Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 7509 del 31/03/2014


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Civile Sent. Sez. 2 Num. 7509 Anno 2014
Presidente: ODDO MASSIMO
Relatore: MATERA LINA

SENTENZA

sul ricorso 9073-2008 proposto da:
SAFFIOTTI

GIUSEPPE

SFFGPP53H24G288G,

SQUILLACE

VINCENZO SQLVCN54M02D976B, GIANDORIGGIO DOMENICO
GNDDNC55D09H224Z, elettivamente domiciliati in ROMA,
VIA UGO DE CAROLIS 31, presso lo studio dell’avvocato
TATARANNI ANGELA, rappresentati e difesi dall’avvocato
2014

BATTAGLIA DEMETRIO;
– ricorrenti –

255

contro

COMUNE DELIANUOVA in persona del Sindaco pro tempore,
elettivamente domiciliato in ROMA, VIA TOSCANA l,

Data pubblicazione: 31/03/2014

presso lo studio dell’avvocato TASSONE BRUNO ST
CERULLI IRELLI, rappresentato e difeso dall’avvocato
ROMANO ANTONIO;
– controricorrente nonchè contro

– intimato –

avverso la sentenza n. 27/2007 della CORTE D’APPELLO
di REGGIO CALABRIA, depositata il 08/02/2007;
udita la relazione della causa svolta nella pubblica
udienza del 22/01/2014 dal Consigliere Dott. LINA
MATERA;
udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore
Generale Dott. LUCIO CAPASSO che ha concluso per
l’accoglimento del 2 °

e

3 ° motivo del ricorso

principale, rigetto dei restanti motivi.
Inammissibilità del ricorso incidentale.

NASSO FULVIO;

SVOLGIMENTO DEL PROCESSO
Il Comune di Delianuova proponeva opposizione avverso il
decreto ingiuntivo emesso in data 1-2-1992 dal Presidente del
Tribunale di Reggio Calabria, con il quale gli era stato intimato il

pagamento, in favore degli ingegneri Domenico Giandoriggio e
Giuseppe Saffioti e degli architetti Vincenzo Squillace e Fulvio
Nasso, della somma di lire 448.522.028 oltre interessi, a titolo di
compenso professionale per la redazione di un progetto per il
consolidamento del centro storico del predetto Comune, effettuata
dagli indicati professionisti su incarico di tale Ente.
L’opponente

eccepiva

preliminarmente

il

difetto

di

giurisdizione e l’incompetenza per territorio del giudice adito. Nel
merito, esso deduceva di nulla dovere ai ricorrenti, per una triplice
ragione: a) perché il contratto di incarico professionale doveva
essere dichiarato nullo per mancanza della relativa copertura
finanziaria; b) perché l’incarico non era stato eseguito
completamente, in quanto il progetto redatto dai professionisti era
carente e per questo non era stato approvato dal Comitato Regionale
Tecnico Amministrativo; c) perché il pagamento delle competenze
era stato subordinato al finanziamento dell’opera e tale condizione
non si era ancora avverata.
Con sentenza in data 24-6-2003 il Tribunale rigettava
l’ opposizione.

j

Avverso la predetta decisione proponevano appello principale
il Comune di Delianuova e appello incidentale gli opposti.
Con sentenza depositata in data 8-2-2007 la Corte di Appello
di Reggio Calabria, in accoglimento per quanto di ragione

revocava il decreto ingiuntivo opposto, dichiarando assorbito

il

ricorso incidentale. La Corte territoriale, disattese le eccezioni di
difetto di giurisdizione e di incompetenza territoriale sollevate dal
Comune di Delianuova, e ritenuta la piena validità ed efficacia della
clausola contrattuale che subordinava il pagamento delle competenze
professionali al finanziamento dell’opera progettata, rilevava che i
professionisti non avevano diritto al corrispettivo preteso, non
essendosi verificato l’evento futuro e incerto (il finanziamento
regionale) al quale tale diritto era stato sospensivamente
condizionato.
Per la cassazione di tale sentenza hanno proposto ricorso
Domenico Giandoriggio, Giuseppe Saffioti e Vincenzo Squillace,
sulla base di sette motivi.
Il Comune di Delianuova ha resistito con controricorso,
proponendo altresì ricorso incidentale, affidato a due motivi.
L’altro intimato Fulvio Nasso non ha svolto attività difensive.

