Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 7512 del 08/03/2022

Cassazione civile sez. I, 08/03/2022, (ud. 02/03/2022, dep. 08/03/2022), n.7512

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE PRIMA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. BISOGNI Giacinto – Presidente –

Dott. MERCOLINO Guido – Consigliere –

Dott. SCALIA Laura – rel. Consigliere –

Dott. PAZZI Alberto – Consigliere –

Dott. AMATORE Roberto – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 15086-2020 proposto da:

O.B., domiciliato in Roma, Piazza Cavour presso la

cancelleria della Corte di Cassazione e rappresentato e difeso

dall’Avvocato Anna Lombardi Baiardini, per procura speciale in calce

al ricorso;

– ricorrente –

contro

Ministero dell’interno, in persona del Ministro, domiciliato per

legge presso gli uffici dell’Avvocatura Generale dello Stato in

Roma, Via dei Portoghesi, 12;

– costituito –

avverso la sentenza n. 164/2020 della Corte d’Appello di Perugia,

depositata il 04/03/2020;

udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del

02/03/2022 dal Cons. Laura Scalia.

 

Fatto

FATTI DI CAUSA

1. O.B., cittadino dell'(OMISSIS) in (OMISSIS), (OMISSIS) con moglie e due figli, che svolgeva attività di cantante, ricorre con tre motivi per la cassazione della sentenza in epigrafe indicata, con cui la Corte di appello di Perugia ha respinto l’impugnazione avverso l’ordinanza del locale tribunale che ne aveva, a sua volta, rigettato l’opposizione al provvedimento emesso dalla competente commissione territoriale di diniego delle protezioni maggiori e del riconoscimento del diritto a quella umanitaria, nella ritenuta non credibilità delle dichiarazioni del richiedente e nella insussistenza dei presupposti delle invocate protezioni.

Il ricorrente, nel racconto reso in fase amministrativa, aveva dichiarato di aver abbandonato il proprio Paese perché minacciato di morte dai membri del “(OMISSIS)”, in seguito al rifiuto che egli aveva frapposto all’invito di partecipare alle loro riunioni, successivamente al decesso del proprio padre, aderente alla setta.

2. Il Ministero si è costituito tardivamente al dichiarato fine di partecipare all’eventuale discussione della causa ex art. 370 c.p.c., comma 1.

Diritto

RAGIONI DELLA DECISIONE

1. Con il primo motivo il ricorrente denuncia vizio di omesso esame e motivazione inesistente nell’apparenza delle argomentazioni contenute nell’impugnata sentenza, in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 4, e violazione del D.Lgs. 19 novembre 2007, n. 251, artt. 2, 3 e 5, D.Lgs. 25 gennaio 2008, n. 25, artt. 3,8 e 32 e del D.Lgs. 25 luglio 1998, n. 286, art. 5, comma 6, in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, per non avere valutato la credibilità sui parametri di cui al D.Lgs. 19 novembre 2007, n. 251, art. 3, comma 5.

Il tribunale (rectius la corte d’appello) aveva ritenuto non credibile il racconto; il ricorrente non era stato in grado di descrivere nascita, finalità e struttura della confraternita a cui aveva rifiutato di aderire, e di cui pure aveva dichiarato di far parte fin da bambino.

Era poco credibile che la polizia del luogo, a cui pure il ricorrente si era rivolto, si fosse limitata a far firmare il modulo di rinuncia all’affiliazione alla setta, senza prendere iniziative contro gli appartenenti che avevano minacciato il dichiarante.

Il giudicante aveva obliterato la documentazione prodotta (denuncia sporta presso la polizia per far valere la propria uscita dal “culto” che lo stava opprimendo e di cui dichiarava la frequentazione dall’età di 17 anni; documentazione medica che attestava che egli era stato ricoverato d’urgenza in ospedale l'(OMISSIS) a seguito di un attacco da parte dei “cultisti”; “immagini” attestanti la “perfetta corrispondenza” tra le ferite descritte nella certificazione medica e la loro collocazione sul corpo del richiedente protezione).

Il giudice aveva mancato di tenere conto della situazione individuale del ricorrente e di acquisire informazioni sul contesto socio-politico del Paese di appartenenza.

Il motivo è inammissibile.

In materia di protezione internazionale, la valutazione di affidabilità del richiedente è il risultato di una procedimentalizzazione legale della decisione che deve essere svolta alla luce dei criteri specifici, indicati dal D.Lgs. 19 novembre 2007, n. 251, art. 3, comma 5, oltre che di quelli generali di ordine presuntivo, idonei ad illuminare circa la veridicità delle dichiarazioni rese; sicché, il giudice è tenuto a sottoporre le dichiarazioni del richiedente, ove non suffragate da prove, non soltanto ad un controllo di coerenza interna ed esterna, ma anche ad una verifica di credibilità razionale della concreta vicenda narrata a fondamento della domanda, i cui esiti in termini di inattendibilità costituiscono apprezzamento di fatto insindacabile in sede di legittimità, se non nei limiti dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5 (Cass. 19/06/2020, n. 11925; Cass. 02/07/2020, n. 13578).

La corte d’appello ha svolto il giudizio di non attendibilità in applicazione dei criteri di legge che, meramente indicativi nei loro esiti, sono quindi censurabili, nella fattispecie in scrutinio, in punto di decisività, nei termini di cui all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5.

