Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 7506 del 31/03/2011

Cassazione civile sez. I, 31/03/2011, (ud. 12/01/2011, dep. 31/03/2011), n.7506

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE PRIMA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. LUCCIOLI Maria Gabriella – Presidente –

Dott. BERRUTI Giuseppe – Consigliere –

Dott. CRISTIANO Magda – rel. Consigliere –

Dott. BISOGNI Giacinto – Consigliere –

Dott. DE CHIARA Carlo – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

sentenza

sui ricorsi riuniti nn. 27633/05 e 31979/05 reciprocamente proposti

da:

ISTITUTO AUTONOMO CASE POPOLARI della provincia di NAPOLI, in persona

del legale rapp.te p.t., elettivamente domiciliato in Roma, al Viale

dell’Oceano Atlantico 25, presso lo studio dell’avv. Maria Grazia

Leuci, rappresentato e difeso dagli avv.ti DI PRISCO Nicola ed Agata

Esposito, come da procurerà margine del ricorso;

– ricorrente –

contro

P.A., elettivamente domiciliata in Roma, al Viale Bruno

Buozzi 19, presso lo studio dell’avv. BAZZANI Alessandro, che la

rappresenta e difende unitamente agli avv.ti Carlo Arrotta e Giuseppe

Viparelli, come da procura a margine del controricorso;

– controricorrente/ricorrente incidentale –

avverso la sentenza n. 2652/04 della Corte d’Appello di Napoli,

depositata il 7.9.04;

udita la relazione della, causa svolta nella Pubblica udienza del

12.1.2011 dal Consigliere Dr. Magda Cristiano;

udito il P.M., in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott.

PATRONE Ignazio, che ha concluso per il rigetto del ricorso

principale e l’accoglimento per quanto di ragione del ricorso

incidentale.

Fatto

SVOLGIMENTO DEL PROCESSO

P.A., conduttrice, sin dal marzo del 56, di un terraneo sito in (OMISSIS), di proprietà dell’Istituto Autonomo delle Case Popolari della provincia (in seguito, per brevità, Istituto o IACP), convenne l’Istituto dinanzi al Tribunale e – premesso che nel 1960 il convenuto aveva pubblicato apposito bando per la cessione in proprietà dell’immobile, ai sensi del D.P.R. n. 2 del 1959, art. 19, che ella aveva presentato domanda di partecipazione offrendo il prezzo richiesto e che solo successivamente il bando era stato revocato “per sopravvenute esigenze di ordine pubblico” – chiese l’emanazione di una sentenza ex art. 2392 c.c., che tenesse luogo del contratto non stipulato.

Il giudice adito, con sentenza dell’8.6.01, accolse integralmente la domanda ed imputò a pagamento del prezzo dell’immobile le somme versate dalla P. allo IACP dopo la data di conclusione del negozio di cessione.

L’appello proposto dallo IACP contro la decisione fu accolto solo parzialmente dalla Corte d’Appello di Napoli, che con sentenza del 7.9.04: 1) rigettò l’eccezione di difetto di giurisdizione sollevata in via preliminare dall’appellante; 2) rigettò i successivi due motivi di gravame, rilevando che il bando-concorso, contenente tutti gli estremi dell’immobile ed il relativo prezzo di cessione, nonchè le modalità di presentazione dell’offerta e l’indicazione della documentazione necessaria, costituiva presupposto specifico per l’esercizio del diritto di prelazione riconosciuto per legge all’assegnataria e che, poichè la P. aveva esercitato la prelazione nelle forme volute dallo IACP, era venuto meno ogni potere discrezionale di revoca del bando ed il contratto doveva ritenersi concluso a norma dell’art. 1326 c.c., con conseguente obbligo dell’Istituto di trasferire il bene alla prelazionaria al prezzo indicato nel bando medesimo e non a quello attualizzato ai valori correnti,secondo la stima effettuata dall’UTE ai sensi della L. n. 560 del 1993; 3) ritenne fondato l’ultimo motivo di impugnazione ed affermò, che, in assenza di prova contraria, le somme versate dalla P. allo IACP non potevano essere imputate al prezzo dell’immobile, costituendo, sino alla stipula del contratto definitivo, corrispettivo della locazione. Dichiarò pertanto, in parziale riforma dell’impugnata sentenza, che il trasferimento in proprietà del bene era subordinato al pagamento in un’unica soluzione, da parte dell’appellata, della somma di Euro 4.062,45, ovvero del corrispettivo della cessione originariamente pattuito, maggiorato degli interessi previsti dal D.P.R. n. 2 del 1959, art. 19, dalla data di conclusione del contratto a quella della decisione.

Lo IACP ha chiesto la cassazione della sentenza, affidandola a due motivi di ricorso, col primo dei quali ha – fra l’altro – ribadito l’eccezione di difetto di giurisdizione del G.O. P.A. ha resistito con controricorso ed ha proposto a sua volta ricorso incidentale.