2

dell’appello principale e in riforma della sentenza di primo grado,

MOTIVI DELLA DECISIONE
1) In considerazione del loro carattere pregiudiziale, vanno
esaminati in primo luogo i due motivi del ricorso incidentale.
Con il primo motivo il Comune di Delianuova eccepisce il

vertenza in oggetto si configura come una “controversia
contrattuale”, devoluta dall’art. 11 del contratto stipulato dalle parti
alla cognizione del Collegio arbitrale.
Con il secondo motivo il ricorrente incidentale ripropone
l’eccezione di incompetenza territoriale, deducendo che,
contrariamente a quanto affermato nella sentenza impugnata, la
formulazione di tale eccezione in primo grado era completa e
specifica.
Entrambi i motivi sono inammissibili, non concludendosi con
la formulazione di un quesito di diritto, così come prescritto dall’art.
366 bis c.p.c., applicabile ratione temporis alla controversia in
esame.
2) Con il primo motivo i ricorrenti principali lamentano
l’insufficiente, omessa e contraddittoria motivazione su un punto
decisivo della controversia, concernente l’avvenuto conseguimento,
da parte del Comune di Delianuova, del finanziamento delle opere
inerenti al progetto per il quale i professionisti reclamano il

difetto di giurisdizione del giudice ordinario, sostenendo che la

pagamento del compenso. Deducono che tale circostanza emerge
dall’allegato alla nota del predetto Ente n. 2543 del 26-6-1992.
Il motivo è inammissibile per difetto di specificità ed
autosufficienza, non trascrivendo, per la parte che qui interessa,

del giudice del gravame, sì da porre questa Corte nelle condizioni di
valutare l’eventuale decisività di tale atto, e non precisando
nemmeno in quale occasione il documento in questione sia stato
prodotto nel giudizio di merito.
3) Per ragioni di ordine logico-giuridico, rispetto al secondo e
al terzo motivo del ricorso principale, meritano trattazione
prioritaria il sesto, il quarto, il quinto e il settimo
Con il sesto motivo i ricorrenti denunciano l’omessa,
insufficiente e contraddittoria motivazione, nonché la violazione
dell’art. 1363 c.c., in relazione all’effettiva volontà manifestata dalle
parti con la clausola 12, che, secondo la Corte di Appello,
subordinerebbe il pagamento dei compensi maturati dai professionisti
al conseguimento del finanziamento. I ricorrenti sostengono che tale
interpretazione è erronea, in quanto la clausola in esame si limita a
dare atto che le spese in questione graveranno sul finanziamento
dell’opera; il che è cosa ben diversa dal voler subordinare il
pagamento dei compensi all’avverarsi di una condizione. Deducono
che il giudice del gravame ha motivato in modo insufficiente e

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l’esatto tenore dell’allegato di cui si assume l’omesso esame da parte

contraddittorio, non ha tenuto conto della formulazione letterale
della clausola controversa e non ha raffrontato tra loro frasi e parole,
al fine di chiarirne l’esatta portata e significato.
L’illustrazione del motivo si conclude con la formulazione del

interpretazione del contratto e\o di una singola clausola, ed ai fini
della ricerca della comune intenzione dei contraenti, il primo e
principale strumento è rappresentato dal senso letterale delle parole
e delle espressioni utilizzate e il rilievo da assegnare alla
formulazione letterale va poi verificato alla luce dell’intero contesto
contrattuale e le singole clausole vanno considerate in correlazione
tra loro, dovendosi procedere al rispettivo coordinamento a norma
dell’art. 1363 c.c. e che, alla luce di questo principio, la clausola
controversa va interpretata nel senso di escludere l’apposizione di
una condizione al conseguimento, da parte dei professionisti, degli
onorari e compensi maturati”.
Il motivo è infondato.
Giova rammentare che, in tema di interpretazione del
contratto, l’accertamento della volontà degli stipulanti, in relazione
al contenuto del negozio, si traduce in un’indagine di fatto affidata in
via esclusiva al giudice di merito. Ne consegue che tale accertamento
è censurabile in sede di legittimità soltanto nel caso in cui la
motivazione risulti talmente inadeguata da non consentire di

