Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 7510 del 25/03/2020

Cassazione civile sez. I, 25/03/2020, (ud. 11/11/2019, dep. 25/03/2020), n.7510

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE PRIMA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. GIANCOLA Maria Cristina – Presidente –

Dott. PERRINO Angelina Maria – Consigliere –

Dott. SCALIA Laura – Consigliere –

Dott. CATALLOZZI Paolo – Consigliere –

Dott. ANDRONIO Alessandro Maria – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso proposto da:

A.O.S., nato in (OMISSIS), rappresentato e difeso

dall’avv. Andrea Maestri, ed elettivamente domiciliato presso il suo

studio in Ravenna, via Meucci 7;

– ricorrente –

contro

Ministero dell’Interno, ((OMISSIS));

– controricorrente –

avverso il decreto del TRIBUNALE di BOLOGNA depositato il 10/10/2018;

udita la relazione della causa svolta nella Camera di consiglio non

partecipata del 11/11/2019 dal Consigliere Dott. Alessandro M.

Andronio.

Fatto

FATTI DI CAUSA

1. Con Decreto n. 3594/2018 del 10 ottobre 2018, il Tribunale di Bologna ha rigettato il ricorso proposto dall’interessato avverso il provvedimento di diniego della Commissione territoriale per il riconoscimento della protezione internazionale di Bologna, sezione distaccata di Forlì-Cesena.

2. Avverso il provvedimento l’interessato ha proposto ricorso in relazione al mancato riconoscimento della protezione sussidiaria e della protezione umanitaria, deducendo: 1) la violazione del D.Lgs. n. 25 del 2008, art. 32, comma 3 e del D.Lgs. n. 286 del 1998, art. 5, comma 6, per mancata valutazione della situazione del suo paese di origine, anche a livello regionale; 2) la violazione del D.Lgs. n. 286 del 1998, art. 5, comma 6 e dell’art. 33 della Convenzione di Ginevra sui rifugiati, perchè non si sarebbe considerato il fatto che l’interessato era transitato in Libia, paese in cui sussistono condizioni di grave violazione dei diritti umani; 3) la mancata valutazione dei presupposti per il riconoscimento della protezione umanitaria, perchè il Tribunale si sarebbe limitato a ritenere non credibile la versione dei fatti fornita dall’interessato, senza adeguatamente motivare circa la sussistenza di esigenze umanitarie.

3. L’amministrazione intimata si è costituita, depositando memoria con cui chiede che il ricorso sia dichiarato inammissibile.

Diritto

RAGIONI DELLA DECISIONE

1. Il ricorso è inammissibile.

Le doglianze del ricorrente consistono nella mera riproposizione di rilievi già sottoposti al Tribunale in relazione a una situazione di persecuzione e minaccia alla quale il richiedente sarebbe sottoposto nel suo paese di origine. Sul punto, il decreto impugnato reca una motivazione pienamente logica e coerente – e, dunque, insindacabile in sede di legittimità – laddove evidenzia l’assoluta inverosimiglianza della versione dei fatti fornita dall’interessato, del tutto priva di credibilità intrinseca. Si rileva, in particolare, che il ricorrente ha ammesso che la polizia non lo riteneva responsabile delle morti delle quali era accusato dalla setta religiosa, ma ciò nonostante egli aveva dichiarato di essere ricercato anche dalla polizia; inoltre aveva prodotto una fotocopia palesemente contraffatta allo scopo di dimostrare l’esistenza di dissidi fra diverse sette religiose e si era più volte e contraddetto quanto all’identità dei soggetti coinvolti nella vicenda da lui riportata e ai ruoli da questi ricoperti.

Tali considerazioni rendono inammissibili il primo e il secondo motivo di doglianza. A fronte dei generici rilievi del richiedente, il Tribunale ha correttamente evidenziato che non sussistono i presupposti per la protezione sussidiaria, perchè i fatti specificati, quanto al paese di origine e quanto, più in generale, alla situazione personale, non configurano una persecuzione o danno grave, nè un pericolo di persecuzione o di danno ai sensi del D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 14.

