Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 7504 del 17/03/2021

Cassazione civile sez. II, 17/03/2021, (ud. 18/12/2020, dep. 17/03/2021), n.7504

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SECONDA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. DI VIRGILIO Rosa Maria – Presidente –

Dott. BELLINI Ubaldo – rel. Consigliere –

Dott. GIANNACCARI Rosanna – Consigliere –

Dott. TEDESCO Giuseppe – Consigliere –

Dott. OLIVA Stefano – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 22961-2019 proposto da:

D.M., rappresentato e difeso dall’Avvocato GIUSEPPE

SALOMONE, ed elettivamente domiciliato presso lo studio dell’Avv.

Saverio Mazzeo, in ROMA, VIA TOMMASO CAMPANELLA 21;

– ricorrente –

contro

MINISTERO dell’INTERNO, in persona del Ministro pro-tempore;

– intimato –

avverso il decreto n. 2430/2018 del TRIBUNALE di SALERNO, depositato

in data 11/06/2019;

udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del

18/12/2020 dal Consigliere Dott. UBALDO BELLINI.

 

Fatto

FATTI DI CAUSA

D.M. proponeva opposizione avverso il provvedimento di diniego della protezione internazionale emesso dalla competente Commissione Territoriale, chiedendo il riconoscimento dello status di rifugiato o, in subordine, della protezione sussidiaria o, in ulteriore subordine, della protezione umanitaria o del diritto d’asilo di cui all’art. 10 Cost.

Sentito dalla Commissione Territoriale, il richiedente aveva riferito di essere cittadino (OMISSIS) ((OMISSIS)); che alla fine del 2014 i ribelli erano venuti nel suo posto di lavoro (paninoteca di cui era proprietario il cugino) a chiedere dei soldi che lui non aveva; che i ribelli avevano iniziato a picchiarlo, rompendogli un dito e ferendolo alla schiena, alla testa e alle gambe; dopo essere stato in ospedale aveva deciso di allontanarsi dal suo Paese; che era andato alla polizia, che però gli aveva detto di andare dai militari a fare la denuncia e questi gli avevano suggerito che era meglio andare via dal Paese perchè non gli potevano garantire la vita.

Con decreto n. 2430/2018 dell’11.6.2019 il Tribunale di Salerno rigettava il ricorso, ritenendo che il racconto non fosse credibile a causa dell’estrema genericità e di alcune incongruenze. Non poteva riconoscersi lo status di rifugiato non sussistendo alcuna forma di persecuzione, così come non poteva essere accordata al ricorrente la protezione sussidiaria, non sussistendo nessun pericolo di danno grave ai sensi del D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 14, lett. a) e b). Nè ricorreva l’ipotesi di cui alla lett. c) della suddetta norma, in quanto nel Paese di provenienza non sussisteva una violenza indiscriminata in una situazione di conflitto armato, come evidenziato dai report internazionali (il (OMISSIS) è una delle democrazie più stabili dell’Africa e anche dal punto di vista economico è uno dei Paesi più dinamici del panorama sub-sahariano, anche se il tasso di povertà è molto elevato). Infine, veniva rigettata anche la domanda di riconoscimento della protezione umanitaria, in quanto non risultavano ragioni di particolare vulnerabilità soggettiva nè gravi e oggettivi motivi di carattere umanitario che imponessero il rilascio di un permesso di soggiorno. Invero, i problemi segnalati dal ricorrente attenevano piuttosto a vicende private, non idonee al riconoscimento di una forma di protezione. Nè poteva avere rilievo, di per sè, il fatto che il ricorrente si stesse inserendo nel tessuto socio-economico del nostro Paese, in quanto l’integrazione non è fattore esclusivo della protezione umanitaria, ma circostanza che può concorrere a determinare una situazione di vulnerabilità personale. Ciò perchè la ratio della protezione umanitaria è quella di non esporre lo straniero al rischio di condizioni di vita non rispettose del nucleo minimo dei diritti della persona.

Avverso il decreto propone ricorso per cassazione D.M. sulla base di sei motivi. L’intimato Ministero dell’Interno non ha svolto difese.