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seguente quesito di diritto: “Dica la Corte che in tema di

ricostruire l’ “iter” logico seguito dal giudice per attribuire all’atto
negoziale un determinato contenuto, oppure nel caso di violazione
delle norme ermeneutiche (tra le tante v. Cass. 13-12-2006 n. 26683;
Cass. 23-8-2006 n. 18375; Cass. 27-1-2006 n. 1754). Per sottrarsi al

contratto non deve essere l’unica interpretazione possibile, o la
migliore in astratto, ma una delle possibili e plausibili
interpretazioni, sì che quando di una clausola contrattuale siano
possibili due o più interpretazioni, non è consentito, alla parte che
aveva proposto la interpretazione poi disattesa dal giudice del
merito, dolersi in sede di legittimità che sia stata privilegiata l’altra
(Cass. 20-11-2009 n. 24539; Cass. 12-7-2007 n. 15604; Cass. 22-22007 n. 4178; Cass. 14-11- 2003 n. 17248).
Nella specie, la Corte di Appello, nel ritenere che la clausola
n. 12 del contratto stipulato dalle parti (“rimane esplicitamente
concordato che tutte le spese derivanti da competenze professionali
e competenze accessorie graveranno esclusivamente sul
finanziamento dell’opera che verrà richiesto ai sensi della L. n.
64\1986 e\o altra legislazione vigente in materia, senza alcun
aggravio per il bilancio comunale) condizionava sospensivamente il
pagamento delle competenze professionali al conseguimento del
finanziamento, ha offerto una interpretazione della volontà negoziale
plausibile e conforme al senso letterale delle parole usate. E’

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sindacato di legittimità, inoltre, quella data del giudice del merito al

evidente, infatti, che lo stabilire che le competenze professionali
sarebbero gravate esclusivamente sul finanziamento (non ancora
richiesto e conseguito dall’Ente), con esclusione di ogni aggravio per
il bilancio comunale, equivaleva, nella sostanza, a subordinare il

finanziamento) futuro e incerto, come tale integrante una condizione
sospensiva.
Non sussistono, pertanto, le violazioni di legge e i vizi di
motivazione dedotti dai ricorrenti, dovendosi piuttosto rilevare che
questi ultimi, nel sostenere che la clausola controversa va
interpretata nel senso di escludere l’apposizione di una condizione al
conseguimento dei compensi da parte dei professionisti, censurano
sostanzialmente il risultato dell’operazione ermeneutica compiuta dal
giudice di merito, sollecitando un’indagine che esorbita dai rigorosi
limiti entro cui deve essere condotta, nel giudizio di legittimità, la
verifica della correttezza dell’interpretazione data all’atto negoziale
dal giudice di merito.
4) Con il quarto motivo i ricorrenti lamentano la violazione
dell’art. 1355 c.c. Sostengono che la condizione apposta nella
clausola n. 12 del contratto dipendeva dalla mera volontà dell’ente
committente, il quale poteva o meno adoperarsi per chiedere il
finanziamento. Tale condizione, pertanto, essendo meramente
potestativa, deve considerarsi nulla, ai sensi dell’art. 1355 c.c..