Con sentenza del 19.12.07 le SS.UU. di questa Corte, riuniti il ricorso principale e quello incidentale, hanno ritenuto sussistente la giurisdizione del G.O. ed hanno rimesso la causa a questa sezione per l’esame delle ulteriori censure illustrate dalle parti.

Diritto

MOTIVI DELLA DECISIONE

1.1) Con il primo motivo di ricorso lo IACP contesta che la fattispecie in esame possa essere assimilata ad un contratto preliminare. Rileva in proposito che in un rapporto che conserva connotati pubblicistici non può, nè logicamente, nè giuridicamente, inserirsi la disciplina tutta privatistica dell’esecuzione forzata dell’obbligo a contrarre, visto che il privato non acquista il diritto alla vendita, ma solo l’interesse legittimo a vedersi preferito nella vendita effettiva e definitiva dell’immobile.

1.2) Deduce, sotto altro profilo, che l’attività di diritto civile in cui è coinvolta la P.A. è comunque sottoposta a regole di diritto speciale e che la volontà dell’ente pubblico si determina attraverso un procedimento amministrativo, che accompagna la conclusione del contratto, mediante il quale vengono rese note le ragioni di pubblico interesse che giustificano l’intenzione di contrarre, la scelta del contraente e la formazione del consenso, in tale ottica, a dire de ricorrente, sarebbe errato assimilare ad una vera e propria offerta al pubblico il bando di cui al D.P.R. n. 2 del 1959, art. 19, che, più correttamente, andrebbe qualificato come invito a presentare domanda di cessione, cui, al fine di considerare perfezionato l’accordo fra le parti, deve seguire accettazione nelle forme di legge. Il motivo deve essere respinto.

Il D.P.R. n. 2 dei 1959, contempla due distinte fattispecie di cessione in proprietà degli immobili di edilizia popolare, distinguendo a seconda che essi siano o meno destinati ad abitazione.

Nella prima ipotesi, l’assegnatario di un alloggio (non compreso nelle quote di riserva di cui agli artt. 2 e 3 del D.P.R.) è titolare di un diritto alla cessione in proprietà del bene (da esercitarsi alle condizioni e secondo le modalità previste dal D.P.R. medesimo), cui corrisponde l’obbligo dell’ente proprietario di addivenire alla conclusione del contratto. Tale diritto, tuttavia, inserendosi in un rapporto dai connotati pubblicistici, è insuscettibile di esecuzione specifica, ed – a fronte del comportamento colposo dell’amministrazione, che rifiuti di trasferire la proprietà del bene dopo che la domanda di riscatto sia stata presentata ed accettata, mediante comunicazione del prezzo di cessione – può essere tutelato dinanzi all’A.G.O. solo attraverso un’azione risarcitoria (Cass. SS.UU. n. 11334/07).

Diversa è l’ipotesi che, come quella in esame, è disciplinata dall’art. 19 del D.P.R., posto che, ai sensi di tale norma, l’ente proprietario non ha un obbligo, ma soltanto la facoltà di cedere in proprietà all’assegnatario (qualora questi eserciti il diritto di prelazione che gli è riconosciuto dalla norma stessa), od (in caso contrario) a terzi, i locali adibiti ad uso diverso dall’abitazione.

Tale facoltà, implicando un’attività non vincolata, ma alla quale sono anzi connessi ampi poteri discrezionali e valutativi, è esercitata dall’ente secondo le regole del diritto privato (Consiglio di Stato nn. 6884/05, 878/92).

Ne consegue, per un verso, che, una volta che la proposta di cessione sia stata accettata dal soggetto a cui è rivolta, il contratto è concluso e la proposta non è più revocabile e, per l’altro, che il cessionario, nel caso in cui il cedente non proceda al trasferimento, può avvalersi dello specifico strumento posto a sua disposizione dall’art. 2932 c.c..

Ciò premesso, l’ulteriore censura che lo IACP muove alla sentenza impugnata, per aver attribuito al bando la natura di offerta ad esercitare la prelazione rivolta alla P., va dichiarata inammissibile.

La Corte territoriale ha operato una chiara distinzione fra il bando concorso, indirizzato ad una generalità indistinta di soggetti, e quello specifico, con indicazione del prezzo e delle modalità di presentazione della domanda, nella specie ricevuto dalla prelazionaria. La qualificazione data dal giudice d’appello al documento in questione costituisce, dunque, un accertamento di merito in ordine al contenuto dell’atto negoziale, che non può essere contrastato attraverso la mera enunciazione della diversa qualificazione che il ricorrente ritiene debba essere riconosciuta, in via generica ed indifferenziata, a qualsiasi tipo di bando emesso ai sensi dell’art. 19 cit..