Diritto

RAGIONI DELLA DECISIONE

1. – Con il primo motivo, il ricorrente lamenta la “violazione del D.L. n. 13 del 2017, art. 35 bis convertito in L. n. 46 del 2017”, poichè per il richiedente la mancanza di videoregistrazione presuppone violazione della citata normativa. Inoltre, il rito speciale camerale in materia di immigrazione, ispirato a una sostanziale mancanza di oralità, si porrebbe in contrasto con le peculiarità della protezione internazionale, nella quale assume centralità la descrizione dei fatti e delle circostanze narrate e quindi l’oralità.

1.1. – Il motivo è inammissibile.

1.2. – Nel giudizio d’impugnazione, innanzi all’autorità giudiziaria, della decisione della Commissione territoriale, ove manchi la videoregistrazione del colloquio, all’obbligo del giudice di fissare l’udienza, non consegue automaticamente quello di procedere all’audizione del richiedente, purchè sia garantita a costui la facoltà di rendere le proprie dichiarazioni, o davanti alla Commissione territoriale o, se necessario, innanzi al Tribunale. Ne deriva che il Giudice può respingere una domanda di protezione internazionale solo se risulti manifestamente infondata sulla sola base degli elementi di prova desumibili dal fascicolo e di quelli emersi attraverso l’audizione o la videoregistrazione svoltesi nella fase amministrativa, senza che sia necessario rinnovare l’audizione dello straniero (Cass. n. 5973 del 2019; Cass. 2817 del 2019).

Deve quindi formularsi il seguente principio di diritto: “Nei giudizi in materia di protezione internazionale il giudice, in assenza della videoregistrazione del colloquio svoltosi dinnanzi alla Commissione territoriale, ha l’obbligo di fissare l’udienza di comparizione, ma non anche quello di disporre l’audizione del richiedente, a meno che: a) nel ricorso vengano dedotti fatti nuovi a sostegno della domanda; b) il giudice ritenga necessaria l’acquisizione di chiarimenti in ordine alle incongruenze o alle contraddizioni rilevate nelle dichiarazioni del richiedente; c) quest’ultimo nel ricorso non ne faccia istanza, precisando gli aspetti in ordine ai quali intende fornire i predetti chiarimenti, e sempre che la domanda non venga ritenuta manifestamente infondata o inammissibile.” (Cass. n. 21584 del 2020).

Nel caso di specie, il ricorrente non ha neppure indicato le specifiche circostanze fattuali su cui avrebbe voluto essere sentito e rendere eventuali chiarimenti, limitandosi a dedurre che il Tribunale “avrebbe potuto” ascoltarlo nuovamente per dipanare le presunte (ed imprecisate) lacune del suo racconto, di talchè la censura si appalesa del tutto generica e come tale inammissibile (vedi sul punto anche Cass. n. 8931/2020).

2. – Con la seconda censura, il ricorrente deduce la “erronea interpretazione del Tribunale- non credibilità dei fatti narrati”.

2.1. – Il motivo è inammissibile.

2.2. – Anche a volerlo qualificare quale autonomo e specifico motivo, l’assunto del ricorrente non solo è generico nella formulazione, ma si limita a contrappone una diversa valutazione dei fatti narrati dal ricorrente rispetto a quella effettuata dal Tribunale, il cui apprezzamento è incensurabile in sede di legittimità se non per vizio di motivazione e nei limiti di cui all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5 (ex multis Cass. n. 27503 del 2018; Cass. n. 24998 del 2020).

3. – Con il terzo motivo, il ricorrente deduce la “violazione dell’art. 10 Cost., comma 3 – carenza di motivazione in ordine al diritto di asilo e/o di rifugiato e mancata indicazione delle fonti internazionali”, che sarebbe avvenuto con motivazione stereotipata e senza indicazione delle fonti.

3.1. – Il motivo è inammissibile.

3.2. – Ai sensi e per gli effetti dell’art. 360 bis c.p.c., va posto in rilievo che è stato reiteramente affermato che il diritto di asilo, previsto dall’art. 10 Cost, è stato interamente attuato e regolato attraverso la previsione delle situazioni finali previste nei tre istituti costituiti dallo status di rifugiato, dalla protezione sussidiaria e dal diritto al rilascio di un permesso umanitario, ad opera della esaustiva normativa di cui al D.Lgs. n. 19 novembre 2007, n. 251, adottato in attuazione della Direttiva 2004/83/CE del Consiglio del 29 aprile 2004, e di cui al D.Lgs. 25 luglio 1998, n. 286, art. 5, comma 6.

