. RIVERSO ROBERTO;

udito l’Avvocato LUIGI FEDELI BARBANTINI per delega verbale avvocato

MARIA TERESA BARBANTINI;

udito l’Avvocato D’ALOISIO CARLA;

udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott.

SERVELLO GIANFRANCO che ha concluso per il rigetto del ricorso.

Fatto

SVOLGIMENTO DEL PROCESSO

La Corte d’appello di Genova con sentenza 390/2012 ha respinto gli appelli della Genova Reti Gas srl avverso le sentenze di primo grado che avevano ritenuto sussistente l’obbligazione contributiva iscritta a ruolo dall’INPS in relazione al pagamento della contribuzione dovuta per cassa integrazione guadagni ordinaria, per cassa integrazione guadagni straordinaria e per mobilità, non potendo trovare applicazione l’esonero previsto dal D.Lgs. n. 869 del 1947, art. 3, comma 1, nel testo sostituito dalla L. n. 270 del 1988, art. 4, per le imprese industriali degli enti pubblici. A fondamento del decisum la Corte ha ritenuto che la soluzione adottata dal tribunale in merito ai contributi CIGO, CIGS e mobilità fosse corretto e conforme all’orientamento di legittimità oramai consolidato (Corte di Cassazione sentenza 14847/2009 e 5861/2010). Contro la sentenza Genova Reti Gas srl ha proposto ricorso per cassazione sulla base di due motivi di ricorso, cui resiste l’INPS con controricorso. Le parti hanno depositato memorie ex art. 378 c.p.c., Equitalia Nord è rimasta intimata.

Diritto

MOTIVI DELLA DECISIONE

1. Con il primo motivo di ricorso, attinente ai contributi per CIGS e CIGO, la società ricorrente, denuncia plurime violazioni di legge (D.Lgs. n. 869 del 1947, art. 3, mod. con la L. n. 270 del 1988, art. 4, L. 5 novembre 1968, n. 115, art. 2, L. 20 maggio 1975, n. 164, art. 1, L. 23 luglio 1991, n. 223, art. 16, art. 2093 c.c., L. 8 giugno 1990, n. 142, art. 22, successivamente trasfuso nel t.u. n. 267 del 2000, art. 113), nonchè vizio di motivazione, deducendo che alla luce della disciplina interna e comunitaria, l’esonero dalla contribuzione per la cassa integrazione previsto dal D.C.P.S. n. 869 del 1947, art. 3, in favore delle imprese industriali degli enti pubblici, anche se municipalizzate e dello Stato, non è riferibile soltanto alle società esercenti servizi pubblici a capitale totalmente pubblico ma deve essere esteso anche a quelle a capitale maggioritario pubblico e a influenza dominante pubblica; in particolare, nell’articolata deduzione, si richiama la nozione di influenza dominante (da parte del soggetto pubblico) quale tratto distintivo della impresa pubblica e sostengono la infondatezza dell’assunto secondo il quale la società per azioni con partecipazione pubblica non muta la sua natura di soggetto di diritto privato solo perchè lo Stato e gli enti pubblici ne posseggono le azioni in tutto o in parte trattandosi di persona giuridica privata, che opera nell’esercizio della sua autonomia negoziale, senza alcun collegamento con l’ente pubblico. Ad avviso delle ricorrenti, infatti, ciò che rileva non è il dato formale della personalità giuridica privata e/o l’esercizio o meno di poteri autoritativi, al fine di determinare una significativa alterazione del modello societario tipico, ma il dato sostanziale dell’unitarietà economica e funzionale con il soggetto pubblico proprietario di semplice maggioranza; ciò sarebbe sufficiente a determinare un’alterazione del modello societario.

2. Con il secondo motivo di ricorso, deducendo violazione della L. n. 223 del 1991, art. 14, e vizio di motivazione, la ricorrente censura, mediante richiamo alle medesime argomentazioni svolte nel primo motivo, il mancato riconoscimento del diritto all’esonero dalla contribuzione per mobilità.

3. I due motivi di ricorso, trattati congiuntamente in quanto presentano tematiche comuni scaturenti dal fatto che la contribuzione per mobilità, ai sensi della L. n. 223 del 1991, art. 16, è dovuta per le imprese rientranti nel campo di applicazione della disciplina dell’intervento straordinario di integrazione salariale, sono manifestamente infondati.

Secondo il consolidato orientamento di questa Corte (v. tra le altre, Cass. n. 14847 del 2009, n. 5816 del 2010, n. 19087, n. 20818, n. 20819, n. 22318, n. 27513 del 2013, n. 14089, n. 13721 del 2014; ord. n. 9185 del 2015; ord. N. 176/2016) in tema di contribuzione previdenziale, le società a capitale misto, ed in particolare le società per azioni a prevalente capitale pubblico, aventi ad oggetto l’esercizio di attività industriali sono tenute al pagamento dei contributi previdenziali previsti per la cassa integrazione guadagni e la mobilità, non potendo trovare applicazione l’esenzione stabilita per le imprese industriali degli enti pubblici, trattandosi di società di natura essenzialmente privata, finalizzate all’erogazione di servizi al pubblico in regime di concorrenza, nelle quali l’amministrazione pubblica esercita il controllo esclusivamente attraverso gli strumenti di diritto privato, e restando irrilevante, in mancanza di una disciplina derogatoria rispetto a quella propria dello schema societario, la mera partecipazione – pur maggioritaria, ma non totalitaria – da parte dell’ente pubblico. E’ stato in particolare precisato che la forma societaria di diritto privato è per l’ente locale la modalità di gestione degli impianti consentita dalla legge e prescelta dall’ente stesso per la duttilità dello strumento giuridico, in cui il perseguimento dell’obiettivo pubblico è caratterizzato dall’accettazione delle regole del diritto privato e che la finalità perseguita dal legislatore nazionale e comunitario nella promozione di strumenti non autoritativi per la gestione dei servizi pubblici locali è specificamente quella di non ledere le dinamiche della concorrenza, assumendo rilevanza determinante, in ordine all’obbligo contributivo, il passaggio del personale addetto alla gestione del servizio dal regime pubblicistico a quello privatistico. (Cass. n. 20818 del 2013, Cass. 27513 del 2013). Da tali conclusioni della giurisprudenza non vi è ora ragione di discostarsi, in quanto le opposte valutazioni sviluppate nel ricorso sono sorrette da argomenti ripetutamente scrutinati da questa Corte nelle molteplici occasioni ricordate e non appaiono comunque talmente evidenti e gravi da esonerare la Corte dal dovere di fedeltà ai propri precedenti, sul quale si fonda per larga parte l’assolvimento della funzione ad essa affidata di assicurare l’esatta osservanza e l’uniforme interpretazione della legge.

4. In conclusione, le considerazioni sin qui svolte impongono di rigettare il ricorso e di condannare la ricorrente, rimasta soccombente, al pagamento delle spese del giudizio di cassazione, liquidate in dispositivo.

PQM

La Corte rigetta il ricorso e condanna i ricorrenti al pagamento delle spese processuali liquidate in Euro 4100 di cui Euro 4000 per compensi professionali, oltre il 15% di spese generali ed oneri accessori di legge.

Così deciso in Roma, nella Camera di Consiglio, il 30 novembre 2016.

Depositato in Cancelleria il 23 marzo 2017

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