L’Istituto avrebbe pertanto dovuto impugnare la decisione sul punto, ex art. 360 c.p.c., nn. 3 e 5, denunciando o la violazione da parte del giudice d’appello dei canoni ermeneutici di cui all’art. 1362 c.c., e segg., o la sussistenza di un vizio di contraddittoria o insufficiente motivazione (cfr., da ultimo e fra molte, Cass. nn. 13587/010, 13242/010, 10544/2010).

2) Col secondo motivo, il ricorrente, lamentando violazione degli artt. 1366 e 1371 c.c., nonchè vizio di motivazione della sentenza impugnata, deduce che la Corte territoriale ha errato nell’individuare il prezzo di vendita in quello originario, fissato nel bando di concorso, anzichè in quello attualizzato, determinato dall’UTE, ai sensi della L. n. 560 del 1993, dopo l’avvenuta revoca del bando. Sostiene a riguardo che la P., acquistando l’immobile al prezzo originario, realizzerebbe un ingiustificato vantaggio a danno della collettività e che un tale contratto sarebbe inficiato ab origine dal vizio genetico della lesione ultra dimidium.

Anche tale motivo è infondato e deve essere respinto.

E’ infatti evidente che la P. non può essere tenuta al pagamento di un prezzo superiore a quello contrattualmente pattuito, ovvero al prezzo indicato nel bando contenente l’offerta di cessione, da lei accettata nei termini richiesti. Lo IACP, d’altro canto, non può che imputare al proprio colposo comportamento il mancato trasferimento dell’immobile a distanza di oltre cinquant’anni dalla conclusione del contratto: deve escludersi, pertanto, che la cessionaria, ottenendo solo oggi il pieno riconoscimento di un diritto che ha maturato sin dal 1960, realizzi un indebito arricchimento a danno dell’Istituto (essendo fuor di luogo, attesa la natura privatistica del contratto, il richiamo alla lesione dell’interesse pubblico).

L’assunto del ricorrente, secondo cui la P. dovrebbe versare il prezzo determinato dall’UTE ai sensi della L. n. 560 del 1993, dopo la revoca del bando, non tiene conto, peraltro, che (al di là della già affermata illegittimità di una revoca intervenuta dopo la conclusione del contratto, rilevabile dal G.O. in via incidentale), il provvedimento di revoca è stato annullato con decisione della Commissione di Vigilanza per l’edilizia popolare ed economica del 16.7.77 e che le norme introdotte con la L. n. 560 del 1993 non si applicano ai rapporti anteriori che, come quello in esame, erano già definiti alla data della loro entrata in vigore.

Non si vede, infine, sotto quale profilo possa prospettarsi la rescindibilità dei contratto ai sensi dell’art. 1448 c.c., difettando del tutto i presupposti dello stato di bisogno dello IACP e dell’approfittamento della prelazionaria, e dovendosi inoltre escludere che, alla data in cui all’Istituto pervenne l’accettazione dell’offerta, sussistesse una notevole sproporzione fra il valore del terraneo ed il prezzo pattuito fra le parti, che era stato determinato dalla Commissione istituita ai sensi del D.P.R. n. 2 del 1959, art. 6.

3) Con il primo motivo di ricorso incidentale, P.A. lamenta che la Corte territoriale non abbia ritenuto provate talune circostanze di fatto, da lei allegate ed asseritamente non contestate dallo IACP (avvenuto versamento da parte sua, ed in favore dell’Istituto, di somme di gran lunga superiori al prezzo di cessione, richiesta di pagamento rateale di tale prezzo) che avrebbero condotto all’integrale rigetto dell’appello.

4) Con il secondo motivo, la ricorrente incidentale, denunciando violazione e falsa applicazione delle norme sui contratti e sulla loro interpretazione, deduce che, poichè il contratto conclusosi con l’accettazione della proposta di cessione costituisce una vera e propria vendita, con pagamento rateale e con riserva della proprietà, ai sensi dell’art. 1523 c.c., i versamenti da lei effettuati avrebbero dovuto essere imputati in conto prezzo.

Entrambi i motivi vanno dichiarati inammissibili.

Il primo, infatti, difetta del requisito dell’autosufficienza, in quanto non riporta quelle parti degli scritti difensivi dello IACP dai quali dovrebbe desumersi la mancata contestazione delle circostanze di fatto allegate in citazione, nè rinvia agli atti od ai verbali di causa contenenti tali scritti, ed impedisce, pertanto, a questa Corte di operare il dovuto riscontro.

Il secondo introduce invece in giudizio un tema d’indagine del tutto nuovo, sul quale non si è mai sviluppato il contraddittorio fra le parti ed il cui accoglimento risulterebbe, oltretutto, incompatibile con il petitum indicato in citazione.

La reciproca soccombenza delle parti giustifica l’integrale compensazione fra le stesse delle spese del presente grado.

P.Q.M.

La Corte: rigetta i ricorsi; dichiara interamente compensate fra le parti le spese de grado.

Così deciso in Roma, il 12 gennaio 2011.

Depositato in Cancelleria il 31 marzo 2011

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