Quanto alla protezione umanitaria, oggetto del terzo motivo di doglianza, va osservato che, secondo la giurisprudenza di questa Corte, il riconoscimento del diritto al permesso di soggiorno per motivi umanitari di cui al D.Lgs. n. 286 del 1998, art. 5, comma 6, al cittadino straniero che abbia realizzato un grado adeguato di integrazione sociale in Italia, deve fondarsi su una effettiva valutazione comparativa della situazione soggettiva ed oggettiva del richiedente con riferimento al Paese d’origine, al fine di verificare se il rimpatrio possa determinare la privazione della titolarità e dell’esercizio dei diritti umani, al di sotto del nucleo ineliminabile costitutivo dello statuto della dignità personale, in correlazione con la situazione di integrazione raggiunta nel paese d’accoglienza (ex multis, Sez. 1, n. 4455 del 23/02/2018, Rv. 647298-01). E deve ricordarsi, inoltre, che l’orizzontalità dei diritti umani fondamentali comporta che, ai fini del riconoscimento della protezione, occorre operare la valutazione comparativa della situazione soggettiva e oggettiva del richiedente con riferimento al Paese di origine, in raffronto alla situazione d’integrazione raggiunta nel paese di accoglienza, senza che abbia rilievo l’esame del livello di integrazione raggiunto in Italia, isolatamente ed astrattamente considerato (Sez. U., n. 29459 del 13/11/2019, Rv. 656062-02). Tale valutazione comparativa è stata compiutamente effettuata dal Tribunale, che – come visto – ha ritenuto non credibile la versione fornita dall’interessato; cosicchè non può essere ritenuto sussistente alcun pericolo di trattamenti inumani. Il Tribunale ha anche verificato l’insussistenza di una situazione generalizzata di pericolo nel paese di origine, spingendo il suo sindacato ben oltre la generica prospettazione dell’interessato, sulla base di documentazione proveniente da organizzazioni internazionali e associazioni umanitarie, presa in considerazione d’ufficio, giungendo ad accertare che egli non presenta profili di vulnerabilità nel suo paese di origine. Nè l’interessato ha compiutamente dedotto di avere subito violenze nel paese di transito (Libia), che fossero potenzialmente idonee, quali eventi in grado di generare un forte grado di traumaticità, ad incidere sulla sua vulnerabilità, essendosi limitato a generiche considerazioni circa la difficile situazione politica di tale paese. Dunque non può farsi applicazione, nel caso di specie, del principio enunciato dalla giurisprudenza di questa Corte, secondo cui, ai fini del rilascio del permesso di soggiorno per motivi umanitari (nella disciplina previgente al D.L. n. 113 del 2018, convertito, con modificazioni, dalla L. n. 132 del 2018) deve valutarsi la specifica situazione di vulnerabilità del richiedente, anche considerando le violenze subite nel Paese di transito e di temporanea permanenza del richiedente asilo, potenzialmente idonee, quali eventi in grado di ingenerare un forte grado di traumaticità, ad incidere sulla condizione di vulnerabilità della persona (ex multis, Sez. 1, Ord. n. 13096 del 15/05/2019, Rv. 653885).

2. Il ricorrente soccombente deve essere condannato alla rifusione delle spese sostenute dall’amministrazione resistente, da liquidarsi in Euro 2.100,00, oltre spese prenotate a debito.

Va dato atto della insussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte del ricorrente, ai sensi del D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13, comma 1-quater, nel testo introdotto dalla L. 24 dicembre 2012, n. 228, art. 1, comma 17, di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato, in misura pari a quello dovuto, per il ricorso, a norma dello stesso art. 13, comma 1-bis, vista l’ammissione al patrocinio a spese dello Stato, sempre che la stessa non risulti revocata dal giudice competente.

P.Q.M.

La Corte dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al rimborso delle spese di controparte, che liquida in Euro 2.100,00, oltre spese prenotate a debito.

Ai sensi del D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13, comma 1-quater, nel testo introdotto dalla L. 24 dicembre 2012, n. 228, art. 1, comma 17, dà atto dell’insussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato, pari a quello per il ricorso, a norma dello stesso art. 13, comma 1-bis, vista l’ammissione al patrocinio a spese dello Stato, sempre che la stessa non risulti revocata dal giudice competente.

Così deciso in Roma, il 11 novembre 2019.

Depositato in Cancelleria il 25 marzo 2020

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