Ciò posto, il ricorrente non ha allegato in modo puntuale il “fatto storico” non valutato, il “dato” testuale o extratestuale dal quale esso risulti esistente, il “come” e il “quando” tale fatto sia stato oggetto di discussione processuale e la sua “decisività” per la definizione della vertenza.

Nessuna deduzione è in ricorso sul come e quando i fatti decisivi, integrati dalle ferite riportate all’esito dell’episodio violento posto in essere ai danni del ricorrente dagli appartenenti alla setta, siano stati dedotti nel giudizio di primo grado e quindi, una volta mancati nella valutazione ad opera del primo giudice, fatti valere in appello nell’osservanza dell’onere della specificità ex art. 342 c.p.c. nel combinarsi dei loro contenuti con quelli dell’atto di appello, restando altrimenti precluso l’esercizio del controllo demandato alla S.C. anche in ordine alla mancata attivazione dei detti poteri istruttori officiosi (cfr. Cass. 17/05/2019, n. 13403).

E’ infondato poi il profilo del motivo con cui il ricorrente deduce la nullità dell’impugnata sentenza per carenza di motivazione e tanto nel certo percorso argomentativo osservato dalla corte di merito nel raffronto tra domanda proposta, materiale probatorio e sentenza di primo grado.

2. Con il secondo motivo il ricorrente deduce omesso esame e motivazione inesistente e violazione di legge sostanziale, in relazione al D.Lgs. n. 251 del 2007, artt. 2, 3, 4, 5, 6 e 14, in particolare alle lettere a), b) e c), e del D.Lgs. 25 gennaio 2008, n. 25, artt. 8 e 25 e degli artt. 2, 3, 4, 5 e 9 Cedu.

Sulla protezione sussidiaria il giudicante avrebbe valutato le condizioni del paese di origine del richiedente protezione non citando alcuna fonte aggiornata al momento della pronuncia, così mancando all’onere di cooperazione istruttoria.

Il fenomeno dedotto dal richiedente era di comprovata pericolosità come attestato nelle fonti del 2015, riportate in ricorso, relative alla “impennata” della violenza delle “sette” e della insicurezza nel “(OMISSIS)”; il livello di corruzione, inefficienza e collusione con i “Cult” da parte della polizia avrebbe escluso la capacità dello Stato di dare protezione ai propri cittadini.

Il motivo resta assorbito dal rigetto del precedente per le ipotesi di protezione fondate sulle condotte di pericolo di cui al D.Lgs. 19 novembre 2007, n. 251, art. 14, lett. a) e b).

In ogni caso la dedotta mancanza di attualità delle fonti utilizzate non dà conto di altre, pertinenti ed efficaci (se non riferite a Paesi diversi da quelli di provenienza, l'(OMISSIS), del richiedente: così per il (OMISSIS), altrimenti indicato), cosicché, mancando di decisività e concludenza, il relativo profilo risulta inammissibile.

3. Con il terzo motivo il ricorrente fa valere omesso esame e motivazione inesistente per apparenza argomentativa, omesso esame di un fatto decisivo e violazione e falsa applicazione di legge (D.Lgs. 19 novembre 2007, n. 251, artt. 2, 3 e 5, D.Lgs. 25 gennaio 2008, n. 25, art. 32 e D.Lgs. 25 luglio 1998, n. 286, art. 5, comma 6 e D.P.R. n. 394 del 1999, art. 19, comma 1.1., art. 28).

La corte di merito aveva mancato di valutare gli estremi della protezione umanitaria e quindi l’esistenza in capo al richiedente protezione di una condizione di deprivazione del nucleo essenziale dei diritti positivi della dignità individuale e l’integrazione sociale e lavorativa raggiunta in Italia in comparazione con quella goduta, al suo rientro, nel paese di origine, per una indagine da compiersi in forza dell’art. 2 Cost. e dell’art. 8Cedu.

Dalla documentazione allegata era risultato che il ricorrente era stato ricoverato d’urgenza in Italia a causa di un picco glicemico conseguente alla diagnosi di diabete di “tipo B” da cui egli risultava affetto.

La corte di merito avrebbe dovuto accedere a fonti aggiornate per certificare la situazione del paese di origine e riconoscere la protezione per motivi umanitari.

Il motivo è inammissibile perché non deduce puntualmente sulle fonti più aggiornate dirette a dare definizione alla situazione del paese di origine e nel resto, quanto al pure denunciato difetto del giudizio di comparazione tra situazione goduta dal richiedente in Italia e quella avuta nel paese di origine, il mezzo proposto non dà conto delle situazioni di integrazione socio-lavorativa in Italia che fatte valere nel giudizio di merito erano poi state obliterate (SSUU 09/09/2021, n. 24413).

La condizione di salute pure dedotta a sostegno della richiesta protezione per motivi umanitari manca di ogni allegazione in punto di tempestiva sua deduzione nelle precedenti fasi del giudizio.

4. Il ricorso è in via conclusiva infondato e come tale va rigettato. Nulla sulle spese nella tardività ed irritualità della costituzione dell’amministrazione rimasta in tal modo solo intimata.

P.Q.M.

La Corte rigetta il ricorso.

Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, inserito dalla L. n. 228 del 2012, art. 1, comma 17 dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte del ricorrente dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello, ove dovuto, per il ricorso a norma dello stesso art. 13, comma 1 bis.

Così deciso in Roma, nella camera di consiglio della sezione Prima civile, il 2 marzo 2022.

Depositato in Cancelleria il 8 marzo 2022

 

 

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