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diritto dei professionisti al relativo pagamento ad un evento (il

Il quesito di diritto posto è il seguente: “Dica la Corte che una
condizione pattuita nell’ambito di un disciplinare di incarico
stipulato tra professionista ed Ente pubblico, che subordina il

pagamento del compenso professionale all’ottenimento del
finanziamento, è da qualificarsi condizione meramente potestativa a
mente dell’art. 1355 c.c. e, per questo, è nulla”.
Il motivo è privo di fondamento.
E invero, come è stato più volte affermato dalla giurisprudenza
di legittimità, la clausola contrattuale con la quale il sorgere del
diritto al compenso da parte del professionista incaricato del
progetto di un’opera viene condizionato all’ottenimento del
finanziamento per l’opera progettata, non è configurabile come
condizione meramente potestativa, come tale nulla, atteso che, se è
vero che il verificarsi di essa dipende dalla volontà e dall’attività di
una sola delle parti, è anche vero che tale accadimento non è
indifferente per la parte in questione, alla stregua di un mero “si
voluero”, non potendosi dubitare della piena funzionalità della
pattuizione ad uno specifico interesse dedotto come tale nel contratto
e perciò oggetto del medesimo (Cass. 23-9-2009 n. 20444; Cass. 217-2000 n. 9587). Né va trascurata la considerazione che, benché ai
fini del finanziamento siano indispensabili atti d’iniziativa ad opera
dell’ente pubblico richiedente, la sua concessione è un fatto che

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prescinde dalla volontà dell’ente, dipendendo anche da una serie di
elementi esterni. La condizione de qua, dunque, va qualificata come
condizione potestativa mista, la cui realizzazione è rimessa in parte
alla volontà di uno dei contraenti ed in parte ad un apporto causale

Correttamente, pertanto, il giudice di appello ha ravvisato
nella clausola contrattuale che subordinava il pagamento del
compenso professionale all’erogazione del finanziamento una
condizione potestativa mista e non una condizione meramente
potestativa.
5) Con il quinto motivo i ricorrenti denunciano l’omessa,
insufficiente e contraddittoria motivazione e l’erronea applicazione
dell’art. 1341 c.c. Sostengono che, contrariamente a quanto ritenuto
dal giudice di appello, la clausola in esame deve considerarsi
vessatoria, in quanto, prevedendo la possibile rinuncia al compenso
professionale, riguarda limitazioni di responsabilità da parte del
Comune e determina, a carico dei professionisti, un significativo
squilibrio di diritti ed obblighi, ai sensi dell’art. 1469 bis c.c.
Il quesito di diritto viene così formulato: “Dica la Corte che
una condizione inserita nell’ambito di un contratto tra professionista
ed Ente pubblico e che solo quest’ultimo ha unilateralmente
predisposto, viola l’art. 1341 c.c. ove non espressamente sottoscritta,
qualificandosi quale clausola vessatoria”.

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esterno (Cass S.U. 19-9-2005 n. 18450).

Il motivo non è meritevole di accoglimento.
Secondo un condivisibile orientamento della giurisprudenza, la
clausola contrattuale che sottoponga il sorgere del diritto al

un’opera all’intervenuto finanziamento dell’opera progettata non
limita la responsabilità del committente il progetto, giacché non
influisce sulle conseguenze del suo eventuale inadempimento, ma
piuttosto delimita il contenuto del mandato conferito, facendo
derivare i diritti del mandatario dal progetto finanziato e non dal
progetto solo redatto. Ne consegue che una clausola siffatta, non
incidendo sulle conseguenze dell’inadempimento del predisponente,
non può ritenersi vessatoria e non è, pertanto, abbisognevole di
specifica approvazione per iscritto (Cass. 3-7-2013 n. 16620; Cass.
22-9-2004 n. 19000; Cass. 21-7-2000 n. 9587).
A tale principio si è conformata la sentenza impugnata,
nell’escludere il carattere vessatorio della clausola contrattuale in
esame e nel ritenere, conseguentemente, la validità ed efficacia di
tale clausola, anche se non specificamente approvata per iscritto.
6) Con il settimo motivo i ricorrenti denunciano la violazione
dell’art. 1418 c.c. e della legge 5-5-1976 n. 340. Deducono che la
sentenza impugnata, nel riconoscere validità alla ritenuta condizione
posta al conseguimento dei compensi spettanti ai professionisti, i

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compenso da parte del professionista incaricato del progetto di

contravviene al principio di inderogabilità dei minimi di tariffa
professionale per gli ingegneri ed architetti, sancita dall’articolo
unico della legge n. 340\1976, sanzionato, ai sensi dell’art. 1418
c.c., con la nullità di ogni pattuizione contraria.

