Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 7510 del 27/03/2010

Cassazione civile sez. trib., 27/03/2010, (ud. 10/02/2010, dep. 27/03/2010), n.7510

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TRIBUTARIA

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. LUPI Fernando – Presidente –

Dott. CAPPABIANCA Aurelio – rel. Consigliere –

Dott. IACOBELLIS Marcello – Consigliere –

Dott. DI BLASI Antonino – Consigliere –

Dott. GRECO Antonio – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ordinanza

sul ricorso proposto da:

CREDIT SECURITIZATION L.L.C. in persona del legale rappresentante pro

tempore, elettivamente domiciliata in Roma, via Tembien n. 15, presso

lo studio dell’avv. FUSCO Flavio Maria, che la rappresenta e difende;

– ricorrente –

contro

AGENZIA DELLE ENTRATE, in persona del direttore pro tempore

elettivamente domiciliata in Roma, via dei Portoghesi n. 12, presso

l’Avvocatura Generale dello Stato, che la rappresenta e difende;

– controricorrente —

per la cassazione della sentenza della Commissione tributaria

regionale del Lazio, sez. 9^, n. 121, depositata il 12.10.2007;

Letta la relazione scritta redatta dal relatore dott. Cappabianca

Aurelio;

udito, per la societa’ contribuente, l’avv. MUSTO Flavio;

constatata la regolarita’ delle comunicazioni di cui all’art. 380 bis

c.p.c., comma 3.

 

Fatto

FATTO E DIRITTO

Premesso:

che la societa’ contribuente, illustrando le proprie ragioni anche con ricorso, propone ricorso per Cassazione avverso la sentenza di appello indicata in epigrafe, deducendo “violazione e falsa applicazione dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, in relazione al D.M. 30 settembre 1997, n. 384” e formulando il seguente quesito ai sensi dell’art. 366 bis c.p.c.: “… se, in sede di cessione di crediti di imposta il cedente e’ legittimato ad operare la cessione in misura inferiore a quella risultante dal modello fiscale depositato, con pedissequa violazione del D.M. 30 settembre 1997, n. 384”. – che l’Agenzia ha resistito con controricorso;

osservato:

che il motivo di ricorso e’ inammissibile, giacche’ non ottempera alle prescrizioni imposte, a pena d’inammissibilita’, dall’art. 366 bis c.p.c.;

– che deve, invero, osservarsi che le SS.UU. di questa Corte sono, infatti, chiaramente orientate a ritenere che – dovendo assolvere la funzione di integrare il punto di congiunzione tra la risoluzione del caso specifico e l’enunciazione del principio giuridico generale – il quesito relativo ad una censura in diritto non puo’ consistere in mera richiesta di accoglimento del motivo ovvero, come nella specie, nell’interpello della Corte in ordine alla fondatezza della censura illustrata nello svolgimento del motivo o sull’interpretazione giuridica proposta, ma deve costituire la chiave di lettura delle ragioni esposte e porre la medesima Corte in condizione di rispondere ad esso con l’enunciazione di una regula iuris che sia, in quanto tale, suscettibile di ricevere applicazione in casi ulteriori rispetto a quello sottoposto all’esame del giudice che ha pronunciato la sentenza impugnata; con la conseguenza che la Corte deve poter comprendere dalla lettura del solo quesito, inteso come sintesi logico – giuridica della questione, l’errore di diritto asseritamente compiuto dal giudice e quale sia, secondo la prospettazione del ricorrente, la regola da applicare (v. Cass. s.u. 3519/08);

– che, in tale ottica, si e’ puntualizzato che il quesito di diritto, prescritto dall’art. 366 bis c.p.c. a corredo del ricorso per Cassazione, non puo’ mai risolversi nella generica richiesta rivolta alla Corte di stabilire se sia stata, o non, violata una certa norma, nemmeno nel caso in cui il ricorrente intenda dolersi dell’omessa applicazione di tale norma da parte del giudice di merito, e deve investire la ratio decidendi della sentenza impugnata, proponendo una diversa soluzione della specifica controversia (v. Cass. 4044/09);

ritenuto:

– che, alla luce di tale assorbente rilievo, il ricorso si rivela inammissibile sicche’ va adottata la correlativa declaratoria nelle forme di cui agli artt. 375 e 380 bis c.p.c.;

– che, per la soccombenza la societa’ contribuente va condannata al pagamento delle spese di causa, liquidate in complessi Euro 5.700,00 (di cui Euro 5.500,00 per onorario) oltre spese generali ed accessori di legge.

P.Q.M.

LA CORTE Dichiara inammissibile il ricorso; condanna la societa’ contribuente al pagamento delle spese di causa, liquidate in complessi Euro 5.700,00 (di cui Euro 5.500,00 per onorario) oltre spese generali ed accessori di legge.

Cosi’ deciso in Roma, nella Camera di consiglio, il 10 febbraio 2010.

Depositato in Cancelleria il 27 marzo 2010

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