Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 7509 del 31/03/2011

Cassazione civile sez. I, 31/03/2011, (ud. 13/01/2011, dep. 31/03/2011), n.7509

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE PRIMA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. FIORETTI Francesco Maria – Presidente –

Dott. CULTRERA Maria Rosaria – Consigliere –

Dott. DI VIRGILIO Rosa Maria – Consigliere –

Dott. SCALDAFERRI Andrea – Consigliere –

Dott. MERCOLINO Guido – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

sentenza

sul ricorso proposto da:

D.G., elettivamente domiciliato in Roma, alla Via S.

Pellico n. 44, presso l’avv. TAMILIA Maria, unitamente all’avv.

GUELFI Vera del foro di Bari, dalla quale è rappresentato e difeso

in virtù di procura speciale in calce al ricorso;

– ricorrente –

contro

FALLIMENTO DELLA SOCIETA’ DI FATTO FRA M.M. (in qualità di

titolare dell’impresa Fertil D’Urso di M.M.), D.

F., D.G. E D.A., in persona del

curatore p.t.;

– intimato –

C.A., C.N., C.M.D., S.

M., S.A., M.A., G.G. e

D.L.N.;

– intimati –

avverso la sentenza della Corte di Appello di Bari n. 623/04,

pubblicata il 30 giugno 2004;

Udita la relazione della causa svolta nella Pubblica udienza del 13

gennaio 2011 dal Consigliere Dott. Guido Mercolino;

udito l’avv. Gigliotti per delega del difensore del ricorrente;

udito il Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore

Generale Dott. ZENO Immacolata, il quale ha concluso per la

dichiarazione d’inammissibilità ed in subordine per il rigetto del

ricorso.

Fatto

SVOLGIMENTO DEL PROCESSO

1. – Con sentenza del 30 giugno 2004, la Corte d’Appello di Bari ha rigettato l’impugnazione proposta da D.G. avverso la sentenza del 12 marzo 2002, con cui il Tribunale di Bari aveva rigettato l’opposizione alla dichiarazione di fallimento di M. M., in qualità di titolare dell’impresa individuale Fertil D’Urso di M.M., pronunciata con sentenza del 4 giugno 1999 ed estesa al coniuge D.G. ed ai figli A. e D.F., in qualità di soci di fatto, con sentenza del 5 ottobre 1999.

Premesso che la sussistenza della società di fatto era stata ritenuta, con riferimento all’appellante, in virtù della concessione da parte di quest’ultimo dell’uso di un capannone in comodato gratuito per l’esercizio dell’impresa, dell’emissione di un assegno in favore di un cliente e del rilascio di varie fideiussioni in favore di istituti di credito, la Corte ha affermato che il carattere continuativo e sistematico delle fideiussioni, comportando l’esteriorizzazione del vincolo sociale, escludeva che esse fossero espressione di solidarietà familiare, mentre l’uso del capannone aveva reso possibile l’attività sociale, e l’emissione dell’assegno costituiva una manifestazione esteriore dell’ingerenza nell’attività sociale.

2. – Avverso la predetta sentenza il D. propone ricorso per cassazione, articolato in due motivi, illustrati anche con memoria, d’intimati non hanno svolto attività difensiva.

Diritto

MOTIVI DELLA DECISIONE

1. – Con il primo motivo d’impugnazione, il ricorrente denuncia l’assenza di motivazione circa un punto decisivo della controversia, rilevando che la sentenza impugnata non fa alcun cenno alla censura da lui sollevata in ordine all’identità tra il magistrato che ha pronunciato l’estensione del fallimento e il relatore del giudizio di opposizione.

1.1. – Il motivo è inammissibile, avendo il ricorrente fatto valere come vizio di motivazione un’omissione che, traducendosi nella violazione del principio di corrispondenza tra il chiesto ed il pronunciato, avrebbe dovuto invece essere denunciata come error in procedendo.