tema di compensi per prestazioni professionali di ingegneri ed
architetti i minimi tariffari sono inderogabili e che una eventuale
clausola o pattuizione contraria è nulla ai sensi dell’art. 1418 c.p.c.”
Anche tale motivo deve essere disatteso
Secondo un principio più volte affermato da questa Corte, la
clausola con cui, in una convenzione tra un ente pubblico territoriale
e un ingegnere al quale il primo abbia affidato la progettazione di
un’opera pubblica, il pagamento del compenso per la prestazione resa
è condizionato alla concessione di un finanziamento per la
realizzazione dell’opera, è valida, in quanto non si pone in contrasto
col principio di inderogabilità dei minimi tariffari, previsto dalla
legge 5 maggio 1976, n. 340, come interpretata autenticamente
dall’art. 6, primo comma, della legge 1° luglio 1977, n. 404,
normativa cui ha fatto seguito l’art. 4 comma 12 bis del dl. 2 marzo
1989, n. 65, convertito con modificazioni nella legge 26 aprile 1989,
n. 155; nè tale clausola, espressione dell’autonomia negoziale delle
parti, viene a snaturare la causa della prestazione, incidendo sul

11

Il quesito di diritto posto è il seguente: “Dica la Corte che in

sinallagma contrattuale (Cass. 30-12-2011 n. 30590; Cass. 8-3-2010
n. 5492; Cass. 27-9-2007 n. 20319; Cass. S.U. 19-9-2005 n. 18450 ).
Alla luce di tale orientamento, al quale il Collegio intende
dare continuità, la censura in esame non può che essere rigettata.

ed erronea applicazione degli artt. 1175, 1375, 1358 e 1359 c.c.,
nonché vizi di motivazione. Deducono che la clausola patrizia che
sottoponga il diritto al compenso dei professionisti incaricati della
progettazione di un’opera pubblica all’intervenuto finanziamento
dell’opera progettata, contiene una condizione che obbliga la parte
pubblica a comportarsi secondo i canoni di correttezza e di buona
fede. Rilevano che, nella specie, la Corte di Appello ha omesso ogni
valutazione in ordine al comportamento del Comune di Delianuova,
il quale non si è mai attivato per richiedere il finanziamento, e con la
sua condotta omissiva, non ispirata ai canoni della correttezza e
buona fede, non ha consentito l’avverarsi della condizione alla quale
era stato subordinato il pagamento del compenso ai professionisti.
11 motivo si conclude con la formulazione del seguente quesito
di diritto: “Dica la Corte se nella ipotesi in cui in un disciplinare
concluso tra un professionista ed un Comune per l’esecuzione di un
progetto riguardante un’opera pubblica, la clausola che sottopone il
pagamento dei compensi professionali all’avversarsi di una
condizione —ottenimento di un finanziamento pubblico- deve essere

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7) Con il secondo motivo i ricorrenti denunciano la violazione

interpretata ai sensi degli artt. 1175, 1375, 1358 e 1359 c.c., nel
senso che le parti e l’Ente devono comportarsi secondo buona fede e
correttezza e, se la condizione è mancata per causa imputabile alla
parte che aveva interesse, la quale è venuta meno agli obblighi di

Con il terzo motivo i ricorrenti si dolgono della violazione ed
erronea applicazione dell’art. 1359 c.c. Sostengono che, ai sensi
della citata disposizione di legge, la condizione si considera avverata
quando sia mancata per causa imputabile alla parte che aveva
interesse contrario al suo avveramento, e che, nella fattispecie, il
mancato verificarsi della condizione prevista dalla clausola n. 12 del
contratto è dipeso dal comportamento omissivo del Comune di
Delianuova. Deducono che la Corte di Appello ha erroneamente
ritenuto inapplicabile il citato art. 1359 c.c. alla condizione
potestativa mista, non considerando che, se è vero che nel caso in
esame entrambe le parti avevano interesse all’avveramento della
condizione, è altresì vero che il conseguimento del finanziamento era
rimesso esclusivamente alla volontà del Comune.
Il quesito di diritto posto è il seguente: “Dica la Corte se nella
ipotesi in cui un disciplinare concluso tra un professionista ed un
Comune per l’esecuzione di un’opera pubblica, la clausola che
sottopone il pagamento dei compensi all’avversarsi di una
condizione —ottenimento del finanziamento pubblico- deve essere

