Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 7512 del 25/03/2020

Cassazione civile sez. I, 25/03/2020, (ud. 11/11/2019, dep. 25/03/2020), n.7512

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE PRIMA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. GIANCOLA Maria Cristina – Presidente –

Dott. PERRINO Angelina Maria – Consigliere –

Dott. SCALIA Laura – Consigliere –

Dott. CATALLOZZI Paolo – Consigliere –

Dott. ANDRONIO Alessandro Maria – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso proposto da:

E.E., rappresentato e difeso dall’avv. Flavio Grande ed

elettivamente domiciliato presso il suo studio in Torino, via

Cialdini 41;

– ricorrente –

contro

Ministero dell’Interno, ((OMISSIS));

– intimato –

avverso il decreto del TRIBUNALE di BOLOGNA depositato il 22/09/2018;

udita la relazione della causa svolta nella Camera di consiglio non

partecipata del 11/11/2019 dal Consigliere Dott. Alessandro M.

Andronio.

Fatto

FATTI DI CAUSA

1. Con Decreto n. 3211/2018 del 22 settembre 2018, il Tribunale di Bologna ha rigettato il ricorso proposto dall’interessato avverso il provvedimento di diniego della Commissione territoriale per il riconoscimento della protezione internazionale di Bologna.

2. Avverso il decreto l’interessato ha proposto ricorso per cassazione, deducendo: 1) la violazione del D.Lgs. n. 251 del 2007, artt. 3 e 5, per l’erronea applicazione del principio dell’onere della prova attenuato, nonchè vizi della motivazione in relazione alla ritenuta non credibilità del richiedente; 2) la violazione del D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 6, sul rilievo che il Tribunale avrebbe dovuto accertare d’ufficio se le autorità del paese di origine dei richiedenti siano effettivamente in grado di fornire protezione contro le minacce da lui ricevute; 3) la violazione del D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 8, per la mancata considerazione della versione dei fatti fornita dall’interessato, il quale aveva riferito di essere perseguitato dai membri della setta cui apparteneva il padre, per essersi rifiutato di entrare nella setta stessa alla morte di quest’ultimo; 4) la violazione del D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 14, in relazione alla protezione sussidiaria, per il mancato riconoscimento dell’esistenza di una minaccia grave alla vita e all’incolumità e la mancata considerazione della situazione del paese di provenienza.

3. L’amministrazione intimata non si è costituita.

Diritto

RAGIONI DELLA DECISIONE

1. Il ricorso è inammissibile.

Le doglianze del ricorrente consistono nella mera riproposizione di rilievi già sottoposti al Tribunale in relazione a una situazione di persecuzione alla quale egli sarebbe sottoposto nel suo paese di origine, essendosi sottratto all’arruolamento forzato da parte di una setta religiosa, cui prima apparteneva il padre, ed essendo stato per questo minacciato dai membri della setta. Sul punto, il decreto impugnato reca una motivazione pienamente logica e coerente – e, dunque, insindacabile in sede di legittimità – laddove evidenzia l’assoluta inverosimiglianza della versione dei fatti fornita dall’interessato, del tutto priva di credibilità intrinseca. Si rileva, in particolare, che il ricorrente: non ha prodotto alcuna documentazione a suffragio delle sue affermazioni, nonostante la presenza di riferimenti familiari nel paese di origine; non ha saputo collocare le pretese minacce nel tempo, nè a saputo descriverne la consistenza e la provenienza esatte; ha riferito fatti contrastanti in relazione al suo trasferimento presso gli zii e alla malattia della madre di fronte alla Commissione e di fronte al Tribunale.

Tali considerazioni rendono inammissibili il primo, il secondo e il terzo motivo di doglianza. A fronte dei generici rilievi del richiedente, il Tribunale ha correttamente applicato il principio, costantemente affermato dalla giurisprudenza di questa Corte, secondo cui in tema di protezione internazionale, il disposto del D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 3, comma 1, nell’imporre al richiedente di presentare tutti gli elementi e la documentazione necessari a motivare la domanda, costituisce un aspetto del più generale dovere di collaborazione istruttoria a cui lo stesso è tenuto, ma non fissa una regola di giudizio, sicchè la scelta degli elementi probatori e la valutazione di essi, ai sensi del successivo comma 3, lett. b), rientrano nella sfera di discrezionalità del giudice di merito, il quale non è obbligato a confutare dettagliatamente le singole argomentazioni svolte dalle parti su ciascuna delle risultanze probatorie, nè a compiere l’analitica valutazione di ciascun documento prodotto, ma deve soltanto fornire, mediante un apprezzamento globale della congerie istruttoria raccolta, un’esauriente e convincente motivazione sulla base degli elementi ritenuti più attendibili e pertinenti (ex plurimis, Sez. 1, Ord. n. 21881 del 30/08/2019, Rv. 655165-01; Sez. 1, Ord. n. 15794 del 12/06/2019, Rv. 654624-01).

Ha altresì correttamente evidenziato che non sussistono i presupposti per la protezione sussidiaria, perchè i fatti specificati, quanto al paese di origine e quanto, più in generale, alla situazione personale, non configurano una persecuzione o danno grave, nè un pericolo di persecuzione o di danno ai sensi del D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 14, in mancanza di elementi oggettivi da cui desumere che le autorità pubbliche nigeriane non siano in grado di fornire protezione ai cittadini contro sopraffazioni o minacce. Il Tribunale ha anche verificato l’insussistenza di una situazione generalizzata di pericolo nel paese di origine (e, in particolare nella provincia di Edo, dalla quale il richiedente afferma di provenire), spingendo il suo sindacato ben oltre la generica prospettazione dell’interessato, sulla base di documentazione proveniente da organizzazioni internazionali e associazioni umanitarie, presa in considerazione d’ufficio, giungendo ad accertare che egli non presenta profili di vulnerabilità nel suo paese di origine.

2. Nulla è dovuto per le spese dal ricorrente soccombente, non essendosi costituita la controparte.

Va dato atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte del ricorrente, ai sensi del D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13, comma 1-quater, nel testo introdotto dalla L. 24 dicembre 2012, n. 228, art. 1, comma 17, di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato, in misura pari a quello, ove dovuto, per il ricorso, a norma dello stesso art. 13, comma 1-bis.

P.Q.M.

La Corte dichiara l’inammissibilità del ricorso.

Ai sensi del D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13, comma 1-quater, nel testo introdotto dalla L. 24 dicembre 2012, n. 228, art. 1, comma 17, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato, pari a quello, ove dovuto, per il ricorso, a norma dello stesso art. 13, comma 1-bis.

Così deciso in Roma, il 11 novembre 2019.

Depositato in Cancelleria il 25 marzo 2020

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