Non v’è dunque alcun margine residuale di diretta applicazione del disposto di cui all’art. 10 Cost., comma 3, in chiave processuale o strumentale, a tutela di chi abbia diritto all’esame della sua domanda di asilo alla stregua delle citate norme di rango primario sulla protezione (Cass. n. 7385 del 2017; Cass. n. 10686 del 2012).

4.1. – Con il quarto motivo, il ricorrente lamenta la “integrazione sociale – pericolo di grave danno alla persona contraddittorietà della pronuncia”, e denuncia l’omessa considerazione dello stato di povertà e dell’integrazione del ricorrente in Italia.

4.2. – Con il quinto motivo si deduce la “drammaticità dell’esperienza vissuta nel proprio paese di origine e durante il viaggio in Italia”, giacchè il ricorrente è stato costertto al lasciare il (OMISSIS) a causa della ancora poco rassicurante situazione sociale del suo Paese, caratterizzata da conflitti armati e dall’insussistenza di sicurezza.

4.3. – Con il settimo motivo, il richiedente si duole della “violazione dei diritti umani in (OMISSIS) – attuale situazione socio politica” e della particolare povertà del paese.

5. – Per la stretta connessione logico-giuridica, gli ultimi tre motivi vanno esaminati e decisi congiuntamente.

5.1. – I motivi sono inammissibili.

5.2. – Come sopra sottolineato, i motivi sono del tutto generici e si limitano a contestare il diniego della protezione sussidiaria D.Lgs. n. 251 del 2007, ex art. 14, lett. c) e della protezione umanitaria.

Le doglianze sono inammissibili perchè non corrispondono al modello legale di ricorso per cassazione, che, quale giudizio a critica vincolata, richiede, anche in assenza di formule sacramentali, l’indicazione delle norme che si assumono violate, come risultante dal testo del provvedimento impugnato. I motivi di impugnazione sono declinati irritualmente, senza richiamo ai vizi della sentenza che potrebbero farsi valere in questa sede; così trascurando che il giudizio di cassazione è un giudizio a critica vincolata, nel quale le censure alla pronuncia di merito devono trovare collocazione entro un elenco tassativo di motivi, in quanto la Corte di cassazione non è mai giudice del fatto in senso sostanziale ed esercita un controllo sulla legalità e logicità della decisione che non consente di riesaminare e di valutare autonomamente il merito della causa (Cass. 6 marzo 2019, n. 6519; Cass. 28 novembre 2014, n. 25332).

Giova precisare che il Tribunale di Salerno ha compiuto un’attenta valutazione della credibilità del ricorrente e, ai fini della domanda di riconoscimento della protezione sussidiaria, D.Lgs. n. 251 del 2007, ex art. 14, lett. c) ha svolto accertamenti sulle condizioni del paese di provenienza, attraverso le informazioni tratte dal rapporto di Amnesty International, escludendo l’esistenza di un conflitto indiscriminato. A fronte di tale accertamento, il ricorrente non ha indicato fonti successive o di segno contrario (Cass. n. 26728 del 2019).

Laddove, anche ai fini della richiesta di protezione umanitaria, il Tribunale ha accertato l’assenza di una situazione di vulnerabilità in assenza di compromissione dei diritti umani fondamentali ed il ricorso si limita ad apodittiche affermazioni, prive di puntuale censura del provvedimento impugnato.

6. – Il ricorso è dunque inammissibile. Nulla per le spese del Ministero dell’Interno, che non ha svolto attività difensiva. Va emessa la dichiarazione ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater.

P.Q.M.

La Corte dichiara inammissibile il ricorso. D.P.R. n. 115 del 2002, Ex art. 13, comma 1-quater dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte del ricorrente, di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso, a norma dello stesso art. 13, comma 1 bis se dovuto.

Così deciso in Roma, nella camera di consiglio della sezione seconda civile della Corte Suprema di Cassazione, il 18 dicembre 2020.

Depositato in Cancelleria il 17 marzo 2021

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