13

informazione e di attivazione, la stessa si considera avverata”.

interpretata ai sensi dell’art. 1359 c.c. nel senso che se la condizione
è mancata per causa imputabile alla parte che aveva interesse, la
quale è venuta meno agli obblighi di informazione e di attivazione,
la stessa si considera avverata – .

esaminati congiuntamente, appaiono meritevoli di accoglimento.
La Corte di Appello ha disatteso l’assunto degli appellanti,
secondo cui la condizione sospensiva apposta al contratto doveva
considerarsi avverata ai sensi dell’art. 1359 c.c., per non essersi il
Comune di Delianuova attivato per ottenere l’erogazione dei fondi
necessari, sul rilievo che tale norma non può trovare applicazione
nelle ipotesi di condizione potestativa mista, quale quella in esame,
stante l’interesse di entrambe le parti all’avveramento della
condizione.
Tali

statuizioni

non

appaiono conformi

a un’esatta

interpretazione dell’art. 1359 c.c. -a norma del quale “la condizione
si considera avverata qualora sia mancata per causa imputabile alla
parte che aveva interesse contrario all’avveramento di essa”- e
dell’art. 1358 c.c. -secondo il quale colui che si è obbligato sotto
condizione sospensiva deve, in pendenza della condizione,
comportarsi secondo buona fede per conservare integre le ragioni
dell’altra parte-.

14

I due motivi, che per ragioni di connessione possono essere

E invero, con riferimento a fattispecie analoghe a quella per
cui si controverte, questa Corte ha ripetutamente affermato che anche
il contratto sottoposto a una condizione potestativa mista è soggetto
alla disciplina dell’art. 1358 c.c., dovendo la sussistenza dell’obbligo

condizione essere riconosciuto anche per l’attività di attuazione
dell’elemento potestativo della condizione mista (Cass. 14-12-12- n.
23014; Cass. 3-6-2010 n. 13469; Cass. S.U, 19-9-2005 n. 18450). E’
stato rilevato, al riguardo, che il principio di buona fede —intesa,
questa, come requisito della condotta dei contraenti-, costituisce
criterio di valutazione e limite anche del comportamento
discrezionale del contraente dalla cui volontà dipende (in parte)
l’avveramento della condizione. Tale comportamento non può essere
considerato privo di ogni carattere doveroso, sia perché altrimenti la
condizione finirebbe per risolversi nell’attribuzione a una parte di un
potere meramente arbitrario in ordine alla determinazione
dell’efficacia del contratto, contrario al dettato dell’art. 1355 c.c., sia
perché, aderendo a tale indirizzo, si verrebbe ad introdurre nel
precetto dell’art. 1358 c.c, una restrizione che questo non prevede e
che, anzi, condurrebbe ad un sostanziale svuotamento del contenuto
della norma, limitandolo all’elemento casuale della condizione mista,
cioè ad un elemento sul quale la condotta della parte (la cui
obbligazione è condizionata) ha ridotte possibilità d’incidenza,

15

di comportarsi secondo buona fede durante lo stato di pendenza della

mentre la posizione giuridica dell’altra parte resterebbe in concreto
priva di ogni tutela. Invece, è proprio l’elemento potestativo quello
in relazione al quale il dovere di comportarsi secondo buona fede ha
più ragion d’essere, perché è con riguardo a quell’elemento che la