L’omessa pronuncia su uno o più motivi di appello integra infatti un diletto di attività del giudice di secondo grado, che in sede di legittimità dev’essere fatto valere, ai sensi dell’art. 360 cod. proc. civ., n. 4, mediante la specifica deduzione della violazione dell’art. 112 cod. proc. civ., in riferimento alla quale questa Corte può esaminare anche gli atti del giudizio di merito, essendo giudice anche del fatto, inteso in senso processuale. Essa non può quindi essere denunciata come violazione di una norma sostanziale ai sensi dell’art. 360, n. 3, o come vizio di motivazione ai sensi dell’art. 360, n. 5, in quanto tali censure presuppongono che il giudice di merito abbia preso in esame la questione prospettatagli e l’abbia risolta in modo giuridicamente non corretto, ovvero senza giustificare (o non giustificando adeguatamente) la decisione resa al riguardo, e consentono alla parte di chiedere al giudice di legittimità una verifica in ordine alla correttezza giuridica della decisione ed alla sufficienza ed alla logicità della motivazione, sulla base del solo esame della sentenza impugnata (cfr. Cass.. Sez. 3^, 10 dicembre 2009, n. 25825; Cass., Sez. 1^, 22 novembre 2006, n. 24856; Cass., Sez. 5^, 23 gennaio 2004, n. 1170).

2. – E’ parimenti inammissibile il secondo motivo, con cui si deduce l’insufficiente e contraddittoria motivazione sui punti principali della controversia.

Sostiene infatti il ricorrente che le dichiarazioni fideiussorie da lui rilasciate costituivano soltanto l’ampliamento di una fideiussione già prestata e la specificazione che la stessa si estendeva anche alla ditta individuale della moglie; aggiunge che la menzione dell’aiuto da lui prestato nell’attività mediante la concessione del capannone rappresentava un concetto nuovo, introdotto nel giudizio in assenza di contraddittorio, avendo la sentenza di primo grado fatto riferimento esclusivamente ad un suo interesse nell’attività; contesta infine la rilevanza dell’assegno da lui emesso in favore di un unico cliente, evidenziando l’esiguità del relativo importo rispetto al passivo fallimentare ed il numero considerevole dei creditori intervenuti.

2.1. – Si tratta di censure che attengono alla valutazione della condotta tenuta dal ricorrente nei confronti dei terzi che hanno intrattenuto rapporti con l’impresa di cui era titolare la moglie, il cui apprezzamento, ai fini della necessaria verifica in ordine all’intervenuta spendita del nome della società, all’esteriorizzazione del vincolo sociale o comunque all’assunzione di un atteggiamento complessivamente idoneo ad ingenerare nei terzi un incolpevole affidamento in ordine all’esistenza di un vincolo societario, integra il giudizio di fatto in cui tipicamente si sostanzia l’accertamento dell’avvenuta costituzione di una società di fatto, ed è pertanto incensurabile in sede di legittimità, se adeguatamente motivata.

Nella specie, la Corte d’Appello ha fondato la propria decisione su una pluralità di clementi, da essa ritenuti sintomatici dell’esistenza di un fondo comune e dell’effectio societatis, e costituiti in particolare dalla disponibilità da parte dell’impresa di un capannone concesso in comodato gratuito dal ricorrente perchè fosse adibito ad ufficio o deposito, dall’ingerenza del ricorrente nell’attività dell’impresa manifestatasi attraverso l’emissione di un assegno bancario all’ordine di un cliente, e dalle fideiussioni prestate dal ricorrente a favore dell’impresa, la cui continuità e sistematicità è stata ritenuta incompatibile con una mera espressione di affectio familiaris.

Le censure sollevate dal ricorrente non evidenziano lacune o vizi logici dell’iter argomentativo seguito dalla Corte territoriale, ma si limitano a prospettare una diversa possibile valutazione dei medesimi elementi da essa presi in considerazione, in tal modo proponendo una rivisitazione dei fatti non consentita a questa Corte, alla quale non è conferito il potere di riesaminare e valutare il merito della causa, ma solo quello di controllare, sotto il profilo logico-formale e della correttezza giuridica, l’esame e la valutazione fatta dal giudice del merito, spettando soltanto a quest’ultimo l’individuazione delle fonti del proprio convincimento e, a tal fine, la valutazione delle prove, il controllo della loro attendibilità e concludenza, e la scelta tra le risultanze probatorie di quelle ritenute idonee a dimostrare i fatti in discussione (cfr. ex plurimis, Cass., Sez. lav., 23 dicembre 2009, n. 27162; 11 luglio 2007, n. 15489).

3. – Il ricorso va pertanto dichiarato inammissibile, senza che occorra provvedere al regolamento delle spese processuali, avuto riguardo alla mancata resistenza degl’intimati.

P.Q.M.

La Corte dichiara inammissibile il ricorso.

Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio della Sezione Prima Civile, il 13 gennaio 2011.

Depositato in Cancelleria il 31 marzo 2011

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