discrezionalità contrattualmente attribuita alla parte deve essere
esercitata nel quadro del principio cardine di correttezza. E, se è
vero che l’omissione di un’attività in tanto può costituire fonte di
responsabilità in quanto l’attività omessa costituisca oggetto di un
obbligo giuridico, deve ritenersi che tale obbligo, in casi come
quello in esame, discenda direttamente dall’art. 1358 c.c., che lo
impone come requisito della condotta da tenere durante lo stato di
pendenza della condizione; cosicché la sussistenza di un obbligo
siffatto va riconosciuta anche per l’attività di attuazione
dell’elemento potestativo di una condizione mista, quale effetto “ex
lege” del contratto. Pertanto, il giudice del merito deve procedere ad
un penetrante esame della clausola recante la condizione e del
comportamento delle parti, nel contesto del negozio in cui la
clausola stessa è contenuta, al fine di verificare, alla stregua degli
elementi probatori acquisiti, se corrispondano ad uno standard
esigibile di buona fede le iniziative poste in essere al fine di ottenere
il finanziamento.
La giurisprudenza di legittimità ha altresì precisato che alla
condizione potestativa mista è applicabile anche l’art. 1359 c.c.,

16

I

secondo cui la condizione si considera avverata qualora sia mancata
per fatto imputabile alla parte che aveva interesse contrario
all’avveramento di essa (Cass. 14-12-2012 n. 23014; Cass. 18-il2011 n. 24325; Cass. 3-6-2010 n. 13469). In proposito, è stato

evidenziato, in particolare, che la citata norma, allorché fa
riferimento alla parte che aveva interesse contrario all’avveramento
della condizione, non intende riferirsi soltanto a coloro che, per
contratto, apparivano avere interesse al verificarsi della condizione,
ma anche ai comportamenti di chi in concreto ha dimostrato, con una
successiva condotta, di non avere più interesse al verificarsi della
condizione, ponendo in essere atti tali da contribuire a far acquistare
al contratto un elemento modificativo dell*” iter” attuativo della sua
efficacia.
Ne discende che, nel caso di contratto con la P.A. in cui il
pagamento del compenso per l’opera professionale pattuita sia
subordinato all’erogazione di un finanziamento, l’Amministrazione
stipulante non può tenere un comportamento che, impedendo il
verificarsi del finanziamento, renda inoperante il suo obbligo di
pagamento del compenso. Pertanto, in caso di mancato avveramento
di tale condizione, il giudice di merito deve accertare se
l’Amministrazione contraente, in base ai doveri gravanti su di essa in
forza dell’art. 1358 c.c., si sia attivata per ottenere il finanziamento,
e se le iniziative prese a tal fine corrispondessero ad uno standard

17

/2

esigibile di buona fede. In caso contrario, dalla violazione del
suddetto dovere comportamentale conseguono il diritto della
controparte di chiedere sia la risoluzione del contratto e il
risarcimento del danno, ai sensi dell’art. 1358 c.c., sia, in alternativa,

pattuito, in base alla “fictio” di avveramento della condizione di cui
all’art. 1359 c.c. (Cass. 3-6-2010 n. 13469).
Nel caso in esame, la sentenza impugnata non si è attenuta a
tali condivisibili principi, avendo escluso in radice l’applicabilità
dell’art. 1359 c.c. alla condizione potestativa mista ed omesso,
conseguentemente, ogni valutazione in ordine alla condotta tenuta
nell’occasione dal Comune.
8) In definitiva, vanno accolti il secondo e il terzo motivo di
ricorso principale. Gli altri motivi di tale ricorso vanno rigettati,
mentre il ricorso incidentale va dichiarato inammissibile.
In relazione ai motivi accolti, la sentenza impugnata va cassata
con rinvio alla Corte di Appello di Catanzaro, la quale procederà a
nuovo esame, conformandosi ai principi di diritto enunciati al punto
7, e provvederà anche sulle spese del presente giudizio di legittimità.
P.Q.M.
La Corte accoglie il secondo e terzo motivo del ricorso
principale, rigetta gli altri, dichiara inammissibile il ricorso
incidentale, cassa la sentenza impugnata in relazione ai motivi

18

l’adempimento del contratto e, quindi, il pagamento del compenso

accolti e rinvia anche per le spese alla Corte di Appello di
Catanzaro.
Così deciso in Roma nella camera di consiglio del 22-1-2014
Il Presidynte

Il Consigliere estensore

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